Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica,...
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Rafah e ONU, Israele al bivio

di Mario Lombardo

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato lunedì per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Il provvedimento è passato con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti, che hanno rinunciato al potere di veto, provocando una durissima reazione da parte del regime israeliano. Per tutta risposta, Netanyahu ha annullato la visita a Washington di una delegazione che avrebbe dovuto discutere con la Casa Bianca la possibile operazione militare nella città di Rafah, al confine tra la striscia e l’Egitto. Questa iniziativa, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, resta al centro dell’attenzione della...
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di Michele Paris

La crisi economico-finanziaria esplosa tra il 2007 e il 2008 e la medicina somministrata da molti governi in Europa per salvare i rispettivi sistemi bancari responsabili del tracollo hanno fatto un’altra vittima nel fine settimana, quando le elezioni per il rinnovo del parlamento (Dáil) della Repubblica d’Irlanda hanno registrato pesanti perdite per i due partiti di governo, il Fine Gael (“Famiglia degli Irlandesi”) di centro-destra e il Partito Laburista.

I risultati del voto di venerdì in Irlanda hanno riproposto scenari molto simili a quelli già emersi nei mesi scorsi in altri paesi europei devastati da anni di austerity, in particolare in Spagna. Anche in Irlanda, infatti, i due partiti che hanno dominato il panorama politico per decenni - Fianna Fáil (“Soldati del destino”) e, appunto, Fine Gael - non sono stati in grado di ottenere la maggioranza assoluta dei consensi né dei seggi parlamentari, nemmeno, nel caso di quest’ultimo, con il supporto del proprio partner di coalizione.

I nuovi equilibri osservabili anche a Dublino sono il sintomo di una grave crisi del sistema rappresentativo consolidato in tutta Europa, spesso manifestatosi in un sostanziale bipartitismo, sulla spinta delle politiche distruttive messe in atto dalle classi dirigenti di qualsiasi colore dopo il tracollo economico del 2008.

Il Fine Gael ha visto così precipitare la propria fetta di elettori dal 36% del 2011 al 25,5% odierno. Ancora peggio ha fatto prevedibilmente il Labour, passato dal 19,4% al 6,6% dopo cinque anni nel ruolo di partner di minoranza dedito all’implementazione di un programma fatto di tagli e nuove tasse dettato da Bruxelles.

Significativamente, nel 2011 era stato il Fine Gael ad approfittare della rabbia degli elettori nei confronti del governo guidato dal Fianna Fáil, responsabile a sua volta delle prime devastanti misure di austerity adottate nell’ambito delle trattative con l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale per l’ottenimento di un maxi-prestito da 85 miliardi di euro.

Proprio il Fianna Fáil si è ripreso ora una parte di voti che cinque anni fa erano andati al suo storico rivale, così da salire dal 17,4% del 2011, ovvero la peggiore prestazione dalla sua fondazione nel 1926, al 24,3% odierno.

In un parlamento di 158 seggi, per garantirsi il diritto di formare il prossimo governo, il Fine Gael, che rimane comunque il primo partito irlandese, o il Fianna Fáil dovranno assicurarsi il sostegno di diverse forze politiche. La soluzione più gradita ai mercati e verosimilmente anche a Bruxelles è invece quella di una grande coalizione tra i due partiti che hanno ottenuto il maggior numero di voti.

Anche se Fine Gael e Fianna Fáil sono entrambe formazioni di centro-destra senza particolari differenze ideologiche o di programma, le divisioni tra i due partiti sono radicate nella storia della Repubblica d’Irlanda e nelle vicende legate alla sua nascita, rendendo quanto meno complicato un gabinetto che veda i loro leader lavorare fianco a fianco.

Un precedente in cui i due partiti di centro-destra hanno collaborato tuttavia esiste e risale al 1987, quando il Fine Gael per poco più di due anni garantì il proprio appoggio esterno a un esecutivo di minoranza guidato dal Fianna Fáil.

In ogni caso, anche in Irlanda le frustrazioni degli elettori hanno determinato la crescita di vari partiti e movimenti di sinistra o centro-sinistra. Il Sinn Fein, tradizionalmente considerato il braccio politico dell’IRA in Irlanda del Nord, ha sfiorato il 14% e si è aggiudicato 22 seggi nel Dáil di Dublino.

Il partito di Gerry Adams aveva impostato la propria campagna elettorale sulle questioni economiche, promettendo iniziative a favore delle classi più colpite dall’austerity di questi anni. In molti, a cominciare dalle forze di centro-destra nella Repubblica, hanno però più volte fatto notare come il Sinn Fein abbia dato il proprio appoggio senza eccessivi scrupoli alle politiche di rigore implementate in Irlanda del Nord.

