di Carlo Musilli

Da vigoroso profeta della secessione padana a mesto politicante. Uno dei tanti, beccato con le mani nella marmellata e costretto alle dimissioni. Nel perfetto stile della prima Repubblica. La parabola discendente di Umberto Bossi non poteva chiudersi in un modo più italiano di questo. Proprio lui, l'alfiere celtico del celodurismo leghista, che per vent'anni esatti ci ha assordato con i suoi vaniloqui insostenibili. Xenofobo, razzista, oggi reietto in casa propria.

E adesso? Che ne sarà della Lega? Per il momento le redini passano in mano a un triumvirato: Roberto Calderoli, Roberto Maroni e Manuela Dal Lago. Dopo di che le camicie verdi dovranno affrontare un problema rimandato ormai da troppo tempo, quello del congresso federale (l'ultimo risale al 2002).

I militanti lo chiedono da una vita, ma fin qui i membri del cerchio magico bossiano (Marco Reguzzoni e Rosy Mauro su tutti) sono stati abilissimi a dribblare la questione, per evitare di essere surclassati dall'esercito veneto dei maroniani. Ora però è stata pizzicata anche la buona Rosy, che ha intestato la sua casa in Sardegna al Sinpa, il sindacato leghista da lei diretto. Il cerchio magico non esiste più, la storia è cambiata.

Il congresso dovrebbe tenersi entro l'autunno e con ogni probabilità il futuro segretario sarà proprio Bobo Maroni, lo stesso che è stato insultato in via Bellerio all'urlo di "Giuda traditore!". Ci sono poi molti veneti maroniani che preferirebbero vedere seduto sullo scranno più alto del partito Luca Zaia, l'amatissimo sindaco di Verona. Tutto questo per dare un'idea di quanta coesione ci sia nel movimento leghista.

Prima di tutto, però, al congresso bisogna arrivarci. E non è detto che il triumvirato sia in grado di traghettare il partito così in là, evitando il naufragio. Anche perché fra un mese ci sono le amministrative (con sua maestà Tosi in lizza per la riconferma) e nel frattempo bisogna continuare a fingere di essere all'opposizione. Almeno nell'attaccare il governo Monti, sarà necessario trovare una linea unitaria.

Poi c'è il problema dell'amore-odio con il Pdl. La vera domanda politica che emerge dallo sfaldamento della Lega è questa: che fine farà la principale alleanza che negli ultimi decenni ha tenuto in piedi in centrodestra italiano? Allo stato attuale, il Terzo Polo diventa un alleato indispensabile per i berluscones. Allo stesso tempo Casini & Company potrebbero essere rinfrancati dalla deriva leghista e lasciarsi finalmente sedurre dalle sirene pidielline.

La sensazione è che un ciclo politico si sia chiuso: la Lega, se sopravviverà, non sarà più la stessa. E questo - almeno nello scacchiere parlamentare - è un cambiamento ancora più radicale di quello arrivato con le dimissioni di Berlusconi da presidente del Consiglio.

Il Cavaliere non è più nel cono di luce, ma dall'ombra muove ancora i fili del suo partito. O, per meglio dire, "è" ancora il suo partito, visto che si tratta di una formazione retta interamente dallo strapotere e dalla ricchezza del leader.

La stessa cosa una volta era valida anche per il Carroccio, almeno per quanto riguardava il carisma assoluto del padre-padrone. Da tempo Bossi non è più in questa posizione fra i suoi, e l'uscita di scena definiva è solo il sipario finale sull'ennesima tragicommedia italiana.

C'è da scommettere che Maroni, se e quando prenderà il posto del Senatùr, non sarà più disposto ad ascoltare la voce rauca del vecchio mentore (nonostante abbia garantito - con somma ipocrisia e forse un pizzico di scherno - che se Umberto si candidasse nuovamente come segretario lui sarebbe pronto a sostenerlo). Tutt'altra storia rispetto al rapporto di rigida subordinazione che lega Angelino Alfano all'ex premier.

Il dubbio però è che Bobo abbia aspettato troppo prima di presentarsi al varco della successione. Se avesse avuto un minimo di lungimiranza politica, Bossi si sarebbe ritirato quando ancora gli era possibile recitare la parte del barbaro duro e puro, simbolo del movimento e suo nume tutelare.

Se non l’ha fatto è stato per pura avidità: sua, del cerchio magico e della sua famiglia. Ingenuamente, è rimasto avvinghiato alla poltrona fino all'ultimo istante in cui gli è stato possibile, esattamente come avrebbero fatto i loschi figuri della "Roma ladrona" che ha vituperato per anni.

Ma ora che il leader fondatore viene archiviato nella vergogna dello scandalo, che credibilità rimane alla vecchia guardia per proporsi come nuova guida? Maroni e Calderoli dovranno sostenere di non aver mai saputo nulla di quello che accadeva in tesoreria. A quel punto però i loro elettori saranno indecisi se tacciarli di malafede o di semplice stupidità. Una terza opzione non è contemplabile. Fatte le debite proporzioni, è la stessa trappola in cui è caduto Francesco Rutelli dopo il caso Lusi. Il Pdl questo lo sa e farà di tutto per non farsi trascinare a fondo dai vecchi alleati.

Insomma, le dimissioni del Senatùr potrebbero essere ricordate come una svolta periodizzante nella politica italiana perché rischiano di provocare il riassetto di mezzo Parlamento in vista delle future elezioni politiche. La Lega potrebbe scomparire dai radar per colpa del suo leader padano, che alla fine si è dimostrato troppo italiano. Non un barbaro padano, ma un normale trafficone. Uno dei tanti.

 

 

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