Sto per licenziare un mucchio di righe. La cosa che almeno voglio dire è questa: che se avessi partecipato di una manifestazione nel corso della quale fosse avvenuto l’assalto alla Cgil, mi vergognerei come un ladro.

Prima dichiaro la mia personale posizione. Ho una fiducia che chiamerei pregiudiziale per i vaccini, se non si fondasse su una ingente esperienza clinica che mi ha inaspettatamente tenuto in vita finora. Essendo pressoché ottuagenario, dunque destinato a morire, qualunque sia il pretesto, di vecchiaia, merito certo una diffidenza: ho poco da perdere, e se provassi a stipulare un’assicurazione sulla vita dovrei versare una cifra esosa. Di fatto ho ridotto drasticamente il mio investimento su me stesso, futuro, vanità, ambizioni, dunque chi mi dicesse: “facile per te, che hai un piede nella fossa”, avrebbe buone ragioni. C’è una faccia opposta della medaglia. Quelli come me, mentre disinvestono dal proprio futuro, diventano tanto più attaccati al futuro altrui, di figli, nipoti, e intere generazioni a venire. Dunque l’obiezione è perlomeno parziale.

 

Scoppiò la pandemia. La presi molto sul serio, come ho preso molto sul serio, specialmente da quando dovetti registrare (amaramente, ma fu anche un piacere) l’esaurimento della prospettiva politica in cui con molti altri avevo confidato, la dilapidazione delle risorse del pianeta per mano umana. La pandemia era una malattia mortale acuta sovrapposta alla malattia cronica, cioè solo più lenta, del declino ecologico. Vi ho riconosciuto una ragione in più, e più impellente, di quella solidarietà del genere umano (Leopardi, La ginestra) indispensabile alla sua sopravvivenza e alla sua dignità, e che tuttavia ha nel nostro comune retaggio culturale, e soprattutto nell’avidità invincibile di ricchi e potenti, sfruttatori di fatica e intelligenza altrui, ostacoli formidabili e continuamente confermati. Nell’impegno a fronteggiare il pericolo (e lo spaventoso costo di morti e sofferenze) attraverso la ricerca scientifica, e nella rapidità impressionante del suo risultato, ho riconosciuto le potenzialità di cui l’umanità dispone; nell’avidità, nella rivalità senza esclusione di colpi, e specialmente nella discriminazione sui beneficiari, ho riconosciuto la distorsione che segna il modo del nostro progresso.

Ho un vivo ricordo del paesaggio al primo avvento dei vaccini anti-Covid. Il paesaggio era dominato dall’allarme geloso sul rischio che la distribuzione dei vaccini avvenisse iniquamente. Si imperversava contro gli accaparratori di vaccino in violazione alle precedenze. Erano loro i nemici pubblici. L’allarme fu tale che, pur alla mia età e con i miei precedenti clinici (mi guardo dalla parola Pregresso, di cui appresi l’esistenza ripugnante nell’ambito delle fedine penali) decisi di mettermi ordinatamente in fila, e la fila era lunga mesi, e di contentarmi senz’altro di dose e richiamo di Astrazeneca, già abbondantemente (e stupidamente) sputtanata.

Questo il paesaggio: la corsa al vaccino. C’erano bensì sparute minoranze tradizionali anti-vaccini, con motivazioni supposte scientifiche o ideologiche – misure ritenute innaturali, fede new-age o 5 stelle, eccetera – rispettabili ma incomprensibili per me che ricordo la polio e il morbillo, ho incontrato la malaria e l’ebola, e mi sono fatto un’idea sul modo in cui ne caviamo le zampe.

Le cose erano a questo punto, quando cominciarono a ribaltarsi. Il sospetto si insinua volentieri nelle epidemie, che sono il prototipo delle cospirazioni e dei loro agenti, untori ed ebrei. Il vecchissimo scenario si mostrò a molti come diabolicamente nuovo. Nuova era davvero la simultaneità e la divulgazione: televisioni e internet, discariche indifferenziate. L’impressione che l’incompetenza fanaticamente esaltata cedesse bruscamente il passo alla lucidità della procedura scientifica, che prova e riprova, avvera e falsifica (e il conseguente panico fra opinionisti, politici e giornalisti strafatti da sé, influenzisti: il più vasto modo di sbarcare il lunario materiale e fittizio del tempo) – quell’impressione durò poco. Qualunque opinione valeva presto l’altra, e su ciascuna si costruiva un gruzzolo sufficiente a vivacchiare di rendita. I governi fecero la loro parte di errori, oscillazioni, controsensi, com’era in parte inevitabile – in parte no.

