di Giovanna Pavani

Sono capitoli di storia che si sarebbero dovuti chiudere, a livello giudiziario, molti anni fa e invece sono rimasti appesi. E, come tutte le cose che non si sono volute superare, ad un certo punto riemergono e si intrecciano con altre vicende, lontane anni luce nel tempo e nello scenario sociale che le vide maturare, rendendo tutta la storia recente di questo Paese una melassa in cui è difficile districarsi per chi quelle storie le ha vissute, figurarsi per le giovani generazioni. La recente, nuova richiesta di sospensione della pena per Adriano Sofri e le conseguenti voci sulla possibilità che finalmente gli venga concessa la grazia, ha riaperto anche un altro capitolo, quello di quei giovanotti aitanti della Valle Aurina che quarant’anni fa terrorizzarono l'Alto Adige: gli Schutzen. Condannati il 9 luglio 1971 dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna all’ergastolo, non hanno mai scontato un solo minuto di carcere: tutti riparati all’estero, senza nemmeno aspettare il verdetto di primo grado. Tecnicamente sempre latitanti, attendono la grazia gli austriaci Siegfried Steger, classe 1939, e Sepp Forer, più giovane di un anno, con l’italiano Heinrich Oberleiter, 65enne. Gente “seria”, che non si è mai imbrattata le mani con le invenzioni farsesche della Padania, ma che da sempre chiama orgogliosamente Patria quel fazzoletto di terra che è il solo Tirolo e le sue folkloristiche tradizioni. Quarant’anni fa, questi giovanotti nostalgici della Germania nazista non esitarono ad imbracciare armi e maneggiare esplosivo, rivendicando il diritto a separarsi dagli «invasori» di Roma e anticipando, in qualche modo, gli anni di piombo all’ombra delle Dolomiti. Storia, leggenda e mito nella Bozen altoatesina che guarda all’Europa (come l’Austria post-Heider), ma anche ferita mai rimarginata nella Bolzano tricolore, che resta in trincea e non ammette colpi di spugna, pur pressata politicamente dalla Svp che vede nel riconoscimento della grazia ai quattro Schutzen latitanti l’opportunità di chiudere una stagione anche per loro imbarazzante. E comunque lontana.

Il treno indicato per raggiungere l’obiettivo sembra quello di agganciare la questione tirolese a quella degli anni di Lotta Continua, buttando tutto in un unico calderone. Del resto, pare proprio che ogni qualvolta un provvedimento di clemenza sfiori la vicenda di Sofri, qualcuno senta il bisogno di accompagnarlo ad altre vicende, spesso molto meno serie, quasi mai simili. Il quotidiano Dolomiten, nei giorni scorsi, ha rilanciato proprio questa possibilità. Un provvedimento soppesato, che tenesse insieme l’ex leader di Lotta Continua e gli “attivisti” (così li chiamano nella Svp) della causa tirolese. La grazia, dunque, per Steger, Forer e Oberleiter. Magari anche per i tedeschi Peter Kienesberger ed Erhard Hartung, quest’ultimo animatore a Norimberga di circoli «pangermanisti».

Ma non si può dare a tutta la storia la stessa lettura e lo stesso finale. In questo caso lo scenario è ancora più grave, pur ammantato di ridicolo. Da un lato c’è un capitolo degli anni ’70 pieno, ancora oggi, di luci e di ombre. Dall’altro c’è una vicenda più rimossa che metabolizzata nella regione più speciale d'Italia. Che, molto più di quella di Lotta Continua, è tutta da rileggere.

Comincia il 20 settembre 1956: in mezzo alla campagna di Settequerce, la dinamite fa saltare un traliccio. Tre mesi più tardi tocca alla ferrovia del Brennero. Spunta il “Bas”, Befreiungsauschuss Südtirol, il “fronte di liberazione” del Sud Tirolo: il commerciante Sepp Kerschbaumer miete consensi a favore dell'Austria e intanto salta in aria la tomba del senatore Ettore Tolomei, che durante il fascismo aveva riscritto la toponomastica. Nel 1959, gli Schützen manifestano a Innsbruck (corteo replicato nel 1984 sotto agli occhi di Pertini), ma ormai è piena rivolta da una parte e dall'altra del confine.

Il terrorismo aggiusta la mira con la statua di Mussolini a Ponte Gardena, le caserme nella Val Venosta, i bar “italiani”. E fra l'11 e il 12 luglio 1961 esplode la cosiddetta “notte dei fuochi”: 37 attentati contemporanei con Bolzano al buio. La Svp, di fatto, applaude. Fanfani ordina il coprifuoco. L'Alto Adige diventa una polveriera, dove si sperimenta in anticipo la strategia della tensione. Spuntano i neonazisti austriaci a fianco dei “fratelli” del sud, mentre il generale De Lorenzo comanda l'Arma alle prese con il terrorismo. Le bombe attirano anche neofascisti veneti, a fianco dei giovani nostalgici della Valle Aurina.

Dal 1964 si combatte senza esclusione di colpi: retate, centinaia di arrestati, attentati, trame, stragi sfiorate, incontri segreti fino al “giallo” dell’agguato nella baita di Malga Saltusio. Soltanto 5 anni dopo Moro e Waldheim chiudono il fronte tirolese. Ma per altri vent’anni gli irriducibili della secessione non si daranno per vinti e tenteranno di rinfocolare la rivolta. Al 30 ottobre 1988, il bilancio ufficiale di questo pezzo dimenticato di storia patria conterà 361 attentati, 21 morti e 57 feriti. Per la magistratura, 17 sentenze passate in giudicato: 157 condanne per 103 sudtirolesi, 40 austriaci e 14 tedeschi.

In attesa di un gesto di clemenza da quell’Italia che, ancora oggi, molti di loro rinnegano come patria, ma che già nel 2002 era stata sul punto, con Castelli, di fargli portare a casa il risultato. Per altro senza passare attraverso i compromessi di oggi e le commistioni con l’altra storia della sinistra. Addirittura Ciampi sarebbe stato pronto a firmare il provvedimento e ad annunciarlo durante una visita ufficiale in Austria. In quell’occasione, a bloccare il fascicolo furono le pressioni di Alleanza Nazionale, che non voleva che la grazia fosse estesa anche a Adolf Obexer e Luis Larch (condanne a meno di 20 anni) e a Karl Oberleitner e Josef Felderer. Nel dossier altoatesino al ministero ci sarebbero anche i nomi di altri otto nazisti austriaci e tedeschi con il sogno della Grande Germania: per loro, tuttavia, ha invocato la grazia soltanto Eva Klotz.

Oggi, la faccenda è in mano a Prodi, Napolitano e Mastella. La diplomazia della Volkspartei non molla. Rinnova da dieci anni un memorandum che si concentra sui quattro bombaroli da graziare. Siegfried Brugger li definisce i “nostri quattro”, quelli per cui la Svp invoca clemenza: “Quello sudtirolese - ha commentato il leader Svp, chiarendo la parabola politica di chiusura del cerchio - ma anche quello nero e rosso (terrorismo, ndr) devono essere chiusi; eccetto i reati di strage, siamo convinti che oggi la democrazia italiana sia abbastanza solida e forte da poter mettere la parola fine a un periodo lungo ma che ormai appartiene al passato".

Oggi come oggi, l’unica strada percorribile davvero è quella del provvedimento ad personam”. In primavera, Napolitano va a Vienna dal presidente Fischer, vecchio amico dell’Internazionale socialista. Se il quadro politico del momento lo permetterà, il fatidico provvedimento di clemenza potrebbe essere reso noto in quell’occasione. Oppure mai più. E sarebbe meglio.

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