“Partendo dalla constatazione dell’elevata rilevanza assegnata alle migrazioni e della loro drammatizzazione e strumentalizzazione, si registra in un anno (il 2018) in cui i movimenti migratori verso l’Europa sono molto diminuiti”, la presenza di sei milioni e centottomila migranti.

 

A dirlo è il ventiquattresimo Rapporto sulle migrazioni dell’ISMU che rileva, per il 2018, il primato degli arrivi di immigrati passare dall’Italia alla Spagna: da gennaio a ottobre di quest’anno, infatti, nel Belpaese sono sbarcati ventunomila migranti a fronte dei quarantacinquemila giunti nel paese iberico e ai ventiquattromila della Grecia.

Le risorse stanziate dal Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio saranno pure superiori rispetto a quanto mai erogato in precedenza così come sono aumentati gli attori coinvolti e i territori beneficiari ma, in ogni caso, c’è ancora una sostanziale difficoltà a far fronte alle numerose richieste di aiuto e a coprirei costi di gestione dei servizi.

 

Questo, quanto emerge dal secondo monitoraggio, effettuato da Actionaid – con dati raccolti tra giugno e ottobre 2018 – che ha analizzato i Fondi antiviolenza nazionali ripartiti tra le Regioni nel biennio 2015-2016 e quelli previsti per il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (2015-2017). In particolare, dal rapporto Trasparenza e accountability: i fondi nazionali antiviolenza 2015-2017, la peggiore criticità ravvisata nell’erogazione dei fondi è la lentezza, impattando negativamente sul raggiungimento degli obiettivi del Piano e mettendo a rischio la continuità dei servizi.

Sono quasi cinquantamila le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza sparsi in Italia che l’Istat ha recensito, nei mesi di giugno e luglio dell’anno corrente, svolgendo per la prima volta un’indagine sui servizi offerti alle donne vittime di violenza, in collaborazione con il dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio e con il contributo del Consiglio nazionale delle ricerche.

 

Duecentocinquantatre i centri monitorati – 22 per cento nel Nord Ovest, 20 per cento nel Nord Est, 16 per cento al Centro, 34 per cento al Sud e 8 per cento nelle Isole – nei quali il numero medio di donne prese in carico in ogni centro è centoquindici, centosettanta nel Nord Est e quarantasette al Sud: il 27 per cento di loro è straniera, il 64 per cento ha figli, nel 70 per cento dei casi minorenni.

 

Ci si sono rivolte per ottenere per chiedere ascolto e accoglienza, supporto legale, servizi di orientamento al lavoro, di accompagnamento ad altri servizi, sostegno psicologico e verso l’autonomia, aiuto di allontanamento dal partner violento, supporto alloggiativo e per i figli minori.

 

Con la possibilità di contattare i centri ventiquattro ore su ventiquattro nel 69 per cento delle strutture, di lasciare un messaggio nella segreteria telefonica negli orari di chiusura o, nel 25 per cento dei casi, di comporre il numero verde dedicato, che nel 95 per cento dei casi è quello nazionale (1522) contro la violenza e lo stalking.

 

Perché, nell’86 per cento delle situazioni, i centri lavorano in sinergia con altri enti della rete locale, servendosi, pure, di corsi di formazione per il personale operante: il 93 per cento dei centri antiviolenza osservati prevede una formazione obbligatoria per le operatrici impegnate che sono circa quattromila e cinquecento, delle quali il 56 per cento presta servizio in forma esclusivamente volontaria. Sono psicologhe, avvocatesse e operatrici dell’accoglienza. Ottenendo il risultato che conta oltre ventinovemila donne inserite in un percorso specifico di uscita dalla violenza.

 

L’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, contestualmente, ha realizzato un’indagine, negli ultimi tre mesi, sui programmi rivolti a uomini maltrattanti, compresi quelli attivi all’interno degli istituti penitenziari, previsti nel Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 per prevenire la recidiva e favorire percorsi di rieducazione degli autori di violenza.

 

Nei cinquantadue programmi esaminati, sono settecentoventisei gli uomini che vi hanno aderito: il 76 per cento ha un’occupazione stabile, il 72 per cento è padre, il 56 per cento è in un rapporto di coppia, il 29 per cento è straniero, il 20 per cento ha dichiarate vulnerabilità psichiche e il 39 per cento è detenuto – sono oltre tremila e cento quelli ristretti per violenza sessuale, novecentocinquanta quelli per stalking, duecentoventi quelli per percosse e duecentosette quelli per reato di tratta e schiavitù.

