Anche se da quattro mesi ha salutato la maggioranza, Claudio Borghi non solo è deputato, ma perfino presidente della commissione Bilancio della Camera. Significa che ha delle responsabilità in più rispetto ai privati cittadini: quando apre bocca, in teoria, non può darle fiato come Pino Tre Dita al bar sotto casa. Borghi però - come buona parte dei suoi compagni di partito – non ha le idee chiare su cosa significhi ricoprire un ruolo istituzionale. E spara le sue bombe come gli scendono dal cervello, senza filtro. L’ultima è arrivata la settimana scorsa, quando su Rai3 ha detto che l’uscita dall’euro “non è un tabù” e che nella maggioranza gialloverde “c’era un accordo di governo per non parlarne”.

Borghi non si rende conto che con questa rivelazione ha massacrato da solo la sua credibilità. Cosa dovremmo pensare di un politico che ammette di non esprimersi apertamente, ma sulla base di intese scritte? E tutti gli altri argomenti che non siano l’uscita dall’euro? Borghi dice davvero quello che pensa, o anche in quei casi dissimula le sue reali opinioni a seconda della convenienza politica? In futuro, sarà lecito sospettare di qualsiasi sua posizione. 

Certo, visto il clima da campagna elettorale permanente – l’unico habitat in cui Matteo Salvini può sopravvivere – e soprattutto con l’approssimarsi delle regionali in Emilia-Romagna e in Calabria, è probabile che le sparate di Borghi vadano archiviate nel cassetto della propaganda. Come sempre, i leghisti fanno leva sugli italiani più arrabbiati e meno informati, disposti a credere in qualsiasi spiegazione purché sia semplice e identifichi chiaramente un nemico su cui rovesciare rabbia, frustrazione e aggressività. Il bersaglio, naturalmente, cambia a seconda delle necessità di partito: gli immigrati, gli omosessuali, gli stranieri in generale, l’Unione europea, l’euro, la Nutella.   

Il problema è che anche la propaganda – se di questo si tratta – ha degli effetti collaterali. Ora sappiamo che, quando era al governo, Borghi fingeva di non pensare all’uscita dall’euro, ma ci pensava eccome. È proprio un argomento che lo appassiona. E se un domani il nostro eroe tornasse nelle fila della maggioranza – com’è probabile, visti i sondaggi – tutti gli italiani pagherebbero il prezzo delle sue sparate di oggi. Forse non usciremo davvero dall’euro, ma la sola presenza nell’esecutivo di un individuo così manifestamente contrario alla moneta unica ci esporrà alle cannonate della speculazione internazionale. Torneremo quindi a parlare del pericolo spread, che non è un mostro immaginario, ma il valore che qualsiasi investitore guarda per capire la credibilità di un Paese sui mercati. Se sale, vuol dire che gli interessi sui Btp sono diventati più cari, perciò quando verrà il momento di pagarli serviranno più soldi. Soldi non di Borghi, ma di tutti noi.

Fin qui però non abbiamo considerato lo scenario più nero, quello in cui Borghi dà veramente seguito ai suoi progetti. Per il momento è fantapolitica, anche perché la maggioranza degli italiani è contraria e i leghisti lo sanno, ma proviamo a immaginare che un ritorno alla lira sia davvero possibile. Cosa accadrebbe?

Innanzitutto, dovremmo fare i conti con una svalutazione monetaria furibonda (si pensa intorno al 50%) e l’inflazione sarebbe così alta da abbattere il potere d’acquisto di stipendi e pensioni. Milioni di famiglie avrebbero difficoltà ad acquistare cibo e medicine. Le imprese dedite all’export farebbero buoni affari, in compenso quelle che si reggono sull’importazione di materie prime (e sono tante) cadrebbero in rovina, perché la debolezza della nuova moneta renderebbe carissimo qualsiasi acquisto in dollari o in euro.

In questo discorso rientrano anche le bollette: l’Italia non è autosufficiente dal punto di vista dell’energia, perciò deve comprare dall’estero parecchio gas. Pagarlo in lire sarebbe un salasso mortifero che farebbe schizzare i costi per gli utenti.

Al contempo, i muti diventerebbero quasi impagabili per via dei tassi d’interesse alle stelle e dell’effetto cambio, mentre i risparmi in banca perderebbero dalla sera alla mattina circa la metà del loro valore, sempre a causa della svalutazione della moneta. Ma non è finita: l’elenco delle sciagure è ancora lungo e comprende fuga dei capitali, crollo degli investimenti, aziende che chiudono, disoccupazione alle stelle, tioli di Stato che diventano carta straccia, banche da nazionalizzare per evitare default a catena. E il debito pubblico sempre meno sostenibile, con la prospettiva della bancarotta che si fa ogni giorno più inevitabile.

Ora, ragionare seriamente di tutto questo, secondo Borghi, non dovrebbe essere un tabù. Ma allora, forse, sarebbe utile partire da un quesito preliminare: esattamente, cosa abbiamo fatto di male per meritarci Borghi alla presidenza della commissione Bilancio della Camera?

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