di Rosa Ana De Santis

Alessandro Amigoni, il vigile urbano che ha ucciso lunedi scorso a Milano, durante un inseguimento, un ragazzo cileno di 28 anni - Marcelo Valentino Gomez Cortes - da eccesso colposo di legittima difesa passa ad essere accusato di omicidio volontario. Non solo il collega l’ha smentito nella fantasiosa ricostruzione di quanto avvenuto, ma un testimone, a Tgcom24, ha dichiarato che la versione resa da Amigoni è fantasiosa e molto diversa dalla realtà. Indiscrezioni che emergono dalla Procura e da testimoni, confermerebbero che i due ragazzi a bordo dell’auto non fossero affatto armati.

La pistola sarebbe stata quindi l’invenzione ad hoc per giustificare il colpo che ha raggiunto il ragazzo, come sembra dai primi rilievi autoptici, alle spalle. E visto che la vittima è stata colpita alle spalle, risulta difficile credere che il vigile abbia visto un uomo puntargli una pistola. Da qui i primi dubbi degli inquirenti. Era difficile, in effetti, coniugare la scena della fuga con l’ipotesi della legittima difesa contro un uomo armato. O si fugge o si punta l’arma.

Una rissa, come riferiscono i testimoni, un inseguimento che termina con il caposquadra Amigoni che esce dall’auto in borghese e fa fuoco con la sua semiautomatica per difendersi da un’arma giocattolo o forse proprio da nulla. Mentre ancora si cerca il fuggitivo, un ragazzo è steso in obitorio e lascia moglie e figli, finito per strada con la faccia piena di sangue mentre il compagno scampato pare gridasse, come riferisce un testimone, di non sparare. Sembra la scena di un telefilm e si fa fatica a pensarla nell’ordinario delle nostre città.

Autopsia e perizie balistiche saranno fondamentali per ricostruire la dinamica dell’accaduto e l’esatta posizione del vigile rispetto ai due giovani, solo uno dei quali (e non la vittima) pare fosse quello armato, spostatosi dalla traiettoria del proiettile. Nel frattempo fanno il giro del web le foto che ritraggono il vigile e la sua passione per le armi. “Non è un Rambo”, si affretta a dire l’avvocato difensore, Giampiero Biancolella, anche se alcune immagini ricavate dal profilo di Facebook sono piuttosto inquietanti.

Stabiliranno quindi le indagini quanto accaduto e chi sia davvero Alessandro Amigoni. Un vigile che ha risposto per difesa a una minaccia, a due pericolosi criminali armati, o uno dal grilletto facile, atteggiato da sceriffo, innamorato delle armi, magari con qualche vizietto xenofobo?

Intanto sarebbe interessante sapere a quale procedura codificata risponde l’arrivare a folle velocità e spianare le armi in caso di rissa. Sono disposizioni impartite o solo frutto dell’esaltazione del mancato sceriffo? Se poi si aggiunge che di questa fantomatica rissa non c’è traccia, né di testimonianze né di danni o feriti, le incognite si sommano ancor di più.

Sull’onda di questa brutta storia sarebbe bene avviare una riflessione sulla proposta, inserita nel famoso pacchetto sicurezza, di armare i vigili urbani trasformandoli in poliziotti. Al momento, a discrezione dei singoli Comuni, alcuni sono armati e altri no. Quale sia la preparazione e la formazione di questi agenti, a quali test psico-attitudinali vengono sottoposti per assicurarci di non avere in giro per le città improvvisati sceriffi allo sbaraglio non è però chiaro.

L’impiego delle armi senza adeguata preparazione e in nome della sicurezza spesso diventa solo la molla di abusi e di azioni sproporzionate, come la storia delle nostre forze dell’ordine ha spesso impunemente confermato. Anche a Parma, sempre i vigili urbani, avevano pestato quasi a morte un ragazzo nero.

Intanto un uomo è scappato dai colpi di pistola del vigile e un ragazzo è steso in obitorio. Piccoli precedenti penali finiti in omicidio. Non è un telefilm, ma cronaca di casa. Sarà la sindrome dell’insicurezza e sarà il caso di rivedere chi può permettersi di avere un’arma in mano, con uniforme e senza, senza trasformare il pretesto della difesa nella brama della vendetta o, peggio ancora, nella banalità di un gioco.

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