di Domenico Melidoro

Non crediamo di incorrere in errori grossolani se interpretiamo il voto degli italiani a favore di Prodi e dei partiti dell'Unione come l'espressione di un desiderio di voltare pagina rispetto alla triste stagione del Berlusconismo, caratterizzato da vergognose leggi ad personam, da una drammatica crisi dell'economia e da una politica estera eccessivamente prona agli istinti bellicisti del potente alleato d'oltreoceano. La vittoria del Centrosinistra è stata tutt'altro che netta, e dunque si è capito fin da subito che il Professore avrebbe avuto un bel da fare a tenere insieme una maggioranza che non è politicamente omogenea, nonostante la più o meno reale unità di intenti riscontrata durante la stesura del programma di coalizione. Non sappiamo se Prodi sia nel giusto quando definisce 'sexy' la sua maggioranza, tuttavia non si possono non sollevare dubbi e perplessità sui primi mesi di governo e soprattutto sul futuro che attende Prodi e il suo esecutivo, che subisce critiche ad ogni piè sospinto sia dall'opposizione che da pezzi più o meno consistenti della maggioranza. La nascita stessa del Governo, con la proliferazione di incarichi non sempre pienamente giustificabili, ha fatto gridare più di un osservatore al ritorno in grande stile della partitocrazia e delle sue logiche di spartizione del potere. Le minacce di futuri tagli alla spesa sociale hanno messo sul piede di guerra i partiti della sinistra alternativa e i sindacati che minacciano di non fare sconti in tema di welfare. A surriscaldare il clima si sono aggiunte le proteste di tassisti, farmacisti e di altre categorie professionali che hanno criticato le liberalizzazioni volute dal Ministro Bersani: esse, a nostro avviso, rappresentano una prima misura necessaria ma non sufficiente per ammodernare il nostro sistema economico e per mettere in discussione privilegi consolidati e rendite di posizione. Tuttavia, l'azione riformatrice del governo non può fermarsi alle liberalizzazioni, come se per rimettere in cammino l'economia del Paese bastasse mettere in pratica solo quei provvedimenti che Berlusconi e i suoi alleati non sono stati in grado di realizzare e che ora mostrano di gradire più o meno esplicitamente.

Le questioni del rifinanziamento delle missioni militari all'estero e dell'indulto rappresentano altre due vicende cruciali sulle quali andrebbe misurata la discontinuità tra il governo Prodi e quello che lo ha preceduto. Per quanto riguarda la politica estera, non si può non vedere, come anche Pietro Ingrao e Armando Cossutta hanno cercato di spiegare, che le prime mosse di D'Alema si pongono come una soluzione di continuità nei confronti del quinquennio precedente, quando Berlusconi e i vari ministri degli Esteri che si sono succeduti alla Farnesina non erano stati capaci di impostare una politica estera autonoma rispetto alla pressante egemonia di Bush e alle sue aspirazioni imperiali. Il nuovo corso della politica estera italiana, che tra l'altro prevede la necessità di cercare di stabilire le condizioni affinché l'Europa parli e agisca con una sola voce nelle vicende internazionali, è dunque qualcosa che non si può ignorare, anche per coloro che si sono opposti al rifinanziamento della missioni in Afghanistan e poi sono stati costretti a votare a favore del Governo quando Prodi ha ritenuto opportuno fare ricorso (ancora una volta!) al voto di fiducia.

Anche l'indulto, ritenuto da Mastella un fondamentale atto di clemenza nei confronti dei detenuti che vivono una disumana condizione carceraria, ha creato più di un problema alla composita maggioranza dell'Unione. Di Pietro e i suoi fedelissimi hanno rumorosamente protestato contro un provvedimento che, tra l'altro, prevede misure di riduzione della pena anche per coloro che hanno commesso reati finanziari e truffe ai danni dei consumatori. Anche i Comunisti Italiani sono stati critici verso l'indulto e si sono astenuti quando si è trattato di votare, senza però eguagliare il fantasioso di Pietro, secondo il quale il Parlamento è popolato di componenti della 'Banda Bassotti'. L'ex PM di 'Mani Pulite' grida al colpo di spugna e, pur senza condividere i suoi toni, non si può non condividere qualcuna delle sue preoccupazioni. Pur comprendendo che per far passare l'indulto è necessaria una maggioranza dei due terzi (e dunque i voti di settori della CDL), l'impressione di fare un favore a Berlusconi resta, nonostante le pronte rassicurazioni da parte di Fassino, secondo il quale bisognerebbe abrogare le cosiddette 'leggi vergogna' approvate dal Centrodestra.

E allora: c'è o no la tanto agognata discontinuità dell'attuale governo? Non vogliamo affermare che niente vada per il verso giusto, e di fatti segnali positivi ci sono (basterebbe fare cenno soltanto alla già citata questione delle liberalizzazioni oppure ai tentativi di Mussi di rendere partecipe il nostro Paese dei benefici derivanti dalla ricerca sulle cellule staminali). Eppure non ci si può nascondere le difficoltà oggettive incontrate quotidianamente da Prodi e dagli altri ministri. Nonostante Prodi sia convinto dell'autosufficienza delle forze che lo sostengono, le minacce di modifiche nella composizione della maggioranza sono sempre presenti. I tentativi di ricomposizione delle forze centriste sono sempre all'ordine del giorno e, qualora ottenessero un minimo di successo, ciò implicherebbe il fallimento del bipolarismo e della maggioranza uscita vittoriosa dalle urne. In questo caso, come Prodi ha più volte ripetuto, si dovrebbe tornare alle urne, senza sperimentare governi di larghe intese (o 'tecnici', come preferisce chiamarli Silvio Berlusconi) che contribuirebbero a mandare in soffitta il già precario bipolarismo. E allora, come ha scritto Edmondo Berselli, "Prodi non ha altra strategia se non di fare un passo in più degli avversari, un metro alla volta, uno scatto dopo l'altro" (L'espresso, 3 agoso 2006), con la consapevolezza che la situazione è oggettivamente difficile, ma che vale la pena provare ad imprimere una svolta riformatrice a un paese in profonda crisi economica e sociale.

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