Rafah e le macerie della tregua

di Michele Paris

Dopo settimane trascorse ad accusare Hamas di non volere accettare un accordo per la liberazione degli “ostaggi” che avrebbe messo fine alla guerra nella striscia di Gaza, il regime israeliano di Netanyahu ha scatenato l’annunciata offensiva nella località di Rafah letteralmente poche ore dopo che il movimento di liberazione palestinese aveva dato il proprio consenso all’accordo sul...
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Gaza, gli scogli della tregua

di Michele Paris

L’attitudine dei vertici di Hamas nei confronti dell’ultima proposta di tregua avanzata da Israele sembra essere improntata a un’estrema cautela. Il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza ha fatto sapere nelle scorse ore che restano ancora elementi ambigui nella bozza sottoposta con la mediazione egiziana, anche se le trattative sono tuttora in corso e il documento potrebbe essere il punto di partenza per una “seria discussione”. È abbastanza chiaro che Washington e Tel Aviv puntino quanto meno a mettere in pausa il massacro di palestinesi nella striscia. Le manovre attorno alla proposta per un cessate il fuoco nasconde però il tentativo di garantire una qualche copertura al regime di Netanyahu, il quale ha...
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di Michele Paris

Due settimane di bombardamenti aerei condotti dalle forze armate dell’Arabia Saudita e di una decina di altri regimi sunniti stanno provocando una vera e propria catastrofe umanitaria nello Yemen, paese già considerato alla vigilia del conflitto come il più povero e socialmente arretrato del mondo arabo. I morti a causa della nuova guerra, secondo alcune stime, sarebbero finora più di 500, migliaia risultano invece i feriti, mentre la situazione sanitaria è in piena crisi a causa della distruzione delle infrastrutture e del blocco delle forniture deciso da Riyadh.

L’aggressione ai danni dello Yemen ha ricevuto da subito l’appoggio degli Stati Uniti e, come tutte le guerre avviate da Washington, anche quella in corso nella penisola araba sta provocando il caos più totale assieme a un aggravamento delle tensioni settarie interne.

Com’è noto, le monarchie oscurantiste del Golfo Persico hanno lanciato un’azione militare coordinata contro lo Yemen per fermare i cosidetti “ribelli” sciiti Houthi, la cui avanzata dall’autunno scorso ha provocato il dissolvimento dell’impopolarissimo regime del presidente-fantoccio Abd Rabbuh Mansour Hadi.

Quest’ultimo era stato installato da Arabia Saudita e Stati Uniti nel 2012 in seguito a un’elezione in cui non vi erano altri candidati, mettendo fine, almeno temporaneamente, alla crisi del sistema statale yemenita provocata dalle manifestazioni di protesta nell’ambito della “Primavera Araba” per chiedere l’allontanamento dell’allora presidente-autocrate, Ali Abdullah Saleh.

Hadi aveva garantito la totale collaborazione del suo governo con Riyadh e Washington, in particolare nella lotta al “terrorismo”, in questo caso rappresentato principalmente da al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP).

In realtà, l’importanza dello Yemen è determinata dalla sua posizione strategica sulle rotte commerciali che collegano il Mediterraneo all’Oceano Indiano, nonché dalla possibilità che la destabilizzazione di questo paese possa contagiare i paesi del Golfo - a cominciare dall’Arabia Saudita - ovvero i bastioni della reazione in Medio Oriente e, dunque, degli interessi americani.

Le attività della sezione yemenita di al-Qaeda erano state comunque ridotte dai successi militari degli Houthi ma la guerra scatenata dall’Arabia Saudita ha prevedibilmente invertito questa tendenza, consentendo ai jihadisti di tornare a guadagnare terreno.

Secondo le notizie provenienti dallo Yemen, qualche giorno fa AQAP avrebbe tra l’altro conquistato la città di Mukalla, costringendo le forze governative a fuggire e lasciando grandi quantità di armi - provenienti dagli Stati Uniti - nelle mani dei fondamentalisti.

Se AQAP era fino a pochi mesi fa la giustificazione dell’intervento militare (droni) e finanziario-strategico rispettivamente degli USA e dell’Arabia Saudita in Yemen, oggi sia Washington sia soprattutto Riyadh, vedono quasi certamente questo gruppo affiliato ad al-Qaeda come una forza utile nella loro battaglia contro gli Houthi. Tutte le forze impegnate in Yemen dalla parte della coalizione sunnita, nonostante la retorica della “guerra al terrore”, temono infatti maggiormente lo scivolamento di questo paese nell’orbita iraniana (sciita) rispetto al rafforzamento di al-Qaeda.

