di Domenico Melidoro

Dopo una lunga e complicata fase di discussione che ha più volte provocato tensioni e spaccature nella maggioranza, la Camera dei Deputati ha finalmente approvato la Finanziaria ottenendo 311 voti a favore, 251 contrari e un solo astenuto. Prodi e i suoi Ministri (in particolare Tommaso Padoa Schioppa, che di questa manovra è considerato il principale ispiratore) si godono la temporanea compattezza della maggioranza e si preparano a una prova ben più complessa: il voto al Senato. La maggioranza dell’Unione a Palazzo Madama è molto più ridotta di quella di cui essa gode a Montecitorio. Tuttavia, nonostante l’esiguità dei numeri, la frequenza dei contrasti tra le varie anime presenti nella maggioranza e le sempre più insistenti voci sulla compravendita dei Senatori da parte di Silvio Berlusconi, al momento non è prevedibile alcun clamoroso colpo di scena. Dunque, anche al Senato la Finanziaria dovrebbe essere approvata senza particolari difficoltà. Da più parti, anche se si tratta di una discussione non particolarmente gradita dal Presidente del Consiglio, si ritorna a parlare della cosiddetta “fase due”. È come se la Finanziaria venisse considerata come il primo e inevitabile passo verso la realizzazione di un ciclo di riforme ben più sostanziali (qualcuno preferisce chiamarle “strutturali”). Come è facilmente prevedibile, le diverse componenti della maggioranza hanno in mente idee differenti in merito a quello che dovrebbe essere la “fase due”: si va dalla richiesta di maggiore attenzione per le questioni ambientali, per la ricerca scientifica e per la precarietà dei rapporti di lavoro, ai richiami all’urgenza di completare il pacchetto di liberalizzazioni avviate nella scorsa estate e a mettere mano all’annosa riforma delle pensioni.

Piero Fassino è di sicuro tra coloro che con più insistenza hanno difeso la Finanziaria, ma anche tra quelli più convinti che la missione del governo sarà compiuta solo quando si sarà passati ad una più matura fase di riforme. In una recente intervista Fassino si è detto sicuro che "la manovra acquisterà un senso solo se la accompagneremo con una seconda fase dell'azione di governo". Il leader dei Ds ha proseguito dicendo che "questa Finanziaria sarà percepita come più o meno efficace a seconda di quello che faremo subito dopo" (la Repubblica, 20 Novembre 2006). Quando parla del da farsi nel l’immediato futuro, Fassino (non molto diversamente dal leader della Margherita Francesco Rutelli) ha in mente innanzitutto la riforma delle pensioni (e in proposito, l’invito di Fassino ai Sindacati è quello di “non tirarsi indietro” di fronte alle necessità di metter mano alla riforma del sistema previdenziale), degli ammortizzatori sociali e il completamento delle liberalizzazioni in campo economico avviate da Bersani.

Per Fassino il passaggio alla “fase due” potrebbe essere favorito dal progressivo sfaldamento dell’opposizione. Il Segretario dei Ds scorge interessanti possibilità di dialogo con la Lega Nord di Bossi, con “Italia di Mezzo” di Marco Follini e altri centristi in cerca di una collocazione dopo la conclusione della loro esperienza nella Casa delle Libertà (tra questi Fassino cita il “Movimento per l’autonomia” di Raffaele Lombardo). A questo punto sorge il dubbio che la passione per la campagna acquisti abbia contagiato anche autorevoli esponenti della maggioranza e, allora, il giudizio dovrebbe essere il medesimo in entrambi i casi. Verrebbe da dire che non è solo Berlusconi (convinto che ci siano addirittura una quindicina di parlamentari del Centrosinistra pronti a passare dall’altra parte) a voler scomporre il quadro politico attuale per creare scompiglio tra gli avversari. La maggiore preoccupazione non dovrebbe essere il modo in cui la trattativa è portata avanti, ma l’esito politico del passaggio di parlamentari da uno schieramento all’altro: in altri termini, si dovrebbe badare più alle conseguenze dei passaggi di campo che alla trasparenza delle trattative.

Inoltre, pur nella consapevolezza che in politica si ha la memoria corta, bisognerebbe porre attenzione a chi sono gli interlocutori ai quali ci si rivolge per rafforzare la propria maggioranza. Per esempio, non ci pare che la Lega sia sostanzialmente diversa da quella contro la quale solo pochi mesi fa ci si batteva nella battaglia referendaria per cancellare un tentativo di riforma istituzionale che avrebbe messo seriamente a repentaglio l’unità del Paese? Sembrava che le timide aperture dei Ds ai leghisti attraverso Chiti e Bersani fossero cadute nel vuoto, ma ora Fassino ci riprova: il sostegno della Lega alla riforma delle pensioni potrebbe essere il prezzo da pagare per alcune riforme in senso federalistico. Ma quali riforme potrebbero essere accettate sia dalla Lega che dal resto dei partiti dell’Unione? Qual è la base condivisa a partire dalla quale elaborare una serie di riforme istituzionali condivise?

Sono domande alle quali bisognerebbe fornire una risposta convincente prima di aprire tavoli di trattative con chiunque. Nel frattempo, perché non si assume come prioritaria la lotta alla precarietà del lavoro? Come hanno dimostrato le iniziative dei precari negli ultimi mesi, le condizioni lavorative di ampi settori della popolazione stanno diventando sempre più drammatiche, e lo stesso Fassino sa bene che "Il lavoro è diventato più precario, soprattutto per i giovani" (la Stampa, 20 Novembre 2006). Che la riforma delle pensioni si faccia, se è proprio necessaria! Ciò che non dovrebbe essere perso di vista è il valore dell’equità e la salvaguardia di condizioni di vita dignitose per tutti.

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