di Sara Nicoli

Di tutte le reazioni, più o meno indignate e scomposte, che si sono levate dal centro destra all’annuncio della morte di Piergiorgio Welby, una in particolare ha destato sincero raccapriccio. Non solo per il tono da novello difensore del Santo Graal con cui è stata sottolineata, quanto per lo sconcertante contenuto, segno inequivocabile di mancanza di spiritualità personale, nonché di profonda inadeguatezza politica. A pronunciarla è stato Luca Volontè, capogruppo alla Camera di un partito che si chiama “Unione dei democratici cristiani”. Nel silenzio composto degli altri deputati, ancora commossi per la morte di Welby, Volontè se n’è uscito gridando a denti stretti: “Arrestate i colpevoli di questo omicidio!” Di più. “Che la magistratura indaghi e metta in galera questi ideologi dell’eutanasia degni eredi dei regimi totalitari del XX secolo che propongono di sopprimere una vita a loro dire indegna di essere vissuta!” Non è la prima volta che Volontè si erge a paladino della Verità sguainando la lingua oltre il lecito e il comprensibile, soprattutto per un parlamentare della Repubblica. Successe già quando, ad inizio legislatura, fu proposto dal governo di rivedere le linee guida della legge 40, quella sulla fecondazione assistita. E quest’emulo in sedicesima di un certo più attraente Agag, si profuse in squallide similitudini per sottolineare il proprio disappunto sulla persona alla quale il ministro Turco aveva deciso di affidare il delicato incarico. “Sarebbe come dare gli agnelli in pasto al lupo!”. Detto, questo, degli embrioni messi in mano ad una professionista la cui assoluta laicità avrebbe certamente messo a dura prova l’impianto clericale e coercitivo della legge, a lui così confacente perché ottusa, contraria alla salute delle donne e, in buona sostanza, inapplicabile.

Se è talvolta possibile accettare, per quanto di malavoglia, le dichiarazioni rozze e folkloristiche di un Calderoni o di un Gasparri che prendono di mira i gay, i Pacs o le “porcate” elettorali autografe, su Volontè il giudizio non può essere che più severo. Questa triste figura d’uomo, dalla cultura incerta e dal look demodè, vede come unica missione politica quella della strenua difesa dei valori “cristiani”, gli unici a suo dire degni di essere chiamati tali. Cristiani? Che cosa ci sia di “cristiano”, o anche più semplicemente cattolico in tanto e meschino spirito di vendetta, sfugge all’intelligenza anche di chi cristiano non è, né tanto meno religioso. Di fronte al destino lacerante di un uomo e alla tragedia di una morte come quella di Welby ci si aspetterebbe, da parte di chi si ritiene “cristiano”, il prevalere della pietà sulla durezza del giudizio. E, se proprio il giudizio lo si volesse reclamare in nome di sacri principi e incrollabili certezze, ci si aspetterebbe (almeno!) che esso venisse demandato alla profondità della giustizia della fede piuttosto che a quella terrestre del tintinnar di manette per il medico “assassino”.

Ci risulterebbe senza dubbio indigesta, ma sarebbe addirittura più comprensibile l’invocazione antica alla discesa sulla terra degli “angeli giustizieri con la spada di fuoco” piuttosto che quella dei gendarmi pronti a mettere in galera un “dottor Morte” nel nome della legge di Dio, non certo in quella di questo Stato. Invece, il deputato Volontè reclama a gran voce che la giustizia laica diventi il braccio armato di quella “cristiana”, dando alla propria indignazione il segno integralista della bassezza d’animo. E, perché no, anche di un’assenza di comprensione totale di quello che il messaggio cristiano da secoli porta con sé. D’altra parte, cosa aspettarsi mai da un signore che solo qualche giorno fa proponeva il boicottaggio dei grandi magazzini che non vendono le statuine del presepio? Episodi minimi che, tuttavia, fanno di Luca Volontè il prototipo di quei cristiani poveri e gretti, insicuri della propria fede prima che di quella degli altri, che considerano ogni riflessione sui temi etici come fonte di pericolo. Non sapendo, infatti, difendere con la forza delle idee il proprio credo, si propongono in Parlamento come piccoli Torquemada, per raggiungere l’obiettivo di codificare convinzioni e principi personali (e per niente cristiani), in modo da renderli obbligatori per tutti. Un atteggiamento integralista che davvero non ha nulla di cristiano.

Siamo certamente indegni di dare lezioni di tolleranza al deputato Luca Volontè. Tuttavia crediamo che le sue affermazioni sul caso Welby abbiano veramente oltrepassato la misura della nostra tolleranza di elettori nei confronti di una classe politica incapace di badare ai propri pensieri, figurarsi al governo del Paese. Con la sua vita e la sua morte, tuttavia, Welby ci ha offerto una testimonianza che veramente non suscita soltanto umana partecipazione. Ci porta più in là: ci impegna a rimuovere le intolleranze ideologico-religiose e le strumentalizzazioni politiche che ancora impediscono di affrontare, con la necessaria laicità, il punto decisivo e ormai ineludibile di tutto il confronto su questi temi sensibili, come il riconoscimento del diritto all’uscita volontaria dalla vita. Quello che Piergiorgio si è ripreso. Pur avendo chiesto il permesso. Pur amando la vita. Pur essendo amato con dedizione estrema e mai lasciato solo dalla moglie Mina, che l’ha saputo accompagnare per anni. E fino all’ultimo minuto.

Per chi è credente, la vita è un dono del creatore. È qualcosa di sacro, che non ci appartiene e di cui non si può disporre. Al punto che l’uscita volontaria dalla vita è la ribellione estrema all’ordine della stessa creazione divina. Giuda, diceva già Sant’ Agostino, nel momento in cui si è tolto la vita, ha peccato contro Dio perfino più di quando abbia pesato il suo estremo tradimento. E’ questa la radice in cui la Chiesa affonda la propria condanna dei suicidi, la stessa che ha condotto il Vicariato di Roma a negare a Welby i funerali cristiani. Eppure, solo un estremo furore integralista potrebbe indurre a credere che i propri convincimenti etici debbano valere anche per quei cittadini che alla vita e alla morte guardano senza alcuna logica religiosa o di sacralità. A cosa pensano, allora, quelli come Luca Volontè? Solo far passare per una colpa morale la mancanza di fede religiosa: un oscurantismo della ragione di cui non si sente alcuna necessità. Si sente invece la mancanza pressante di uno strumento giuridico che renda finalmente praticabile sia il testamento biologico, sia il potersi sottrarre ad ogni forma di accanimento terapeutico. Chi sbandiera questa necessità come una voglia di dare “libertà di suicidio” alle persone è solo in malafede. Proprio come il deputato Luca Volontè e le sue battaglie ideologiche. Affatto cristiane.

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