Il governo si rafforza, ma gli equilibri nella maggioranza cambiano. Nelle file dell’opposizione, invece, Matteo Salvini incassa una pesante sconfitta personale, mentre Giorgia Meloni continua a fare passi avanti. Questo, in sintesi, il riflesso sulla politica nazionale delle amministrative in Emilia Romagna e in Calabria.

Nella regione meridionale trionfa la forzista Jole Santelli (55,43%), che riesce quasi a doppiare il candidato del centrosinistra Pippo Callipo (30,08%). Un risultato scontato. La partita più importante è però quella vinta dal Pd nella ricca Emilia Romagna, dove Stefano Bonaccini si aggiudica il 51,42% dei voti, stracciando la leghista Lucia Borgonzoni, che non va oltre il 43,63%. A sostenere il governatore uscente, oltre alla scarsa credibilità dell’avversaria, hanno contribuito anche il voto disgiunto e l’effetto sardine sull’affluenza (arrivata al 67%, il 30% in più rispetto al 2014).

Tuttavia, il primo dato che salta agli occhi è l’estinzione del Movimento 5 Stelle. In Calabria, i grillini passano dal 43% delle scorse elezioni politiche a non avere nemmeno un posto in Consiglio regionale: il loro candidato, Francesco Aiello, ha ottenuto solo il 7,31%. Ancora peggio è andata a Simone Benini, che in Emilia Romagna ha portato a casa un umiliante 3,48%. Insomma, la strategia di correre da soli si è rivelata un suicidio.

Di fronte a numeri del genere, il Pd potrebbe chiedere all’alleato un rimpasto di governo per riequilibrare le forze tra i vari ministeri. Inoltre, di sicuro i dem faranno valere la loro nuova posizione di forza anche sui temi più controversi nella maggioranza, a cominciare dalla prescrizione giudiziaria e dalle concessioni autostradali. Difficile che i grillini possano resistere: visto il tracollo nelle urne, ormai è chiaro che faranno di tutto pur di evitare nuove elezioni a breve e questo li priva di un’importante leva negoziale.

Il voto emiliano segna anche il secondo smacco in sei mesi per Salvini. Reduce dal fallito golpe del Papeete con cui ad agosto aveva cercato d’imporre la fine della legislatura, negli ultimi mesi il leader della Lega si è esposto in prima persona per assaltare la fortezza rossa dell’Emilia e far cadere il governo Conte bis.

L’obiettivo era sempre lo stesso: spalancare la strada alle elezioni politiche anticipate. Ma anche gli errori sono rimasti gli stessi: presunzione, arroganza e incapacità a formulare un piano B. Le sparate improvvide delle ultime settimane (“in Emilia non vinciamo, stravinciamo”) impediscono oggi a Salvini di ridimensionare il risultato, di sdrammatizzare. Ha mantenuto Borgonzoni nell’ombra per tutta la campagna elettorale (comprensibilmente, peraltro) e ora ne paga le conseguenze. Lo sconfitto è lui e lui solo: nessun altro.

Questo però non significa che la Lega sia in parabola discendente a livello nazionale. Certo, rispetto ai fasti della scorsa estate il Carroccio ha perso brillantezza, ma rimane comunque - e di parecchio - il primo partito del Paese. Perciò, il dazio che Salvini dovrà pagare dopo le elezioni emiliane sarà probabilmente interno al centrodestra, dove continuano ad aumentare le quotazioni di Fratelli d’Italia. Anche perché, nel medio periodo, la presa della Lega sugli alleati calerà ancora quando (e se) il Parlamento produrrà una nuova legge elettorale in senso proporzionale.

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