“Siamo oltre 250mila persone”, dicono gli organizzatori. Sui numeri esatti c’è il solito balletto di opinioni divergenti, ma stavolta nessuno può contestare che in strada sia scesa davvero una marea umana. Quella che, a Milano, ha dato vita alla manifestazione contro il razzismo “People, prima le persone”. Si tratta di “una grande iniziativa pubblica - si legge nell’appello collettivo - per dire che vogliamo un mondo che metta al centro le persone. La politica della paura e la cultura della discriminazione viene sistematicamente perseguita per alimentare l'odio e creare cittadini e cittadine di serie A e di serie B. Per noi, invece, il nemico è la diseguaglianza, lo sfruttamento, la condizione di precarietà”.

 

 

La mobilitazione è stata indetta per chiedere “inclusione, pari opportunità e una democrazia reale per un Paese senza discriminazioni, senza muri, senza barriere”, ma anche “perché crediamo che la buona politica debba essere fondata sull'affermazione dei diritti umani, sociali e civili. Perché pensiamo che le differenze - legate al genere, all'etnia, alla condizione sociale, alla religione, all'orientamento sessuale, alla nazione di provenienza e persino alla salute - non debbano mai diventare un'occasione per creare nuove persone da segregare, nemici da perseguire e ghettizzare o individui da emarginare. Noi siamo per i diritti e per l'inclusione. Noi siamo antirazzisti, antifascisti e convinti che la diversità sia un valore e una ricchezza culturale”.

 

Nel mirino dei manifestanti c’erano ovviamente le politiche razziste e antidemocratiche portate avanti dal governo gialloverde e in particolare dalla Lega. Il principale bersaglio delle critiche non poteva che essere il vicepremier Matteo Salvini, che in questo suo primo anno da ministro dell’Interno ha collezionato una lunga serie di comportamenti ignominiosi.

 

Salvini ha fomentato l’odio razziale nel Paese con la sua retorica patriottarda infarcita di bugie e autoesaltazione machista. Ha isolato l’Italia a livello internazionale con una politica dissennata sulla gestione dei migranti. Si è sporcato le mani con il sangue e la sofferenza di centinaia di innocenti, usandoli per il proprio tornaconto elettorale. Ha varato un decreto legge che vìola palesemente il principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione e - come beffa suprema - rende il Paese molto meno sicuro di prima.

 

Soprattutto, Salvini ha sdoganato e amplificato gli istinti più bestiali degli italiani: ha legittimato l’inclinazione alla disumanità, l’istinto a disprezzare qualsiasi diversità, a escludere chiunque sia nato fuori dal cortile di casa nostra. Non è un caso che lo slogan neo-fascistoide “prima gli italiani” si trasformi, all’occorrenza, in “prima i sardi” o “prima gli abruzzesi”.

 

C’è una parte consistente del Paese che detesta tutto questo. È quella rappresentata dalle migliaia di persone che hanno manifestato a Milano.

 

Il problema è che un’altra parte - altrettanto consistente, forse di più - è dalla parte di Salvini. Con tutte le sue aberrazioni, il leader leghista ha innescato la mobilità elettorale più incredibile che la storia repubblicana ricordi. In un anno ha raddoppiato i propri consensi, passando dal 17 a oltre il 35% e spodestando il Movimento 5 Stelle dal piedistallo del primo partito italiano.

 

Non sorprende allora che Salvini liquidi il maxi-corteo milanese con poche parole: “Il messaggio al governo gli italiani lo hanno dato col voto, rinnovando la fiducia a me, alla Lega e al governo di mese in mese e di elezione in elezione”.

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