di Sara Nicoli

Dire quanti ne siano morti, solo nell’ultima settimana, con negli occhi un lembo di terra a portata di mano e solo in un attimo diventato irraggiungibile, lo si saprà con certezza solo tra qualche tempo, quando il mare avrà restituito le salme. Ma sarà comunque un calcolo incerto, come altrettanto incerta è la sorte di chi, invece, si è salvato dal mare ma non riuscirà a farla franca dal raggelante abbraccio della Bossi-Fini e dalla conseguente segregazione in qualche Cpt nazionale, senza via di scampo. Avvoltoi di ogni provenienza si stanno avventando, in questi giorni, sugli stranieri annegati nel Canale di Sicilia. La destra che cerca di mettere in difficoltà il governo, sindaci e assessori al turismo di Lampedusa che esigono il blocco delle barche a debita distanza dai vacanzieri (come dire, che anneghino più in là!), sedicenti esperti di immigrazione che declinano litanie di stampo razzistico che, in buona sostanza, finiscono tutte allo stesso modo; chiudiamo le frontiere e non se ne parli più. Anzi, sparate a vista, ha sintetizzato come al solito Calderoni, ancora una volta in prima linea quando si tratta di sfoderare quella xenofobia spicciola che è punto di riferimento inalienabile dello zoccolo duro del suo elettorato. “Una salva davanti e una di dietro e le barche non partiranno più”, ha chiosato finemente il dentista di Bergamo. Ma anche questo, ormai, è un deja-vu che non fa più notizia.

L’emergenza umanitaria, invece, è pressante. A sinistra si sta pensando a come coinvolgere l’Unione Europea per limitare le partenze dei migranti mentre il ministro Amato nomina pool di poliziotti che dovranno agire come una sorta di antiterrorismo o antimafia della situazione per frenare il più possibile i flussi. Ma al di là di interventi circostanziati, è lo scoglio politico a tenere banco. E i nodi da sciogliere sono almeno tre: i rapporti tesi con la Libia, il ruolo dell’Europa, il superamento della Bossi Fini.

Già, la Libia. Nel momento di massimo stress nei giorni degli sbarchi massicci, il ministro Amato ha indicato un colpevole principale (salvo poi fare marcia indietro) di questo fenomeno dalle proporzioni planetarie, non certo solo italiane. E se l’è presa con Muammar Gheddafi, asserendo che sia lui il regista dello scempio dei clandestini e che manovri nell’ombra per fare pressioni sull’Italia e costringere il governo a costruirgli l’autostrada Tripoli-Bengasi, duemila chilometri di asfalto per 6 miliardi di euro, che Berlusconi gli aveva promesso e che è finita come tutte le promesse di Berlusconi, un clamoroso bluff. Forse Gheddafi non è comunque al di sopra di ogni sospetto ma, come accade sovente in Italia, si preferisce guardare il dito e non la luna, scaricando su immaginifici complotti internazionali e ferite diplomatiche antiche mai risolte l’incapacità di superare quello che rende gli attuali sbarchi di clandestini un problema più pesante per noi che per altri Paesi: la Bossi-Fini.

La sostanza della legge che ha blindato le nostre frontiere, criminalizzato i migranti senza permesso di soggiorno e riempito le galere di clandestini che non hanno commesso alcun reato, ha mostrato a Ferragosto tutta la sua inadeguatezza e ha presentato un piatto davvero indigeribile per la ripresa dei lavori parlamentari. Come tante altre leggi disastrose emanate in cinque anni di governo Berlusconi, anche la Bossi-Fini è tra quelle che dovrebbero finire nel dimenticatoio, ma questa maggioranza di governo non ha i numeri per farlo con rapidità e, soprattutto, senza compromessi. Nonostante la sinistra più radicale abbia già messo in ponte una serie di iniziative per chiedere l’azzeramento della legge, a partire dalla chiusura dei famigerati Cpt, è di tutta evidenza che senza un accordo con il centrodestra la legge rimarrà quella che è, senza raggiungere neppure quella “modernizzazione” invocata, alla luce dei fatti, dal forzista ex ministro dell’Interno, Beppe Pisanu. Le prospettive di interventi immediati sono, dunque, da considerarsi remote, nonostante l’emergenza.

