di Sara Nicoli

Chi nasce Epurator muore epurato, si potrebbe dire parafrasando il vecchio adagio della nemesi popolare secondo cui, prima o poi, chi di spada ferisce, con lo stesso mezzo viene fatto fuori non appena il caso ne concede l’opportunità. Gianfranco Fini, presidente di An, non ha invece atteso che si verificasse un particolare casus belli per decidere, in magnifica solitudine, di cacciare Francesco Storace dall’esecutivo di An. Come da prassi recentemente consolidata nei partiti dove la democrazia latita e il dissenso non viene in alcun modo tollerato, Fini ha “informato” Storace della sua decisione semplicemente facendo sparire il suo nome dal sito del partito. Quindi ha dato alle stampe, attraverso il portavoce Andrea Ronchi, un comunicato in cui si spiegavano succintamente le ragioni dell’ignominiosa cacciata: eccesso di dissenso dalla linea politica del capo. Quando si dice la classe. A quanto sembra il vecchio motto credere, obbedire, combattere trova ancora estimatori indiscussi tra il leader Fini e i suoi colonnelli, sempre pronti a purgare alla fonte di Fiuggi ogni eccesso nostalgico della loro imbarazzante storia, ma assai meno disponibili a fare i conti con chi li critica e, per giunta, chiede il doveroso rispetto delle regole e dello statuto del partito.
Già, perché è racchiusa tutta qui la motivazione del gesto di Fini contro Storace. L’ex discusso ministro della Salute del governo Berlusconi (ancora al centro dell’inchiesta sulle firme false alle elezioni regionali del 2005), ha chiesto pubblicamente che Fini rispettasse le regole statutarie a partire dalla convocazione del congresso. “Nei partiti democratici prima di tutto si rispettano le regole e si celebrano i congressi quando lo dice lo statuto – ha spiegato Storace – e siccome sono passati quattro anni dall’ultimo di Bologna, si devono convocare al più presto gli organi del partito”. A Bologna, nel 2002, Gianfranco Fini fu eletto per acclamazione perché non c’era un candidato d’opposizione. Stavolta, però, non sarebbe così. Perché con il suo dissenso e con le sue continue prese di distanza, Storace si è di fatto posto come alternativa alla sua futura leadership. Con in testa un disegno politico molto chiaro: ricompattare An sotto l’egida di quella destra sociale (e parecchio missina) a cui le famose acque di Fiuggi hanno provocato mal di fegato non ancora archiviati. Un ritorno all’antico, dunque, che butterebbe alle ortiche il lavoro fatto fino ad oggi dal leader di An di sfrondare dal partito tutto ciò che resta dell’inglorioso passato, facce impresentabili comprese, in modo da rendersi credibile all’appuntamento con la casa europea del Ppe.

Un progetto che Storace ha prima contrastato con tenacia dall’interno e che poi ha deciso di far emergere attraverso reiterate pubbliche abiure sulla mancanza di “attributi” dell’asservita compagine parlamentare di An nell’opporsi al governo Prodi. “Se non ci fossi stato io – ricordava l’altro ieri Storace – si sarebbe persino votato a favore del decreto Bersani, figurarsi!”. Così, lentamente, si è consumato il divorzio. Per Fini sarebbe venuto meno il rapporto di fiducia con Storace, ma l’uomo del “cazzotto che sottolinea l’idea e la rafforza” non ha alcuna intenzione di cedere: “Fini pensa che io sia morto politicamente? Almeno si accerti se respiro ancora. E io respiro, lo posso assicurare…”.

Eccome se respira. E tanto per non lasciare dubbi sul tappeto, Storace ha preso carta e penna e ha scritto al suo “caro leader”. “Credo che – si legge nel testo - finalmente la si pensi allo stesso modo; in effetti non ha senso alcuno per me restare in un organo inutile se non a dire ogni volta che si e’ d’accordo con il presidente, salvo poi veder spifferare ai giornali una qualunque perplessità, come accadde in occasione, mesi fa, della mia ultima partecipazione ai lavori dell’esecutivo. E’ vero invece che non c’e’ accordo sulla linea politica che segui e sulla gestione del partito. Sulle sue prospettive, come sull’ordinario: suggerisci, ad esempio, più prudenza nel parlare ancora di indulto, perchè se qualcosa di grave c’e’, sta anche nel fatto che il provvedimento sia passato in una sola seduta a palazzo Madama. Se si fosse voluto, i delinquenti starebbero ancora in carcere”. “Spero – prosegue - che d’ora in poi vorrai occuparti anche delle gravissime assenze che ci sono in ogni seduta al Senato. La sola giornata di martedì – quella della strombazzata spallata al governo - ci ha visto andare sotto per circa trenta volte con una media di venti assenze a votazione e mi chiedo chi e’ che favorisce Prodi, se certe interviste sul filo del paradosso o accordi sottobanco che nessuno ovviamente confesserà mai agli elettori. Ovviamente, mi spiace la lesione del rapporto di fiducia, espressione da Te formalmente usata e indicatrice di una chiara volontà di rottura, che a me pare determinata solo dalla mia pubblica richiesta del rispetto della scadenza statutaria che impone la celebrazione del congresso. Credo però che ci debbano essere delle conseguenze politiche, che non Ti sfuggiranno. E’ evidente che si crea una minoranza nel partito e questa deve essere certificata da un nuovo congresso. Sarebbe oltremodo difficile pretendere di guidare una forza politica in cui la minoranza e’ cancellata dagli organi della decisione politica perché non si gradiscono critiche alla gestione del partito e alle sue scelte politiche. Ovviamente sono disponibile a parlarne, a seconda della disponibilità della Tua agenda”.

Altrettanto ovviamente Fini non sembra avere alcuna intenzione di aprire un capitolo di trattativa con Storace. Tant’è che, pressato dalla stampa, ha liquidato l’avvenuta cacciata di Epurator come di una cosa “non certo seria e con cui perdere tempo”. Al di là dei modi con cui si è consumata la rottura, sembra chiaro che, in assenza di una prossima convocazione congressuale (che non è nell’aria) il divorzio di Storace non potrà che far maturare i presupposti per una scissione in An, anche se lui nega con forza questa eventualità. “La scissione è davvero l’ultima cosa e io continuo a considerare An come casa mia”. Tuttavia ammette che “certo, non fa piacere essere messi sul pianerottolo, è una posizione scomoda che non si può reggere a lungo”. Soprattutto dopo una purga.

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