 

La maggior parte dei programmi offre servizi a titolo gratuito: ascolto telefonico, consulenze psicologiche ma anche psicoterapia individuale e di gruppo, sostegno alla genitorialità responsabile; sei centri offrono consulenza legale sia in ambito civile sia legale e tre centri prevedono un accompagnamento all’inserimento lavorativo, la mediazione linguistica e percorsi di recupero dalle dipendenze. Perché la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne parte, soprattutto, dall’impegno degli uomini.

Nel 2017 sono stati quasi trentasettemila i migranti accolti nel sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, comunemente chiamato SPRAR. Circa quattromila e cinquecento i minori, di cui più di tremila quelli senza famiglia mentre settemila e ottocento le persone portatrici di esigenze particolari e di delicate vulnerabilità.

 

Novemila, invece, sono i migranti usciti dagli SPRAR - diffusi in oltre mille e ottocento comuni - dei quali oltre il 70 per cento ha terminato il percorso di accoglienza avendo acquisito gli strumenti per una propria autonomia. Segno che i settecento e settantasei progetti realizzati a livello locale hanno raggiunto i risultati sperati.

 

I dati, raccolti nell’Atlante SPRAR 2017, contano più di quattromila beneficiari che hanno trovato un’occupazione lavorativa, settemila e cinquecento quelli che hanno frequentato un corso di formazione professionale, soprattutto nel settore della ristorazione e del turismo e ventiduemila e quattrocento coloro che hanno seguito corsi di formazione linguistica per più di dieci ore settimanali. Non solo. Nell’anno esaminato sono stati effettuati diciottomila e quattrocento interventi volti all’autonomia abitativa.

 

E se la partecipazione alle attività del territorio risulta più difficoltosa, certamente più facile è il coinvolgimento (f)attivo nella gestione del progetto, in cui risultano impegnati a supporto dei beneficiari di ultimo ingresso per la conoscenza delle procedure di accoglienza, per l’organizzazione degli spai comuni, dei momenti ricreativi e dei laboratori.

 

In ogni modo, le attività intraprese con i progetti all’interno degli SPRAR mirano ad apportare cambiamenti anche nel contesto locale e della comunità, poiché sensibilizzano la collettività, rafforzano la rete dei servizi e coinvolgono la rete locale che è senz’altro funzionale ai percorsi di accoglienza. Per favorire l’inserimento nel tessuto sociale e l’amplificazione del senso di appartenenza al territorio.

 

In questa direzione sono andate le iniziative intraprese nel corso del 2017 che hanno coinvolto le scuole, puntando a un percorso di conoscenza reciproca basata sul rapporto diretto tra studenti e migranti degli SPRAR, scevro da barriere culturali e luoghi comuni, e quelle finalizzate al recupero di arti e mestieri. Che non solo rappresentano un’ottima opportunità lavorativa futura ma sono efficaci anche per coniugare esigenze di integrazione dei singoli e sviluppo locale. Vale la pena segnalare un’iniziativa realizzata dalla società cooperativa Recherche di San Gavino Monreale, la capitale dello zafferano, in Sardegna.

 

Dopo aver accompagnato gli ospiti dello SPRAR in un percorso di conoscenza del territorio, della sua storia e delle sue tradizioni, il progetto Oro Rosso li ha ingaggiati sia nella fase di coltivazione, in collaborazione con le aziende produttrici sia in quella di organizzazione della manifestazione, che si tiene a novembre, legata alla promozione e alla vendita di questa preziosa spezia, nell’allestimento degli stand espositivi e informativi, assegnando loro il ruolo di ambasciatori dello zafferano.

 

Con l’auspicio che tutto questo non venga annichilito dalle nuove normative che “nel tratteggiare nuovi provvedimenti sul sistema di protezione umanitaria senza un’adeguata previsione di un sostegno legislativo ed economico dello Stato, rischiano di esporre i comuni all’impossibilità di intervenire a far fronte alla presenza di persone sul territorio con ricadute pesanti sul fronte sociale”, si legge nel Rapporto annuale sugli SPRAR.

Ci sono miliardi di persone nel mondo che vivono in paesi nei quali la libertà di pensiero e di espressione è fortemente limitata. Se sono atee, poi, sono anche vittime di discriminazioni o persecuzioni sia da parte degli Stati sia da parte della società. Tanto da far passare, senza tanti ostacoli, che sposare il pensiero ateo è un atto di terrorismo, che promuovere valori umanisti è una sorta di attacco criminale alla cultura, che non professare una religione è un crimine morale degno di morte, che i figli possono essere portati via a causa dell’apostasia dei genitori, che mettere in discussione la cultura che le circonda può essere interpretato come blasfemia.


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