di Domenico Melidoro

Zapatero - Lafontaine Tra gli hobbyes più praticati dagli osservatori e dai leaders politici del nostro Paese, soprattutto tra quelli di Sinistra, c'è la continua ricerca di modelli all'estero ai quali richiamarsi per avvalorare le proprie tesi e strategie; oppure l'individuazione di modelli negativi le cui sconfitte elettorali o le cui fallimentari politiche pubbliche possano servire a indicare gli errori da evitare. Tra i leaders europei che negli ultimi mesi si sono imposti all'attenzione del dibattito politico del nostro Paese vi sono, per ragioni diverse, lo spagnolo José Luis Rodrìgue Zapatero e il tedesco Oskar Lafontaine.
Il desiderio di sentir dire e di veder fare "qualcosa di sinistra" ha portato negli anni passati a guardare con particolare interesse ai tentativi compiuti da Tony Blair, peraltro premiato da diversi successi elettorali, di svecchiare la tradizione socialdemocratica nel Regno Unito. Per un po' di tempo è parso che il New Labour e il Partito Democratico di Bill Clinton potessero essere partners prestigiosi nella realizzazione dell'Ulivo mondiale. Il passare del tempo, ma soprattutto l'adesione blairiana al modello sociale neo-liberista e la bellicosa politica estera che il Regno Unito porta avanti al fianco degli Stati Uniti di Bush, hanno provocato malumori e giudizi di segno opposto tra molti di coloro che credevano che Blair fosse davvero capace di innovare la tradizione socialdemocratica andando oltre le consolidate (e al tempo stesso inadeguate a governare la complessità contemporanea) categorie della politica del Ventesimo Secolo. È almeno da due anni, vale a dire da quando nel marzo del 2004 ha guidato i Socialisti nella vittoria delle elezioni politiche spagnole, che Zapatero è guardato con interesse, o anche con malcelata preoccupazione, dalla Sinistra e dal resto delle componenti dell'Unione che sfiderà Berlusconi alle elezioni del 9 e 10 aprile. Di Zapatero colpiscono soprattutto due cose. In primo luogo, la coerenza tra le promesse elettorali e gli atti politici effettivamente realizzati. Ci viene da pensare ovviamente al ritiro immediato, avvenuto subito dopo le elezioni, delle truppe spagnole dalla guerra in Iraq. Si tratta di uno dei temi che avevano dominato la campagna elettorale e Zapatero, a pochi giorni dal drammatico attentato terroristico a Madrid dell'undici marzo 2004, tenne fede agli impegni assunti coi propri elettori dimostrando in maniera inequivocabile la possibilità di rappresentare un'alternativa pacifista al bellicismo imperialista degli Stati Uniti e dei suoi alleati-sudditi esportatori di democrazia confezionata nelle bombe.

In secondo luogo, Zapatero si è distinto per la sua politica di intransigente laicità e di autonomia nei confronti della Chiesa Cattolica che ha portato alla legge sui discussi matrimoni tra persone omosessuali, ma anche ad altri provvedimenti importanti (come per esempio le novità introdotte nella legge che regola la procreazione assistita che il Partito Popolare aveva riformato in senso restrittivo, l'estensione per la depenalizzazione dell'aborto entro le prime dodici settimane di gestazione, la riduzione dei tempi per ottenere il divorzio, ed altre) che puntano alla realizzazione di uno Stato laico e moderno in cui a tutti siano riconosciuti diritti uguali a prescindere dalle opinioni delle maggioranze e dalle credenze religiose. Il cosiddetto socialismo dei diritti proposto e in via di realizzazione da parte del Governo Socialista è stato duramente avversato dalle gerarchie cattoliche, che hanno più volte redarguito i fedeli sulla pericolosità del nichilismo e delle tentazioni relativiste che stanno dietro le politiche liberali di Zapatero. Il Premier Spagnolo dal canto suo, supportato tra l'altro da un invidiabile ottimismo sul progresso civile che lo porta a sostenere che l'atteggiamento conservatore della Chiesa è "ormai una reliquia ideologica" (MicroMega, 2 marzo 2006) inefficace sul piano delle concrete politiche pubbliche, e che non è storicamente possibile che uno Stato democratico rinunci alla propria aconfessionalità e alla neutralità religiosa, prosegue nella sua attività di riforme delle quali spesso non si parla perché si preferisce fare ingiustificati clamori sul (pur condivisibile ma per il momento non applicabile tout court alla nostra realtà sociale) provvedimento relativo ai matrimoni omosessuali.

