di Cinzia Frassi

Il giudice monocratico Angela Salvio si riserva di decidere sull’istanza presentata da Pergiorgio Welby. Questo il risultato dell’udienza presso il Tribunale di Roma, prima Sezione Civile, dopo il parere della procura della Repubblica che riconosce il diritto di Welby di staccare la spina ma, aggiunge, “se il malato soffre, i medici possono ripristinare le cure”. Sono cauti alla Procura e lo è pure il giudice Angela Salvio, che avrà ancora qualche giorno per prendere una decisione definitiva. La sentenza dovrebbe essere emessa entro una settimana, in base ai termini di legge. Ha preso tempo, ma gli elementi per decidere ci sono tutti, a parte il dibattito acceso che si consuma fuori dall’aula. Welby è nato nel 1945 e dall’età di 20 anni soffre di distrofia muscolare, una malattia che lo costringe da troppo tempo ad una vita che lui definisce “inaccettabile”. La discussione intorno all’accanimento terapeutico, all’eutanasia e al testamento biologico, ha inizio a settembre quando Welby invia una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In seguito presenta ricorso urgente al Tribunale di Roma. Chiede al giudice l’interruzione del trattamento sanitario che qualifica come accanimento terapeutico, quindi il distacco dal respiratore artificiale e la sedazione terminale. Inoltre, chiede che sia impedito ai medici di intervenire successivamente, cioè che non venga in ogni caso ripristinata la terapia. Welby non può muoversi, il suo corpo è immobilizzato. E’ in grado di compiere lievi movimenti con gli occhi e con le labbra.

Il parere della procura non porta nulla di nuovo alla prassi giuridica. E’ ormai pacifico che le cure e l’intervento del medico sono subordinate al consenso valido e consapevole del paziente. L’art 32 della Costituzione sancisce il diritto di ciascuno di decidere se sottoporsi ad un trattamento sanitario o meno. Il diritto alla salute di cui all’art. 13 della Costituzione risulterebbe monco se non fosse accompagnato dalla possibilità di decidere se curarsi o meno.
I pm di questo caso sono persuasi che si tratti di accanimento terapeutico e questo pare chiaro a chiunque. Nel loro parere ricordano l’art. 14 del codice deontologico del medico che stabilisce che “egli deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti da cui non ci si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita”. Il trattamento cui è sottoposto Welby è qualificato come inutile e sproporzionato.

Il caso appare ancora più chiaro nel momento in cui è il codice deontologico stesso che stabilisce che, in caso di malattia terminale, il medico deve dare assistenza morale e risparmiare inutili sofferenze. Welby chiede appunto la sedazione terminale e che sia ordinato al medico di non ripristinare la terapia ed è chiaro che le sue condizioni non lascerebbero evidentemente alternative, se non quella di alleviare le sue sofferenze.
Tuttavia, uno dei medici che segue Welby si è opposto al ricorso dichiarandosi d’accordo in linea di principio sul fatto che il trattamento sanitario è legittimato dal consenso del paziente, ma sostenendo che, se venisse ordinato di staccare il respiratore artificiale, egli ripristinerebbe la terapia, ritenendo di non poter assecondare la volontà del paziente.

Il mondo politico si è animato attorno a questo caso, riallineandosi senza sorprese di rilievo sul caso Welby e da questo per finire con il discutere di tutto ciò che ha a che fare con la “filosofia della vita”.
Nel suo messaggio per la giornata mondiale della pace che sarà celebrato il primo gennaio 2007, Papa Ratzinger fa un unico calderone delle cause che secondo lui provocherebbero le “morti silenziose” e accanto alla fame, all’aborto, alla sperimentazione sugli embrioni, punta il dito contro l’eutanasia. Sul caso Welby, in particolare, il Cardinale Renato Raffaele Martino dichiara che "Il Papa e la Chiesa sono contro l'eutanasia e credo che non possiamo permetterla", ignorando forse che questo è un caso di accanimento terapeutico.

Nei prossimi giorni è atteso il parere del Consiglio superiore di sanità, sollecitato sul caso Welby dal ministro Livia Turco, che si riunirà per procedere nell’attività istruttoria oggi, 13 dicembre. Il Presidente del Consiglio superiore di Sanità, Franco Cuccurullo, prevede che il parere possa arrivare entro natale.
Ma accanto al parere del Tribunale di Roma e a quello del Consiglio superiore di sanità, è atteso soprattutto l’intervento del Comitato nazionale di bioetica. A quanto sembra il caso trova concordi i membri del comitato, che sostengono si tratti di accanimento terapeutico e che, in questi casi, la necessità sia quella di evitare sofferenze inutili al paziente. Sottolineano anche che l’eutanasia non ha niente a che vedere con il caso in questione, riportando il punto nei suoi giusti confini.

Le animate discussioni di questi ultimi mesi risentono chiaramente di un certo prurito ideologico e di strumentalizzazioni, che hanno l’effetto di irrigidire ancor di più le posizioni contrapposte.
Welby andrebbe considerato un uomo che soffre, in fase terminale e che vuole decidere su se stesso. Un uomo, un cittadino come tanti nelle sue stesse condizioni, cosciente delle sue sofferenze e lucido nel desiderio di porre fine al respiro artificiale che lo tiene in vita. Quello di cui si tratta è l’ennesimo caso di un paziente senza speranze che trova già oggi una risposta nel nostro sistema giuridico alle sue istanze. Se il nostro Paese fosse in grado di separare diritti (di tutti) e fede (di chi ce l’ha), non vedremmo gli attriti di polemiche strumentali che portano alla ribalta un tema di scontro politico sul diritto alla vita confuso, colpevolmente, in quello tra angeli e demoni.

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