La galassia fondamentalista viene utilizzata d’altra parte da tempo come alleato o forza d’urto contro governi sgraditi agli Stati Uniti e ai loro alleati in Medio Oriente, come è accaduto in Libia o in Siria, mentre il proliferare del jihadismo offre puntalmente la giustificazione per intervenire miltarmente o per prolungare l’occupazione di un determinato paese.

Nel caso yemenita, la minaccia che Riyadh intenderebbe sventare è rappresentata invece dall’Iran e dalla presunta interferenza della Repubblica Islamica nelle vicende mediorientali a discapito degli interessi del regime saudita. Il timore di un’espansione dell’influenza di Teheran nella regione è così la preoccupazione principale dell’Arabia Saudita, al di là del reale grado di collaborazione tra l’Iran e gli Houthi. In questa prospettiva, appare tutt’altro che casuale che l’inaugurazione della campagna militare in Yemen sia avvenuta nell’immediata vigilia della sottoscrizione a Losanna dell’accordo preliminare sul programma nucleare iraniano.

Un Iran riconciliato con la comunità internazionale potrebbe infatti tornare a far sentire il proprio peso in Medio Oriente, minacciando la posizione di un’Arabia Saudita che, oltretutto, ospita sul proprio territorio una vivace minoranza sciita, localizzata soprattutto in aree con importanti giacimenti petroliferi.

Il senso di minaccia fortemente percepito dai regimi che stanno combattendo in Yemen con l’appoggio americano ha prodotto quindi una coalizione araba piuttosto insolita, a testimonianza in primo luogo dell’intenistà delle scosse causate dal possibile riassetto strategico derivante dall’intesa sul nucleare di Teheran.

Se è l’Arabia Saudita a guidare e coordinare le operazioni belliche, paesi come Bahrain, Qatar, Emirati Arabi, Marocco, Giordania, Kuwait e, addirittura, Sudan contribuiscono alle incursioni in Yemen con i propri aerei da guerra. L’Egitto ha invece prevalentemente garantito forze navali, mentre il Pakistan, se pure ha promesso un qualche impegno, ha assunto nel concreto una posizione più cauta, viste le implicazioni relative agli equilibri settari interni e alle relazioni con l’Iran.

L’efficacia della coalizione potrebbe inoltre essere testata in caso di invasione di terra in Yemen, un’eventualità che i vertici militari sauditi hanno detto non essere imminente ma chiaramente allo studio per fermare gli Houthi e reinsediare Hadi alla guida del paese.

Lo scenario collaborativo venutosi a creare in Yemen ha moltiplicato così in varie capitali arabe gli appelli alla formazione di un’alleanza militare sunnita modellata sull’esempio della NATO, con tutte le implicazioni rovinose del caso visti i precedenti di quest’ultima.

Un’analisi pubblicata questa settimana dal quotidiano in lingua inglese degli Emirati Arabi, The National, ha affermato minacciosamente che “la complessità delle operazioni in Yemen sono simili ad altre che potrebbero essere intraprese in Medio Oriente e in Nordafrica nel prossimo futuro”. “Entro un anno”, ad esempio, la Libia potrebbe essere oggetto di un intervento militare da parte di “un’alleanza araba”.

L’uso delle forze aeree per “ottenere obiettivi stategici e tattici” in Yemen, continua il pezzo del giornale governativo, è d’altra parte ispirato alle operazioni degli Stati Uniti e della NATO. Se una nuova alleanza militare dovesse nascere tra i paesi arabi sunniti, Riyadh ne ospiterebbe inevitabilmente il quartier generale, come Bruxelles ospita quello della NATO.

Ancor prima della guerra in Yemen, spiega infine The National, alcuni dei paesi che fanno parte della coalizione avevano partecipato a esercitazioni militari bilaterali e multilaterali, “specialmente all’indomani della Primavera Araba”.

Quest’ultimo riferimento appare estremamente significativo, visto che, assieme al contenimento dell’Iran, il ruolo principale della sorta di versione araba sunnita della NATO che potrebbe sorgere dalla devastazione dello Yemen sarebbe di natura prettamente contro-rivoluzionaria, così da mantenere intatti gli equilibri favorevoli alle dittature ultra-reazionarie del Golfo e, di riflesso, dei loro alleati americani.

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