Il serbatoio complottista che la società oggi contiene in misura, e con una velocità, incomparabili, e già sarebbe difficile da accudire, si valse della sponda della destra politica, già rodata da xenofobia e antisemitismo, ingredienti basilari, e della “né destra né sinistra” 5 stelle: per insipienza e calcolo, la destra, per insipienza purissima i secondi. La maggioranza della popolazione agì secondo buon senso – anche per gregarismo, si dirà. I vecchi no, i vecchi provavano, alla rovescia, quello che un tempo era delle guerre, che falcidiavano i giovani: vedevano i loro vicini di casa, i loro compagni di scopa all’osteria, i loro partner di vedovanza nelle balere, morire soli e smaltiti all’ingrosso: erano felici di vaccinarsi, si sentivano attori, avanguardie. Si salvarono, benché non abbastanza. (Siamo a 132 mila morti. 700 mila negli Usa, prevalentemente repubblicani).

Non si è ragionato abbastanza sulla combinazione micidiale fra il trauma della pandemia e una società in cui prevale una destra avara, xenofoba e tendenzialmente razzista. Come nel Brasile di Bolsonaro, come negli Usa di Trump: l’incubazione dell’assalto golpista al Campidoglio, il trionfo della faccia trista dell’America, di cui a Roma sabato si è avuta la miniatura ributtante alla sede della Cgil. Mi pare questo l’errore di interpretazioni che si vogliono anticonformiste sul complottismo vigente, e ne additano le profonde, se non le buone, motivazioni, nelle condizioni materiali e sentimentali di tanta parte di popolazione: trascurando però il fatto che ad alimentare e a lucrare sul complottismo è una parte ingente del potere, la parte cui le previsioni elettorali assegnano il governo.

In Italia la stolidità di leader come Salvini e gli espedienti di altri come Renzi, provvidenziali una e altri, hanno fatto sì che il governo della pandemia non sia passato nelle mani della destra. Ma intanto la destra, data appunto per nettamente maggioritaria, ha giocato sul doppio fronte dell’estorsione al governo e del fiancheggiamento degli spiriti ruggenti. Via via che malumore, risentimento, malessere di massa andavano coagulandosi attorno alle misure contro il Covid, l’estrema destra apertamente fascista e, secondo lei, “sociale”, si felicitava dell’accoglienza che le si apriva in quella inedita mobilitazione, minoritaria sì ma, dopotutto, di massa.

A Roma sabato, assaltando la Cgil, ha commesso probabilmente un peccato di gola, compensato ai suoi occhi dalla gloria di aver rinnovato i fasti del fascismo di cent’anni fa. (Impressiona comunque la larghezza della “comprensione” che dalle file no-pass è venuta all’impresa squadristica, “meritata” dai burocrati sindacali...). Ma una confusione prima, fusione poi, fra fascisti-fascisti e piazze novax e nopass era avvenuta, e a volte era stata avallata da una sinistra che si crede coerente e intransigente e non rinnegata, con l’argomento che è l’obiettivo che importa, non la compagnia.

E veniamo a un ulteriore punto. Movimenti eversivi hanno pullulato da tempo sotto la crosta della politica italiana diventando, sotto nomi diversi, endemici. La sinistra, quella che si pensa “vera”, li ha non di rado fraintesi per ribellioni socialmente promettenti, secondo un’inclinazione indulgente e tenace: lo ha fatto perfino quando erano orrendamente connotati da una demagogia trivialmente reazionaria – il movimento dei forconi, ricordate? Il caso novax ha offerto a simili aspiranti capipopolo un’occasione ghiotta, a cominciare dai più grossolani, come il generale appena degradato sul campo. Ma la cosa si è andata complicando. La minaccia del Covid si attenuava sensibilmente – grazie alla diffusione delle vaccinazioni – e intanto le posizioni dubbiose, “aspetto di vedere”, si trovavano argomenti per nobilitarsi, pareri scientifici adattati (ce n’è per tutte le borse) e voci di personaggi di spicco, così da mutare la silenziosa e imbarazzata renitenza in rivendicazione addirittura orgogliosa di indipendenza, anticonformismo e informazione. (Succede, e serve a poco deplorarvi rozzezza e ignoranza e superstizione: molte persone sono convinte di essersi fatte una competenza preziosa, che peraltro non si sarebbero sognate di coltivare su qualunque altro farmaco di cui si rimpinzino alla bisogna. Sapete che fra i negazionisti, quelli del vero negazionismo, dello sterminio, ci sono stuoli di farabutti o fanatici rimpinzati di nozioni “occultate”. Così come quelli cui non la si dà a bere sull’11 settembre, e così via.

