di Domenico Melidoro

Che governare un Paese complesso e politicamente diviso come l'Italia fosse tutt'altro che un'impresa agevole era una cosa di cui Prodi non dubitava e, le vicende degli ultimi giorni, rafforzano le sue certezza in proposito. Non è stato facile far comprendere ai propri avversari (Berlusconi escluso, che ancora non si rassegna alla sconfitta) che avevano perso il confronto elettorale. Adesso è arrivato il momento della composizione dell'esecutivo e della scelta dei Presidenti delle due camere, ed è stata sufficiente la contesa tra D'Alema e Bertinotti per la presidenza della Camera dei deputati per far vivere momenti di tensione all'interno della maggioranza di Centro-Sinistra che si appresta a governare il Paese. La situazione si è apparentemente tranquillizzata quando il Presidente dei DS ha ritirato la sua candidatura creando di fatto le condizioni perché il leader di Rifondazione comunista possa assumere in breve tempo quel ruolo istituzionale che nei decenni scorsi fu ricoperto, tra gli altri, da figure storiche della Sinistra Italiana come Pietro Ingrao e Nilde Iotti. La rinuncia di D'Alema ha evitato che l'Unione si trascinasse in un vortice di polemiche che l'avrebbe ulteriormente indebolita e lacerata, ma soprattutto ha sottratto Prodi (al giudizio del quale Piero Fassino si era appellato per porre fine alla contesa) all'imbarazzante compito di esprimere la sua preferenza per uno dei due contendenti. Al momento il futuro politico di D'Alema, cui va comunque riconosciuto di aver mostrato senso di responsabilità nel sottrarsi a uno scontro frontale con il Segretario del PRC che è addirittura arrivato a minacciare il sostegno esterno all'Unione, qualora non avesse ottenuto la presidenza della Camera, non è cosa facile da prevedere. La presidenza della Repubblica sembra un obiettivo difficile per chi, agli occhi dei moderati, è pur sempre un ex-comunista; ma non è da escludere che il Presidente dei DS entri a far parte del Governo (ipotesi che all'inizio sembrava non essere gradita dallo stesso D'Alema) oppure che diventi capogruppo dei deputati dei DS e della Margherita che si apprestano a costituirsi in un gruppo unico alla Camera e al Senato. Comunque vadano le cose, resta la delusione per come è stata gestita la vicenda della presidenza della Camera e tanti interrogativi sul futuro immediato dei DS che, pur non avendo ottenuto il consenso che tutti si aspettavano, costituiscono la componente maggiore dell'Unione.

Lo stesso D'Alema ha dichiarato che "il fatto che ci presentiamo con due candidature a questo appuntamento ha dimostrato che qualcosa non ha funzionato". Il responsabile sembra essere agli occhi di tutti Fassino, il quale nella Direzione Nazionale dei DS tenutasi a Roma il 21 aprile, ha subito anche le dure critiche delle minoranze rappresentate da Cesare Salvi e Fabio Mussi. Il primo ha rilevato due errori in tutta la vicenda della presidenza della Camera. Innanzitutto, bisognava evitare di candidare D'Alema senza aver prima verificato l'esistenza delle condizioni necessarie per avanzare tale candidatura; inoltre, non bisognava ricorrere a Prodi per dirimere la questione. Sarebbe stato preferibile rivolgersi ai deputati perché, dopo tutto, è a loro che tocca votare il Presidente della Camera. Fabio Mussi ha invece espresso delusione per i risultati elettorali dei DS al Senato e per quello ottenuto alla Camera dall'Ulivo (composto dagli stessi DS e dalla Margherita) e sollevato dubbi sull'accelerazione imposta da Fassino e Rutelli al processo di costituzione del Partito Democratico senza passare attraverso un congresso. Mussi ha anche criticato la debolezza culturale e politica sottostante a questo progetto affermando di non capire "che partito possa nascere dal punto di vista dell'identità e dell'impostazione culturale".

Fassino ha risposto alle obiezioni evidenziando il senso di responsabilità del proprio partito e in particolare di D'Alema che ha ritenuto opportuno non forzare il confronto con Bertinotti. Il Segretario dei DS ha giudicato positivamente il dato elettorale e vi ha trovato ragioni per procedere alla costituzione di gruppi parlamentari unici con la Margherita come primo passo verso la costituzione del Partito Democratico. Tuttavia, all'interno del partito della quercia sembra regnare un clima di incertezza e malcontento e, l'indecisione e l'improvvisazione con la quale la vicenda della presidenza della Camera è stata affrontata, sembra far emergere contrasti rimasti sopiti nella campagna elettorale. Coloro che auspicavano una forte presenza riformista nelle istituzioni sono rimasti profondamente delusi, tant'è che Massimo Giannini ha scritto che la legislatura dell'Unione "nasce simbolicamente con un atto che mortifica la componente riformista dell'alleanza, e premia invece quella antagonista" (la Repubblica, 22 aprile). Si è venuta a creare una situazione in cui il più grande partito della maggioranza, visto che la presidenza del Senato andrà con molta probabilità a Franco Marini della Margherita o al redivivo Andreotti che sembra essere gradito anche dalla CDL, non vedrà propri esponenti ricoprire i cosiddetti incarichi istituzionali. L'esigenza di riequilibrare la bilancia in favore dei DS appare sempre più sentita, soprattutto in quei settori che più sono stati colpiti dall'affossamento della candidatura di D'Alema.

I diessini (soprattutto quelli più vicini al Presidente del partito) promettono battaglia, pur nel rispetto degli impegni presi nei confronti della leadership di Romano Prodi e dell'esigenza di unità che a loro avviso proviene dal responso delle urne. Spetterà a loro tenere le fila di una coalizione che dispone di una maggioranza risicata e già comincia a offrire il poco edificante spettacolo di conflitti che non sorgono - come ci si potrebbe aspettare - sulle scelte politiche ed economiche ma, molto più prosaicamente, sulla distribuzione degli incarichi istituzionali. Inoltre, sarà loro dovere opporsi alle dichiarazioni di esponenti della CDL che vedono nella nomina di Bertinotti alla presidenza della Camera la dimostrazione di un deprecabile spostamento a sinistra della maggioranza di Prodi. Ad esempio, Carlo Giovanardi ha affermato che "c'è un patto di ferro tra Prodi e la sinistra antagonista, Rifondazione e Verdi, che schiaccia la Margherita ed i diessini. Una cosa molto grave per questa maggioranza perché la schiaccia a sinistra e sarà difficilissimo per loro trovare un equilibrio programmatico e politico in Parlamento".
A tesi del genere si deve rispondere senza esitazione ribadendo che il progetto dell'Unione è quello di porsi in netta discontinuità nei confronti del Governo della precedente legislatura e che, per lasciarsi alle spalle la triste stagione del berlusconismo, il coinvolgimento della cosiddetta Sinistra radicale è quanto mai necessario.

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