di Marco Dugini

"Guardando ai fatti, sono stato eletto dalla maggioranza politica che ha vinto le elezioni, ma sarò il presidente di tutto il Senato, con grande attenzione e rispetto per le prerogative della maggioranza e dell'opposizione nel rispetto della democrazia popolare."
Alla terza votazione Franco Marini, proveniente dal partito della Margherita e candidato per il centro-sinistra alla Presidenza del Senato, è passato con 165 voti, contro i 156 di Giulio Andreotti.
Una vittoria lusinghiera, se si considera il risicato vantaggio che ha al Senato la coalizione che lo ha espresso, vale a dire due soli senatori in più, rispetto al centro-destra.
Dato che le forze dell'Unione ammontano ad un totale di 162 senatori, l'ex-sindacalista della Cisl ha evidentemente guadagnato tre voti in più alla sua causa, in quest'ultima e definitiva votazione, e su questo si potrebbero anche fare delle parziali congetture (Cossiga, Tabacci, e Follini?). Eppure la giornata di Venerdì era stata un vero e proprio "Venerdì nero" per Marini e l'Unione, e forse anche, più in generale, per le istituzioni di questo paese, esposte come non mai allo stress forzato del risiko dei messaggi in codice e dei "pizzini": una trama politicista fatta di velate minacce e relativi tentativi di ricucitura lampo.
Epperò sul momento infruttuosi, se si è dovuto aspettare fino alla giornata di Sabato.
Se adesso l'Unione può, ad ogni buon conto, tirare un grosso respiro di sollievo per il ricercato bis, con Bertinotti Presidente della Camera, e con Marini al Senato, fino a qualche ora prima le facce scure in volto testimoniavano, meglio di ogni altra cosa, la difficoltà dello schieramento uscito vittorioso alle elezioni, nel serrare le fila di fronte ad eventi così importanti ed indicativi per il prossimo futuro del Paese.
E questo in un contesto tragicomico, dove, almeno a Palazzo Madama, tutto il Paese sembrava assistere incredulo ai colpi di scena scaturiti da quella che è parsa ai più una prova di forza tra democristiani.

Un film, un thriller; e questo film democristiano o para-democristiano, ricorda molto da vicino un vecchio capolavoro di Walter Hill: "I guerrieri della notte", con bande e gang rivali che agiscono per ordine sparso, fino al momento in cui qualche santone prova ad unirle tutte, onde avere i numeri per conquistare la città (o la Nazione), finendo tuttavia vittima del cecchinaggio di qualche anonimo franco tiratore.
Dalla scuola politica della Balena Bianca, infatti, provenivano non solo i due contendenti, aspiranti Presidenti, ma anche, molto probabilmente, coloro che hanno complicato la prima, simbolica, prova di governo del centro-sinistra, anche se la posta in gioco apparentemente sembrava limitarsi alla seconda carica dello Stato.
Ancora alla seconda votazione, al di là delle schede bianche, erano tre i voti per un certo "Francesco Marini", che la Commissione fatta di segretari-senatori, ha deciso, giustamente, di non assegnare al più noto Franco Marini.
Antonio Di Pietro, in serata, si era scandalizzato per l'accusa di "pizzini" rivolta a qualche anonimo parlamentare dell'Unione, scongiurando quest'ipotesi; eppure con la ripetizione della seconda votazione, avvenuta dopo cena, quindi dello scherzetto ai danni di Marini e, più indirettamente, di Prodi, è sembrato ormai chiaro che di pizzini davvero si trattava.
I "Francesco for President", questa volta, si sono ridotti dal numero di tre ad uno, ma tanto è bastato per far fallire per l'ennesima volta l'elezione e rimandare la decisione definitiva alla terza votazione, il giorno seguente.
Giorno seguente che infine è arrivato, e finalmente è stato quello risolutorio.