Gente che si fa specialista di menzogne madornali tramutate in una miriade di immaginarie piccole verità, altrettanti fazzoletti di Desdemona ricomposti a formare il grande disegno cospirativo. Fra l’enciclopedismo paranoico di tali cultori e la mentalità corrente, la naturalezza del candidato romano Michetti per il quale ci si curò degli ebrei perché avevano le banche, c’è un meraviglioso amalgama. Il giorno prima è un comico delirio, il giorno dopo è la persecuzione razzista).

La cosa, dunque, si è andata complicando. Uno come me, che ha deliberatamente omesso di aggiornarsi sulla proliferazione di dibattiti clinici e giuridici attorno al Covid, perché non gli compete e perché ha molto altro da sbrigare, si è accorto con un certo sbigottimento che la congerie di paure, diffidenze, sospetti, denunce e rifiuti attorno ai vaccini e alle misure pubbliche contro la pandemia si erano andate fondendo fino a convincere un notevole numero di persone di costituire addirittura un nuovo proletariato, o comunque una nuova classe sociale oppressa, sfruttata, e capace, nella propria strenua decisione di resistenza, di preservare oggi l’umanità offesa e riscattarla domani tutta intera.

L’orgoglio vittimista ed epico di questa fantasia lascia tramortiti. Molte resistenze si sono tentate nella storia, anche la più recente, ciascuna e ciascuno di noi ne ha partecipato, ne ha cantato le canzoni, ne ha sentito l’epopea, ne ha rimpianto la sconfitta o se ne è congratulato risarcendosi con l’onore delle armi. Ed ecco ora una nuova imprevedibile incarnazione della ribellione che avrà, una volta archiviata e divenuta memoria, il segno buffo di un’epopea contro la somministrazione di vaccini e le modalità pubbliche della loro persuasione. Lo stato d’eccezione soffia dove vuole.

A me verrebbe da ridere. Ma non si deve fare, ammoniscono. Se la rinfusa di novax e nopass si prende per una nuova classe oppressa e ribelle e fa fieramente proselitismo, vuol dire che proprio di questo c’è bisogno, che proprio di questo si sente la mancanza, e nessuno, tanto meno la sinistra, offre una risposta autentica che impedisca alla protesta di deragliare verso false bandiere e cattivi capitani. Se la classe rivoluzionaria non c’è più, bisogna inventarla. E’ davvero così? E’ la sommossa anti-green-pass il rocchetto attorno al quale arrotolare le fabbriche spaesate, il carbone rilanciato, l’aumento delle tariffe, i licenziamenti via whatsapp, il CSM spiaggiato, i 13 anni a Lucano, il ponte sullo stretto? E i vaccinati e gli esibitori di greenpass come li tratteremo, come la reincarnazione dell’aristocrazia operaia, i nuovi garantiti, il socialpatriottismo?

Di chi non vuole vaccinarsi non si può ridere, certo. Si può imputargli di mettere a rischio maggiore il suo prossimo, se non tenga un comportamento rigorosamente adeguato. Si ha ragione di ricordargli che della sua relativa sicurezza dev’essere grato ai vaccinati. A costo di somigliare a chi dice: “Io razzista? Ma se ho un amico negro”, proclamo che la ragazza che più mi piace baciare e abbracciare (castamente) è una tenace novax, porca miseria – riservata, comunque. Ma voglio aggiungere un dettaglio.

La nostra società così impetuosamente cangiante offre continue occasioni di mettersi in luce, farsi largo, conquistarsi un posto, e non con il tempo e la tenacia ma di colpo. Bisogna afferrare l’attimo. Il movimento novax e/o nopass è un’occasione. Avete visto la vicequestora di piazza del Popolo: era pronta a uscire dalla polizia, aveva un libro in uscita, ha detto “La politica mi aspetta” (sotto forma di Fratelli d’Italia, ma sarebbe stato lo stesso da un’altra parte). Fame da conquistare, fame da recuperare e rinverdire. E’ tutto così umano.

Mi resta un’osservazione. Leggo opinioni concorrenti sul tema fascismo-antifascismo, più esattamente, sul tema antifascismo-anti/antifascismo. I minimizzatori, che si nutrono dei massimizzatori e viceversa, hanno un gran torto a sminuire un episodio osceno come l’assalto e l’irruzione e la devastazione alla Cgil. Una lezione, almeno, antica anche lei, è che non si può lasciare sguarnita, o affidata a tre poliziotti insultati e malmenati, la sede di un sindacato. (Nemmeno quella del Campidoglio americano). Ma fascismo storico a parte, che è di Forza Nuova nella versione più disgustosa, il mio famigerato pessimismo mi fa vedere un nesso possibile, come di una scintilla con un deposito di benzina, fra il sentimento novax/nopass e l’astensionismo elettorale. Spero di sbagliare.

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