Un atteggiamento mentale più sereno consentirebbe di rendersi conto della vasta presenza femminile nel governo spagnolo, dell'aumento della spesa sociale e del salario minimo garantito, dei provvedimenti contro la violenza domestica e a favore di una reale parità tra i sessi, del progetto per la riforma del sistema televisivo, del tentativo di creare un sistema di assistenza efficace per le persone disabili, del codice etico per impedire conflitti di interesse, dell'apertura ai movimenti indipendentisti purché rinuncino alla lotta armata. Si tratta di provvedimenti che l'Unione dovrebbe prendere seriamente in considerazione per presentarsi ai propri elettori come una soluzione di continuità nei confronti della Destra di Berlusconi. Invece, si preferisce usare la figura di Zapatero in modo strumentale, sia da parte di coloro che lo presentano come modello in ragione della laicità che lo contraddistingue, sia da coloro che, temendo una perdita di egemonia delle gerarchie vaticane, lo criticano aspramente.

Ben diverso è il discorso che si deve fare per il sessantatreenne Lafontaine, ex presidente del partito socialdemocratico tedesco, la SPD, abbandonata nel maggio dello scorso anno per fondare Die Linke ("La Sinistra"), la formazione politica che, con l'8,7 per cento di voti ricevuti alle ultime elezioni politiche, rappresenta l'opposizione radicale e di Sinistra alla "grande coalizione" guidata da Angela Merkel. Nei mesi scorsi, quando il progetto della Lista Arcobaleno proposta dalla Camera di Consultazione della Sinistra promossa da Il Manifesto e da Asor Rosa sembrava un'opzione praticabile e auspicabile, l'unificazione a Sinistra guidata da Lafontaine sembrava un modello da seguire per unificare tutte le componenti che si dispongono alla sinistra dei DS, pronti ormai a confluire nell'ancora non ben definibile Partito Democratico insieme ai centristi della Margherita. Da Sinistra si guardava - e per fortuna si continua a guardare - con attenzione alle idee di Lafontaine relative a una politica economica e sociale ispirata al funzionamento del welfare dei Paesi scandinavi nei quali "la crescita economica e quella dell'occupazione vanno di pari passo con il più capillare dei sistemi di garanzie sociali" (Intervista a L'Espresso, 9 febbraio 2006).

Adesso, dopo che l'ipotesi della Lista Arcobaleno è stata momentaneamente accantonata e che un eventuale pareggio tra le due coalizioni potrebbe dare vigore alle aspirazioni neo-centriste di coloro che nel nostro Paese propongono un governo di "grande coalizione" per realizzare fondamentali e dolorose riforme strutturali, qualche esponente del Centro-Destra propone al Centro-Sinistra di agire come Schröder, che in Germania ha isolato le frange estremiste di Sinistra per garantire la stabilità necessaria alla riorganizzazione del welfare tedesco e al rilancio dell'economia nazionale.

Qualora qualcosa di analogo avvenisse anche in Italia le conseguenze sarebbero disastrose sia per la Sinistra, sia per le sorti dei ceti sociali disagiati, che continuerebbero a subire politiche economiche e sociali che non incidono efficacemente sui meccanismi di produzione e distribuzione della ricchezza. L'isolamento politico delle forze di Sinistra deve essere assolutamente evitato. Lo sforzo elettorale delle prossime settimane dovrebbe essere accompagnato (non per esterofilia ma perché l'Europa deve diventare sempre di più l'orizzonte della politica nazionale) dallo sforzo intellettuale nel tentativo di coniugare il socialismo dei diritti e della pace di Zapatero con la Sinistra più tradizionale di Lafontaine, che cerca ugualmente di aggiornarsi alla luce dei cambiamenti imposti dalla globalizzazione e dalla complessità del nuovo scenario economico.

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