di Elena G. Polidori

La Chiesa non fa politica. Ma detta la linea ai politici e pretende obbedienza. Mentre un nutrito drappello di parlamentari, democristiani di ieri e teocon di oggi, planavano su Verona con volo speciale (spiccavano, dopo Romano Prodi, Rosy Bindi, Pier Ferdinando Casini, Buttiglione ed Enzo Carra ) per dimostrare ancora una volta il proprio ossequio ai diktat d’Oltretevere, in uno stadio Bentegodi stracolmo e ridondante di fischi verso Prodi e Berlusconi, Benedetto XVI cominciava a leggere le trenta cartelle del suo discorso. Che passerà alla storia come l’apoteosi dell’ipocrisia cattolica e la ferma volontà di Santa Romana Chiesa di non mollare neanche un minuto la propria pressione ed ingerenza sulla politica e nel tessuto connettivo laico del Paese. In puro stile Ratisbona, il Papa ha tenuto un'altra solenne “lezione magistrale”, stavolta senza scivolare in citazioni ambigue nei confronti dell'Islam, ma sparando con grande chiarezza contro i laici, l’amore gay e i soliti pacs: oscurantismo di una Chiesa che “non fa politica”, ma che pretende di governare, obbligando la politica all’obbedienza. E con raggelante successo. Il pensiero di Ratzinger, col passare del tempo, si fa sempre più chiaro. E anche più duro. Il punto di partenza è sempre lo stesso, il giudizio sul mondo moderno e la sua cultura. Un giudizio decisamente negativo. Relativismo, utilitarismo, individualismo. Un vero disastro. La secolarizzazione, con le sue conseguenze, ha colpito un po' tutti, anche l'Italia.
Il “disastro”, agli occhi di Oltretevere, indica una motivazione chiara: Dio è diventato superfluo o estraneo alla vita pubblica e la cultura espressa dall’Occidente assimila la vita dell’uomo a quella di qualsiasi altro animale, un semplice prodotto della natura. E lui come tale si comporta, provocando “immani devastazioni” che hanno come conseguenza immediata la perdita di cittadinanza della Chiesa all’interno della società. Una perdita lenta e inesorabile del potere di coercizione delle coscienze, assolutamente inaccettabile per le alte gerachie ecclesiastiche. E così il Papa tedesco, dopo aver affermato che la Chiesa non deve fare politica, ha immediatamente invertito la rotta, riconfermando la lunghissima lista di veti, minacce, proibizioni. No all'eutanasia, diritto alla vita, difesa della scuola cattolica e soprattutto no ai pacs. La fine del discorso non poteva che suggellare la contraddizione delle parole con l’azione e culminare con un richiamo politico molto forte, un invito chiaro a leggere negli atti dei teocon impegnati in politica, quella sponda di salvezza attraverso cui imporre, stavolta attraverso la legge, una morale cattolica buona per tutti.

Ci sarebbe da riflettere a lungo sulla deriva della Chiesa cattolica italiana, che ormai fa coincidere la religione con la morale e la fede con l'etica sessuale. Nelle dichiarazioni del papa a Verona si è assistito ad una preoccupante escalation; insieme ad una religione fatta solo di divieti e che si esprime ormai solo in negativo (proibisce e non afferma) si è aggiunta l'invettiva e, in alcune occasioni, anche l'insulto. Ratzinger, parlando delle famiglie di fatto e delle coppie omosessuali, le ha apostrofate ancora col termine di “deviate” e di "amori deboli", contravvenendo all’ antico precetto cristiano del "non giudicare", che dovrebbe essere sempre molto presente in chi professa l’amore di Dio come assoluto.

Ma non è neppure questo il punto. L’Italia è vista da Ratzinger come la trincea da cui combattere la perdita del proprio potere secolare e il rischio del distacco definitivo della società dalle “radici cristiane”, in questo caso contrapposte alla laicità dello Stato e alla Costituzione italiana. E’ nato da qui, da questo urlo contro la laicità, il fulcro del messaggio politico del papa bavarese sulla folla di Verona: rafforzare i rapporti con l’area teocon. Tutti sono stati invitati a cogliere la “grande opportunità” di diventare primi difensori della fede contribuendo “alla crescita morale e culturale dell’Italia”. Che, inversamente, conoscerebbe un pericoloso e disgregante declino, a cominciare dall’introduzione dei pacs, forma destabilizzante della famiglia mirata ad “oscurarne il suo carattere peculiare”. Passaggi del discorso salutati con applausi da un radioso cardinal Ruini, presidente della Cei, e che, ancora una volta, hanno messo in evidenza come la chiesa non abbia davvero più argomenti validi da proporre attraverso un ragionamento razionale. Che senso ha, infatti, opporsi strenuamente a un enorme processo di modernizzazione della società che, attraverso una legislazione riformista, ha già introdotto in tutti i grandi Paesi europei norme la cui applicazione ha smentito, in modo plateale e inoppugnabile, gli strali ecclesiastici? Nessuno. Ma proseguendo su questo terreno dell’ingerenza e dell’ascolto ossequioso del verbo da parte della politica, l'Italia rischia di restare l'unico Paese europeo senza una legislazione sulle coppie di fatto, causa la pervicace pretesa vaticana di continuare ad imporre alla politica italiana la propria agenda. E non solo in questo ambito.

Ciò che stupisce ancora di più è che ci sia una parte cospicua della sinistra di governo che, pur non essendo uscita ancora allo scoperto, schierandosi apertamente sul lato teocon della riva del fiume, assista con colpevole immobilismo alla pretesa ecclesiastica di avere l'ultima parola sui temi della morale e del costume. Rattrista vedere l’antica identità laica e progressista , radice fondante dei Ds, annegare nei diktat di quella parte della Margherita che sostiene che sui temi come l'eutanasia, la modifica della legge 40, l'antiproibizionismo sulle droghe e il pacs, non si debba nemmeno aprire una discussione perchè è in gioco la formazione del Partito Democratico, per le cui sorti l’ala centrista non ha alcuna intenzione di perdere la fetta più grossa della torta elettorale cattolica. Ed è ancor meno accettabile che, in nome della blandizie nei confronti dell’elettorato cattolico, la medesima parte consistente della sinistra di governo abbia deciso di soggiacere alla pretesa vaticana di incarnare l’unica morale che si pretende naturale, universale, imperitura, mentre ciò che esprime il mondo laico sarebbe solo qualcosa di provvisorio, di debole. E persino deviato.

Sarebbe irrealistico pensare che il nostro paese, in tempi brevi, sappia riconoscere, prima nella società civile che nelle aule parlamentari, la pari dignità tra le culture, tra le morali, tra chi crede e tra chi non crede; non se ne intravedono i presupposti. Al momento, ci si limita a guardare con stupore ad un Papa che pretende di essere creduto quando insulta l’intelligenza collettiva affermando che la Chiesa non fa politica. Ma soprattutto chi, per opportunismo politico personale, si vuole costruire un partito con l’agenda del Vaticano al posto dello statuto. Pretendendo poi di essere votato anche a chi aderisce ad una sola religione: quella laica.

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