Eppure, su tutto questo, ci sarebbe molto da dire.
Intanto chi sono e che tipo di messaggi politici volevano mandare questi franchi tiratori?
Sui primi tre, certo, è molto facile pensare ai tre senatori dell'Udeur, in cerca di poltrone governative.
Ma sparare sulle truppe mastellate è come farlo sulla Croce Rossa e così sarebbe un giallo troppo prevedibile e privo di fascino; d'altronde neanche si può fare il processo alle intenzioni.
Ma per quanto riguarda l'ultimo degli irriducibili, che ancora ieri sera alle ore dieci faceva finta di non aver capito che Marini ha un solo nome, cioè Franco, è davvero difficile non pensare al famoso senatore Pallaro, eletto in Sud America, rappresentante degli italiani all'estero, non ideologicamente schierato e assurto alle recenti cronache per i ripetuti cambi di posizione, con tutta la forza ricattuale al Senato che il rocambolesco risultato delle elezioni gli ha affidato.

Pallaro, nei giorni scorsi, si era detto disponibile a votare Marini, a patto che l'Unione mettesse nero su bianco una chiara presa di posizione in favore degli italiani all'estero.
Per sembrare più convincente, evidentemente, avrà pensato di rendere ben riconoscibile il suo voto, e vistosa la situazione di empasse che è in grado di creare a Palazzo Madama.
In questo senso, non è sembrato molto strano che Franco Marini, nel suo discorso d'investitura, abbia dedicato un corposo capitolo non solo ai "sinceri" ringraziamenti verso l'operato ministeriale di Mirko Tremaglia (che ai più è parsa una provocazione), ma anche per soffermarsi sui temi e le condizioni di vita, passate e presenti, degli italiani all'estero, che la sinistra ha tradizionalmente sempre snobbato, considerandoli al più una fucina aggiuntiva di voti per le lobby estere del centro-destra; invece si sono dimostrati i veri fautori della vittoria del centro-sinistra, congiuntamente a quel falegname veneto "autonomista", che ha sottratto alla Camera qualche importante migliaio di voti ai danni della Lega Nord.

Sarà dunque soddisfatto, adesso, il senatore Pallaro?
Lo sarà, egualmente, qualche altra piccola forza politica, scontenta dell'attuale ripartizione governativa dei Ministeri? Oppure questi franchi tiratori proseguiranno con azioni di questo tipo nel corso della prossima legislatura? E' forse questa la domanda che in tanti si stanno ponendo, in particolare nel quartier generale dell'Unione.
Questo, però, da perfettamente l'idea del centro-sinistra, in quanto vero responsabile di ciò che sarà o farà in futuro se è vero com'è vero, che Andreotti, il candidato del centro-destra al Senato, in fin dei conti non è riuscito ad attrarre verso di sé nemmeno un voto centrista dell'Unione e, in un primo momento, non è stato capace nemmeno di compattare la sua coalizione di riferimento, dato che la Lega ha deciso di votare il suo candidato di bandiera, Calderoli.

Dunque l'elezione della Presidenza del Senato ci dice che anche la Casa delle Libertà può arrivare disunita al voto, ma l'Unione nemmeno questa volta ha saputo approfittarne.
La posta in gioco, ora e domani, non è solo il ruolo di Marini, non è solo quello di Bertinotti, ma è la possibilità, che va cercata ogni giorno, di una coalizione che sappia portare avanti, con determinazione e coerenza, quel programma di breve periodo (cinque anni di legislatura) che si è data e grazie al quale ha goduto della fiducia di metà più uno dell'elettorato.
Per fare questo c'è bisogno di tante forze, e di una politica che sappia mettersi in discussione e in connessione sentimentale con il suo popolo e oltre. Quindi nuove idee e nuove pratiche di partecipazione, e meno vecchi arnesi e modalità da Prima Repubblica.
Con la speranza che tutto questo non trovi eco solo nella retorica, ma nella visibile, tangibile, buona azione quotidiana. Prodi è avvisato.

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