Forse il potere logora chi non ce l’ha, come diceva Andreotti. Di sicuro, chi ce l’ha soccombe quasi sempre al delirio d’onnipotenza, e si scava la fossa. È successo a Monti nel 2011, a Renzi nel 2015-2016 e ora sta accadendo a Giuseppe Conte. Non si spiega altrimenti la folle struttura di governance partorita da Palazzo Chigi per gestire i 209 miliardi in arrivo dall’Europa con il Recovery Plan.

Innanzitutto, una questione di metodo: prima del chi, sarebbe logico mettere a fuoco il cosa. Ossia, prima di stabilire chi avrà la responsabilità di mettere in pratica il Recovery Plan, sarebbe il caso di scriverlo questo benedetto Recovery Plan, che invece viaggia ancora nella dimensione dell’indefinito, dell’annuncio, del non ancora. Oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente.

 

Poi, il merito. Secondo il Presidente del Consiglio, la soluzione migliore per gestire gli aiuti europei è una cabina di regia (espressione grottesca a metà fra il politichese e il giornalese) dall’impianto piramidale. A metà della scala gerarchica ci sarebbero 6 supermanager, che – aiutati da una folla di collaboratori tipo malabolgia dantesca – prenderebbero le decisioni cruciali sui vari capitoli d’investimento. Lo farebbero sulla base di poteri speciali, in deroga alle norme di legge. E riferirebbero direttamente a un triumvirato (trinità?) composto dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, dal titolare dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, e naturalmente da Conte.

Il capo del Governo pensava di presentarsi come un primus inter pares e che l’investitura di due ministri - uno dem e uno grillino - bastasse a far sentire rappresentati i partiti di maggioranza. Il maldestro tentativo d’astuzia si è però rivelato una grave ingenuità: a nessuno è sfuggito che Gualtieri e Patuanelli sono i membri più contiani dell’Esecutivo e che il primus inter pares altro non sarebbe che un dominus mascherato.

Conte ha cercato di difendersi tirando in ballo le richieste dell’Europa, ma la spiegazione non regge. È vero, la Commissione europea - pur non avendo fornito linee guida ufficiali sulle governance per la gestione del Recovery Fund - ha informalmente chiesto all’Italia di dotarsi di una struttura speciale, parallela a quella tradizionale. L’obiettivo è rimuovere le strozzature amministrative che fanno dell’Italia il Paese meno efficiente nell’utilizzo nei fondi europei. Stavolta il copione deve cambiare: l’Italia è di gran lunga il principale beneficiario del Recovery Fund, perciò un suo eventuale fallimento nella gestione degli aiuti affosserebbe anche i prossimi progetti dell’ala meridionalista di Bruxelles. Ovvero la riforma del Patto di Stabilità (con ammorbidimento dei requisiti di bilancio) e la stabilizzazione degli Eurobond (attualmente previsti fino al 2023, proprio per finanziare il Recovery Fund).

Tutto questo però non giustifica le fantasie orwelliane di Conte. Creare una governance più efficiente non può voler dire dribblare il Parlamento, esautorare quasi tutto il governo, schivare il controllo della Corte dei Conti e ignorare le procedure concorsuali obbligatorie. Nemmeno l’emergenza che stiamo attraversando permette di trasformare lo Stato in un’azienda e il presidente del Consiglio in un amministratore delegato. Anche perché, quand’anche fosse approvata da governo e Parlamento, una cabina di regia così menefreghista delle leggi sarebbe con ogni probabilità censurata dalla Corte Costituzionale.

Ora, uno scenario del genere è altamente improbabile, perché la governance partorita da Conte fa ribrezzo al Pd, a Italia Viva e a una parte del Movimento 5 Stelle. Il problema è che bisognerebbe immaginarne una completamente nuova in tempi stretti. Missione quasi impossibile, visto che in questi giorni la maggioranza giallorossa attraversa il suo momento di massima crisi e che tutto lascia pensare a un cambiamento radicale in arrivo dopo l’approvazione della legge di Bilancio.

Ancora non è chiaro se si tratterà di un rimpasto light, di un "Conte ter" o di un governo a guida Di Maio o Franceschini. L’unica certezza è che tutti vogliono evitare le elezioni anticipate. Nel frattempo, dietro a queste schermaglie, rimangono un paio di faccende da nulla di cui occuparsi: la gestione della pandemia, la scrittura del Recovery Plan e l’assunzione della guida del G20. Auguri a tutti.     

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