USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Carlo Musilli

In una sorta di nemesi finanziaria, i mercati hanno spostato i riflettori dalle banche italiane al cuore bancario della Germania, Deutsche Bank. Venerdì scorso il titolo in Borsa del colosso tedesco ha vissuto una seduta schizofrenica: crollo del 9% in mattinata - fin sotto la soglia psicologica dei 10 euro - e rimbalzo poderoso nel pomeriggio, terminato con un rialzo del 6,4%, a 11,57 euro. Come si spiega tanta incertezza sul principale istituto dell’Eurozona, figlio prediletto del Paese che detta le regole agli altri?

A innescare la pioggia di vendite iniziale è stata una notizia diffusa giovedì sera negli Stati Uniti. Secondo un documento interno di Deutsche Bank citato da Bloomberg, 10 hedge fund Usa hanno ridotto drasticamente la propria esposizione nei confronti della banca tedesca, temendo che le sue difficoltà finanziarie preludano a una crisi.

L’inversione di marcia di venerdì pomeriggio, invece, si deve a un’indiscrezione (non confermata) diffusa dall’Afp. L’agenzia francese ha scritto che Deutsche Bank sarebbe vicina a sottoscrivere un accordo da 5,4 miliardi di dollari con il Dipartimento di Giustizia statunitense per chiudere il caso subprime.

Sono tanti soldi, ma il sollievo dei mercati è comprensibile: per archiviare le scorrettezze sui titoli legati ai mutui, inizialmente Washington aveva chiesto alla banca tedesca addirittura 14 miliardi. Una cifra spaventosa, che nelle ultime settimane aveva sollevato dubbi circa la necessità di un aumento di capitale, se non addirittura di un intervento pubblico. Entrambe le ipotesi erano state smentite sia dal gruppo sia dal Governo tedesco, ma i numeri sembravano lasciare poco spazio alla fantasia.

Non solo i 14 miliardi chiesti in origine superano di molto gli accantonamenti effettuati da Deutsche Bank per i diversi casi giudiziari in cui è ancora implicata: anche la cifra emersa venerdì, se confermata, sarebbe comunque vicina alla soglia che secondo il mercato l’istituto potrebbe tollerare senza interventi sul capitale.

Del resto, a luglio Deutsche Bank era stata giudicata una delle banche più deboli del continente negli stress test della European Banking Authority. E sempre la scorsa estate il Fondo Monetario Internazionale ha definito l’istituto tedesco “la principale minaccia sistemica per la stabilità finanziaria globale”. Un giudizio legato non soltanto agli scandali e alle cause in giro per il mondo, ma soprattutto all’esposizione lorda in derivati, che ammonta a 42mila miliardi, circa 15 volte il Pil tedesco.

Verrebbe da pensare che una banca del genere sia oggetto di controlli ferrei, ma non è così. Al contrario, Deutsche Bank è in queste condizioni anche perché beneficia di una straordinaria indulgenza da parte del Meccanismo unico di Vigilanza della Bce, un organo autonomo dal Consiglio direttivo, guidato dalla francese Danièle Nouy ma assai sensibile alle pressioni tedesche.

Ad esempio, come ricorda Fubini sul Corriere della Sera, nell’autunno del 2014 l’Eba promosse Deutsche Bank agli stress test chiudendo gli occhi sul fatto che la banca fosse già coinvolta in 7.800 cause giudiziarie, le cui penalità sono costate 6,8 miliardi di perdite solo nel 2015 e continuano ancora oggi a sconvolgere i bilanci dell’istituto (il tutto con violente ripercussioni in Borsa, considerando che dal 2014 le azioni della banca hanno perso il 70%).

Non solo. Quello stesso anno la Vigilanza Bce prese per buone le stime di Deutsche Bank sul valore di un portafoglio di derivati, malgrado alcuni anni prima un ex manager dell’istituto avesse denunciato che i dati del bilancio 2009 erano fondati su “valutazioni improprie” frutto dei “modelli interni” della banca. Per quei conti falsati le autorità Usa multarono Deutsche Bank, mentre la Bce pensò bene di continuare a fidarsi dei modelli interni della banca anche gli anni successivi.

La differenza di trattamento sulle due sponde dell’Atlantico è evidente: basti pensare che, mentre incassa promozioni in Europa, negli ultimi due anni Deutsche Bank è stata bocciata agli stress test condotti dalla Fed sul 15% del bilancio dell’istituto tedesco che dipende dagli Stati Uniti.

In altri termini, la Bce evita d’indagare a fondo come dovrebbe, sottostimando volutamente il pericolo costituito dai guai giudiziari e dalla montagna di derivati in pancia a Deutsche Bank, mentre gli Stati Uniti non si fidano. E, purtroppo per la banca tedesca, i mercati sembrano pensarla come la Fed. Hedge fund in testa.

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