Risultati relativamente buoni li hanno ottenuti anche i Social Democratici (SD), con il 3% e 3 seggi, e la neonata Alleanza Anti Austerity- Persone Prima del Profitto (AAA-PBF), con quasi il 4% e 5 seggi. Circa 19 saranno invece i seggi assegnati ai candidati indipendenti, tra i quali i partiti principali andranno a pescare per cercare di mettere assieme i numeri necessari a governare.

I nuovi scenari così delineati indicano dunque uno stravolgimento degli equilibri basati sulle formazioni tradizionalmente protagoniste assolute della politica irlandese. Alcuni dati riportati lunedì dal quotidiano Irish Times hanno ricordato come Fine Gael, Fianna Fáil e Partito Laburista fino alla prima metà degli anni Ottanta vantassero complessivamente più del 90% dei consensi espressi durante le elezioni. Questa quota sarebbe rimasta a livelli considerevoli ancora nel 1997 (78%) e nel 2011 (73%), mentre dopo il voto di venerdì è crollata al 56%.

Questa crisi di legittimità, esplosa in parallelo alla crisi del capitalismo internazionale e alle iniziative impopolari che ne sono seguite, è comune a molti partiti europei che hanno dominato il panorama politico nei rispettivi paesi negli ultimi decenni, a cominciare dalla Spagna, dove da più di due mesi sono in corso difficili trattative per dare vita a un nuovo governo.

A giudicare dalle ricostruzioni della storia recentissima dell’Irlanda fatta dalla stampa internazionale, la batosta patita dalla coalizione Fine Gael-Labour sarebbe virtualmente inspiegabile. Dopo il collasso del 2007-2008, infatti, Dublino ha ripagato il prestito UE-FMI e negli ultimi due anni l’economia irlandese ha fatto segnare i tassi di crescita più sostenuti in Europa.

Per il Wall Street Journal, poi, il quadro sarebbe ancora più roseo, visto che il governo uscente del “Taoiseach” (primo ministro) Enda Kenny aveva iniziato a “tagliare le tasse” e ad “aumentare leggermente la spesa pubblica”, mentre “il livello di disoccupazione è sceso costantemente negli ultimi anni”.

Questi stessi giornali hanno però dovuto ammettere che, quanto meno, della ripresa economica irlandese non hanno beneficiato tutte le classe sociali. Per lo stesso Wall Street Journal, “le retribuzioni restano ancora basse e in molti sono in affanno nel pagare i loro mutui”. La testata on-line International Business Times ha invece ricordato le difficoltà nel trovare un impiego, il numero record dei senzatetto a Dublino e le proteste di decine di migliaia di irlandesi contro una tassa sull’acqua potabile introdotta dal governo la primavera scorsa.

Se ripresa c’è stata in Irlanda, in effetti, essa ha riguardato in larga misura un numero molto ridotto di persone, com’è ovvio tra le fasce più agiate della popolazione. Una recente ricerca sulle disuguaglianze in questo paese ha messo in luce come gli irlandesi più benestanti abbiano incrementato sensibilmente le loro ricchezze negli anni seguiti al “bailout” e ai sacrifici imposti al resto della popolazione. Questa realtà è sintetizzata nel dato che descrive come 250 persone detengano oggi beni pari a circa il 30% dell’intero PIL irlandese.

A pochi giorni dalla chiusura delle urne, il dibattito politico a Dublino ruota già attorno alla possibilità che Fine Gael e Fianna Fáil diano vita a un inedito governo di coalizione, così da evitare altre elezioni nei prossimi mesi. Prevedibilmente, all’interno di entrambi i partiti ci sono profonde divisioni sull’opportunità di una mossa di questo genere, alla luce sia delle pressioni dei mercati e dell’Europa sia delle probabili conseguenze politiche che ne deriverebbero.

La paura dell’incertezza e per il rallentamento nell’applicazione delle misure di “ristrutturazione” dell’economia e del mercato del lavoro irlandese sembrano convincere alcuni della necessità di mettere da parte la rivalità tra i due partiti. Altri, al contrario, avvertono circa i pericoli nell’intraprendere un percorso mai battuto prima d’ora e che, per quello che può valere, soprattutto per il Fianna Fáil significherebbe anche infrangere la promessa elettorale di non entrare a far parte di un governo con il Fine Gael.

Un esecutivo formato dai due partiti di centro-destra promuoverebbe infine per la prima volta a formazione principale dell’opposizione il Sinn Fein, assicurando a quest’ultimo, viste le politiche impopolari che ancora una volta si prospettano, un ulteriore passo avanti in termini di consensi in vista del prossimo appuntamento con le urne.

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