Ma c’è anche un altro aspetto, il tema caldo dell’Europa e dei rapporti con i Paesi dalle cui coste salpano i barconi. Tutta l’Unione, seppur con sfumature diverse, sta facendo pressione perché un intervento comunitario sia in grado di equilibrare i rapporti con i Paesi africani e si rivolge a Bruxelles per chiedere politiche più incisive. Il Viminale ha contemporaneamente percorso la strada diplomatica con la Libia, che proprio martedì si è detta disponibile ad incontrare Italia e Malta per discutere: il vertice dovrebbe svolgersi la prima settimana di settembre. Tra le priorità in agenda: il problema dei pattugliamenti - fino ad ora la Libia ha negato il consenso affinché si svolgessero nelle sue acque territoriali - e come sconfiggere il traffico di esseri umani in senso più ampio, come fenomeno mondiale e non solo Mediterraneo. Un passo avanti; non decisivo, ma comunque un passo avanti.

E questo riguarda il problema nel suo complesso. L’emergenza dentro le nostre sforacchiate mura domestiche resta, dunque, la Bossi-Fini e come disinnescarla al più presto. Il governo, pur nella consapevolezza dei numeri e di quella, non meno grave, dei rapporti con l’opposizione, sembra comunque intenzionato a “svuotare” i Cpt, riprendendo parte della filosofia contenuta nella Turco-Napolitano. L’idea ruota poi intorno alla possibilità di intervenire sul punto che riguarda il contratto di soggiorno per gli stranieri, pur lasciando la possibilità di ingresso nel nostro Paese che la Bossi-Fini, com’è noto, ha di fatto negato alla radice. In questo caso si tornerebbe al legare il permesso di soggiorno alla necessità di avere un lavoro. Un modello mutuato dalla Gran Bretagna, dove esiste la figura dello sponsor che garantisce per l’immigrato riguardo all’occupazione e ne diventa il garante.

All’opposizione, ovviamente, questa proposta non piace, ma sarebbe stata una notizia il contrario. Quello che è meno ovvio è il comportamento di alcuni esponenti del governo come il ministro Di Pietro. Che lungi dal riflettere sul dramma vissuto dai clandestini chiusi nei Cpt, dall’urgenza di superare, anche con la cancellazione se necessario, una legge che viola principi fondamentali di umanità nei confronti di quella più dolente e bisognosa, con la stessa sensibilità dimostrata nei confronti del sovraffollamento delle carceri nei giorni duri del dibattito sull’indulto, il leader dell’Italia dei Valori non ha detto una parola sul superamento della Bossi-Fini concentrando il proprio rancore giustizialista contro il laeder libico Gheddafi. Secondo il ministro, “la quasi totalità delle imbarcazioni parte dalle coste libiche con il tacito assenso delle autorità locali; tra l'Italia e la Libia esiste da tempo un contenzioso: gli italiani espulsi a suo tempo dalla Libia hanno lasciato ogni loro avere, non ebbero alcun risarcimento. Gheddafi usa i clandestini per fare pressione sul governo italiano. Oggi vuole un'autostrada, domani chissà che altro. Le partenze dalla Libia rappresentano un chiaro atto di ostilità nei confronti del nostro paese e non possono più essere tollerate. L'Italia dovrà prendere in considerazione di fronte a queste continue violazioni del suo territorio, anche il presidio delle sue acque territoriali, oltre a un atteggiamento intransigente nei confronti del governo di Tripoli”. Se le parole di Di Pietro, com’è nelle cose che sia, sono solo un assaggio di qual è la reale coesione della maggioranza sul fronte della revisione della Bossi-Fini non c’è di che stare allegri. L’unico dato certo, fino a questo momento - e sul quale invitiamo alla riflessione - è che chi non muore in mare poi rischia di morire nei Cpt per colpa di una legge sbagliata e piena di incongruenze. Per i migranti l’approdo con l’Italia è, dunque, rischioso due volte: se l’abbraccio mortale non arriva dal mare, quello della Bossi-Fini il più delle volte finisce il lavoro.

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