L’esito del G7 canadese, con le due mosse clamorose di Donald Trump (riapertura a Putin e partenza anticipata per Singapore) ha reso esplicito ciò che, fino a qualche settimana prima era solo un sospetto: cioè che “America First” significa che l’Europa è già passata in secondo piano nella graduatoria degli interessi mondiali.

 

Difficile pensare che si tratti di un capriccio transitorio del presidente americano in carica, specie se si mettono nel conto anche i dazi su alluminio e acciaio e la decisione unilaterale di stracciare l'accordo sul nucleare iraniano contro (senza neanche consultarli) l'opinione di tutti gli alleati atlantici, oltre che quella della Russia e della Cina. L'impressione generale di questa girandola di colpi pugilistici è quella di un grande sconquasso. Che potrebbe essere addirittura più sostanziale di quello che appare a prima vista.

 

 

È di pochi giorni fa un'analisi assai interessante apparsa sul Guardian a firma Natalie Nougayrède, dove venivano avanzate diverse ipotesi suggestive, tra le quali quella di una intenzione strategica, che sarebbe in corso di definizione in importanti think tank americani, di "radicalizzare l'Europa". L'occasione era stata quella dei due viaggi europei (uno dei quali italiano) di Steve Bannon, l'ex stratega di Trump nella campagna elettorale vincente, poi tolto di scena dalle pressioni neocon ma, a quanto parrebbe, niente affatto abbandonato dal presidente.

 

Bannon non è venuto in Europa solo per "dare un'occhiata" - scrive la Nougayrède - ma per distribuire consigli alle platee di Praga, Budapest, Parigi e Roma. Di che consigli si sia trattato ne hanno già parlato i giornali: elogio sperticato delle "rivolte nazionali" in corso, plateale appoggio a Marine Le Pen, e, in Italia, al governo giallo-verde. Ma non si era dato gran peso alle esternazioni di un personaggio in declino, come di un battitore libero ormai senza peso.

 

Non è escluso che sia così. Ma gli eventi sembrano dire il contrario. C'è del fuoco sotto il fumo. Lo sprezzante atteggiamento di Trump verso i propri alleati parla da sé. E produce cambiamenti sismici. Intendiamoci non si tratta di filosofie e di strategie. Il Presidente americano si muove veloce sulla superficie, con gli zig zag di un "surfista" astuto. Guarda alle prossime elezioni midterm; si copre le spalle dai tranelli che il deep state continua (e continuerà) a preparargli; gioca d'anticipo con alleati casuali (come ad esempio Netanyahu contro l'Iran) senza badare agli effetti di medio periodo. È un elefante nella cristalliera, rompe volentieri quello che gli capita sotto le zampe, ma solo se gli serve a deviare i colpi interni.

 

Il che non esclude che ci siano altri che pensano più in grande, e che svolgono il lavoro di fondazione di un edificio internazionale nuovo di zecca, anch'esso all'insegna di "America First", ma con un disegno del tutto nuovo. Steve Bannon, in questo senso, potrebbe essere il cavallo di Troia. A Praga è andato per descrivere l'ordine liberale post bellico come un "feticcio". Che significa? Che da Washington c'è chi osserva con occhi non meno attenti che soddisfatti la disintegrazione politica europea in atto, con l'idea che possa e debba essere aiutata, accelerata, utilizzata. In che senso? Per esempio quello di sostituire alla filosofia della Nato attuale (un re con la coorte di vassalli liberal-liberisti inchinati ai suoi piedi) un'ipotesi di una vera "destra autoritaria popolare transatlantica".

 

Tanto meglio se questo servisse a bastonare duro l'unico alleato in grado di infastidire l'America, cioè la Germania. Mentre si appresta a negoziare e a colpire, se serve, quando serve, i restanti giganti mondiali, Cina e Russia. Se così fosse verrebbe da dire che il rischio che corrono gli Stati Uniti è davvero tanto grande quanto lo è l'Europa. Un gigante di quasi 500 milioni di individui che potrebbe organizzarsi per resistere. Ne avrebbe i mezzi se ne avesse il tempo e la voglia.

 

Il fatto è che questa Europa, questa Germania, questa Francia, non si sono ancora rimessi dagli choc cui l'America li sta sottoponendo. Capiscono che il gioco sta cambiando, ma oscillano tra l'idea che è il caso ormai di preparare le difese, e l'altra idea, opposta, che convenga aspettare che finiscano i fuochi d'artificio. In altri termini sono in molti a pensare a Trump come una meteora. Passerà, come tutte le meteore, e poi si tornerà ai vecchi, buoni rapporti di sudditanza, che garantivano la prosecuzione dei vecchi vantaggi reciproci.

 

È presto per dire quale idea finirà per prevalere ai vertici delle élites europee. Ci si chiede invece cosa intendano fare coloro che oggi, in Europa, cercano di interpretare le spinte dal basso, che pure si moltiplicano. Verso la fine dell'Unione Europea o verso un'altra Unione Europea? Si accende il dibattito, per esempio, tra coloro che pensano che, stanti così le cose, sia utile usare la spinta "eversiva" americana per indebolire la Germania e l'attuale Europa.

 

Contro i quali, paradossalmente, si schierano non solo gli europeisti conservatori di cui sopra s'è detto, ma anche coloro che pensano che un'Europa forte (e più giusta) potrebbe essere lo strumento per fermare l'America. Le elezioni europee del 2019 si annunciano come un banco di prova per tutte le diverse e contrastanti tra loro strategie.

 

Le linee di faglia sono numerose. La Nato americana è il basto per tenere a bada tutti i cavalli. È ovvio che Washington terrà strette le briglie, proprio mentre mena grandi frustate. L'unica linea di difesa, per noi, per il nostro governo attuale, sarebbe quella di individuare cosa sia oggi l'interesse nazionale dell'Italia e, una volta fissati gli obiettivi, andare alla ricerca di alleati.

 

In Europa e fuori, sapendo che potrebbero essere cambiati in corsa. Si veda la pericolosa oscillazione del premier Conte in Canada: passato in poche ore da un'intesa con Trump (apertura verso la Russia) a una resa al richiamo europeo (le sanzioni rimarranno). Senza chiari obiettivi e una abile conduzione delle partite, si finirebbe per fare la fine del vaso di terracotta in mezzo ai vasi d'acciaio. Intanto Putin, il convitato di pietra, mentre di lui si parlava in Canada è andato a Pechino. 

 

fonte: Sputnik Italia

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