di Giovanna Pavani

L'organo di stampa di An, quello ufficiale, esclusi cioé tutti quelli pubblici conquistati, si avvia a chiudere. Non é il mercato, non è la perfida Albione, non é il bolscevismo: é Fini che lo chiude. Lo ha detto a chiare lettere a colonnelli, caporali ed attendenti riuniti per discutere di politica e obbligati adesso a discutere di altro. Finiti i bei tempi del ventennio, passati pure quelli del quinquennio, la politica, se non la storia, presenta il conto. La prende male Maurizio Gasparri: “Mi dispiace, ma sul “Secolo” non sono e non posso essere un osservatore distaccato. Sono entrato là come abusivo e ne sono uscito da direttore. Anzi, non ne sono uscito affatto perché sono in aspettativa”. Pur confondendo le ragioni del cuore con i contributi previdenziali, Gasparri ha incassato peggio di altri colonnelli di via della Scrofa l’intenzione del presidente di An di far sparire anche l’ultima fiammella del loro passato: chiudere Il Secolo d’Italia. Per Fini, infatti, ormai c’è poco da congetturare. “Così com’è - ha arringato la platea dell’Assemblea nazionale del partito - non ha ragione di esistere; costa troppo, ci attacca in continuazione, meglio spendere i soldi in modo diverso. Dobbiamo trovare il modo di comunicare meglio perché c’é carenza di informazione a destra e c'è la possibilità di fare un giornale che sia fuori dalle logiche di partito”. La frase spiazzante del leader di An, quella sul “Secolo” – costretto, nel migliore dei casi, a subire una pesante ristrutturazione – è sintomo dell’avvicinarsi, almeno nelle intenzioni, di un nuovo passaggio politico. Forse ancora un nuovo strappo con il passato ed un ulteriore passo avanti verso l’ala moderata europea. L’orizzonte, l'"approdo finale" come ha voluto chiamarlo Fini, è il Partito popolare europeo, con An nel ruolo di traino interno alla coalizione della Cdl. “ Non siamo un movimento di centro – ha rivendicato Fini - ma centrale alla coalizione”. E come sempre accade quando si respira l’aria di un nuovo passaggio, i primi a farne le spese sono i giornali di partito. Nello specifico del “Secolo”. Ma Gasparri mastica amaro.

Lontano da sempre dai massimi sistemi della politica e più avvezzo a rimanere strettamente ancorato alla propria bottega, l’ex ministro delle Comunicazioni dei discorsi alati di Fini ha colto solo il passaggio della chiusura del “suo” giornale. E, con rabbia, ha rivendicato platealmente di essere arrivato alla medesima conclusione di Fini prima degli altri. Molto prima degli altri, ma non fu capito. Chissà perché. Erano tempi diversi, d’altra parte. “Era l'epoca di Almirante e allora - ha raccontato - si doveva scegliere tra investire su un quotidiano o sulle radio. Noi allora avevamo ottime frequenze nelle grandi città ma, purtroppo, venne scelta la via del giornale. Ancora mi mangio le mani”. Una lungimiranza di pensiero che non fu colta, malgrado l’autorevolezza dell’autore di una siffatta visione del futuro delle comunicazioni. Lo comprese evidentemente uno come Berlusconi che lo face accomodare sulla sedia più alta dell’omonimo ministero; serviva qualcuno che apponesse una firma al posto suo sulla legge di massima tutela dei suoi interessi massmediatici. Si doveva far accomodare un accomodante. Gasparri era l’uomo giusto al posto giusto.

Comunque, ora il Secolo volterà pagina. Verrà ripensato. Perché chiuderlo potrebbe sembrare una sconfitta della destra politica e questo, a via della Scrofa, non lo vuole nessuno. Ma l’evidenza non lascia adito a dubbi: se il Secolo chiude è perchè i suoi costi hanno nettamente superato ogni beneficio, a partire dalla comunicazione politica. Certo, quando a mancare sono soprattutto la cultura e i contenuti, prendersela con i redattori del giornale è davvero un’inutile cattiveria. Ma a destra, si sa, sono spietati. E non ammettono mai le sconfitte.

In parecchi già si interrogano su come dovrà essere in futuro l’organo (oggi diretto da una donna, Flavia Perina) che da decenni da voce alla destra e che ha visto formarsi nella sua redazione molti degli attuali esponenti della classe dirigente del partito, dallo stesso presidente a Francesco Storace, da Adolfo Urso a Mario Landolfi, i “ragazzi di via Milano” come li ha immortalati in un libro nostalgico uno di loro, il direttore del Tg2 Mauro Mazza. Fini non ha dubbi: il problema del “Secolo” il partito lo deve affrontare. Dentro l’ultimo schizzo di acqua di Fiuggi annega un altro pezzo della destra italiana. Per le grandi traversate sono inutili le zattere.







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