di Sara Nicoli

La sintesi della più caotica - e alla fine quasi sorprendente - giornata delle nomine Rai la dà, a tarda notte, un alto dirigente di An. ''Ad un certo punto deve essere scattata una paura generale di rimanere fuori da un accordo che nessuno, nei partiti, voleva raggiungere. E alla fine siamo rimasti fregati noi". La Cdl, dunque, esce con le ossa rotte dalla prima tornata di nomine Rai. In apparenza, l'investitura di Gianni Riotta, corsivista del Corsera in quota Prodi, a nuovo direttore del Tg1, e del nuovo capo del personale Rai, Maurizio Braccialarghe, centrista della prima ora, sono state salutate come frutto di un'intesa bipartisan. Unica eccezione il voto della consigliera leghista, Giovanna Bianchi Clerici, richiamata all'ordine da Maroni all'ultimo minuto, quando la falange del Carroccio non ha più avuto la certezza di veder salvo il "loro" direttore di Raidue, Antonio Marano. Nessun particolare scompiglio, comunque; solo una simpatica nota di colore verde ad accompagnare una delle più pesanti debacle che la Cdl abbia conosciuto negli ultimi tempi dopo le elezioni. E successo, infatti, che al momento del voto sui nomi proposti con forza dal direttore generale Cappon e dopo una lunga prolusione del consigliere azzurro Giuliano Urbani, che perorava la causa attendista "per non dare uno schiaffo al Parlamento", ancora orbo della commissione parlamentare di Vigilanza, Marco Staderini, consigliere centrista fedelissimo di Casini, abbia spiazzato la propria compagine di maggioranza in cda annunciando, con candore tutto democristiano, che lui avrebbe votato con i consiglieri dell'Unione. Ad Urbani è stato chiaro che al tavolo del termometro politico del Paese, la Rai appunto, si stava consumando definitivamente lo strappo tra Casini e Berlusconi. E che nulla sarebbe stato più come prima, soprattutto fuori dalla Rai e in area centrodestra. L'unico modo per non far tracimare pesantemente all'esterno l'immagine di una Cdl in disarmo è sembrato quello di votare le nomine con il centrosinistra (solo due di un pacchetto certamente più ghiotto) rimandando i chiarimenti politici interni e quelli - pruriginosi- sulla leadership lontano dai cancelli velenosi di viale Mazzini. Bene Riotta, dunque. E anche Braccialarghe. Tutti insieme appassionatamente. Ma senza convinzione alcuna.

Infatti, subito dopo il voto in cda, tra le file di ciò che resta della Cdl è cominciata la resa dei conti. ''A mio parere - è infatti il commento, stavolta pieno di desolazione, di un esponente di Forza Italia - avremmo dovuto resistere un po' di più, almeno una settimana, e aspettare che si riunisse la Vigilanza...'' Così non è stato. L'epilogo ha sorpreso molti. Da giorni ''cresceva'' la richiesta fatta dall'azzurro Paolo Bonaiuti e rilanciata dal presidente della Camera Fausto Bertinotti, di aspettare per le nomine la convocazione della Commissione di Vigilanza. Un modo, in buona sostanza, per ritardare il più a lungo possibile la presa di possesso della tv pubblica da parte della maggioranza di governo; i rituali della commissione, di stanza a San Macuto, prevedono tempi biblici prima che possa emergere un qualsivoglia indirizzo dei commissari ai vertici aziendali circa le nomine e le conseguenti scelte editoriali. Del valzer di seggiole e poltrone, insomma, se ne sarebbe parlato sotto Natale e chissà poi in quale clima politico dopo la Finanziaria.

La mossa di Staderini ha messo tutti con le spalle al muro. Tant'é che, come vuole la tradizione, è subito partita una ridda di ipotesi, di veleni e sospetti. C'e' stato chi ha subito prefigurato un ''inciucio'' trasversale, di cui Riotta sarebbe solo il primo assaggio. Altri, non meno sconcertati, hanno dovuto prendere atto che almeno Fi e An sarebbero stati tagliati fuori da un'intesa raggiunta dai soli consiglieri della Rai del centrodestra, che quindi avrebbero agito in piena autonomia, contro il mandato ricevuto dai partiti di riferimento. Nella tarda serata di ieri, nel quartier generale di Forza Italia la tensione si tagliava con il coltello: ''Ho sentito parlare di riunioni notturne - ha riferito, a denti stretti, un alto dirigente di Forza Italia - tra esponenti del consiglio. Non so se ci siano realmente state. Certamente la sinistra ha giocato bene la partita, ma questo non spiega tutto. E' inspiegabile il comportamento dei consiglieri della Cdl. Ci hanno fregati, non c'è che dire".


Così il clima in area Polo. Ma la sinistra, come al solito, non trova motivo di festeggiare. Perché il sottile gioco di sponde che ha portato al risultato delle nomine, è stato tutto diretto dai Ds e dalla Margherita, sordi ai richiami di Bertinotti e del tutto incuranti delle richieste degli alleati minori. E i "cespugli", nel loro piccolo, non l'hanno mandata giù. Le dichiarazioni di alcuni alleati dell'Unione scattano una fotografia a tinte fosche, dove il malumore è il sentimento dominante. All'appello non manca nessuno, Pdci, Prc, Idv, Udeur e i Verdi che, addirittura, minacciano di aprire, sulla questione Rai, uno scontro politico interno dagli incerti risultati. Il timore degli alleati dell'Unione trova una sintesi nel comunicato del Pdci: "Le prossime nomine ci diranno se queste appena effettuate siano o meno frutto di un accordo tutt'altro che limpido con il centrodestra in pieno stile lottizzatorio…o, viceversa, se vi sarà un rispetto del pluralismo politico, sociale e culturale che trovi espressione con la valorizzazione delle molte ed importanti competenze presenti in Rai". Insomma, dal momento che il cda rimane a maggioranza di centrodestra, i "piccoli" dell'Unione temono che anche per le prossime nomine la trattativa correrà sul canale privilegiato Ulivo-Udc-Fi-An, tagliando fuori gli altri. Prodi, raccontano dirigenti dell'Unione, voleva fortemente Riotta e, dal momento che la cacciata di Petroni continua ad apparire problematica, ha cercato l'unica strada possibile, ovvero quella dell'intesa con la Cdl. Nell'area di Rifondazione si respira la convinzione che senza il via libera di Berlusconi non sarebbe stato possibile il voto bipartisan in cda. Ma è più il risentimento della mancata consultazione da parte di Ds e Margherita a far parlare il ventre molle del partito, non certo uno sguardo limpido sulla realtà del settimo piano di viale Mazzini. Dove la Cdl è stata sconfitta non da accordi e sotterfugi, da inciuci e intese trasversali intorno alle questioni più bollenti del conflitto d'interessi e della modifica della legge Gasparri.

A "tradire" i suoi è stato l'Udc. E le voci di dissenso dell'Unione hanno come unica, vera, motivazione la paura che il costituendo Partito Democratico faccia man bassa dei posti chiave Rai lasciando agli alleati di coalizione solo le briciole. La partita della tv pubblica, dunque, resta lo snodo dei prossimi assetti politici a destra, al centro e a sinistra. E c'è ancora molto da vedere prima di poter dire chi l'avrà vinta nell'Unione e nel Polo. Per entrambi ci sarà sempre, ma in modo variabile, un Udc che potrà fare la differenza. Casini, forse, non morirà berlusconiano. Di certo la Rai morirà democristiana.

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