Il dibattito sul completamento dell’Unione bancaria europea, in stallo da anni per l’opposizione della Germania, torna improvvisamente d’attualità. E, a sorpresa, è proprio un tedesco a rilanciarlo. Si tratta del socialdemocratico Olaf Scholz, vicecancelliere e ministro delle Finanze del governo Merkel, che in una lettera al Financial Times sottolinea la necessità di portare compimento il famoso “terzo pilastro”.

I primi due - vigilanza unica e meccanismo di risoluzione unico delle crisi bancarie - sono stati realizzati nel 2014 e nel 2016. Il terzo, la garanzia comune sui depositi bancari, ha subìto finora lo stesso trattamento riservato agli Eurobond: è stato rinviato in continuazione, fino a uscire dall’agenda europea, proprio per le resistenze della Germania, determinata a non spendere nemmeno un euro dei contribuenti tedeschi per salvare le banche di altri Paesi. Del resto, gli elettori teutonici impazzirebbero a dover condividere i rischi di noi scialacquatori mediterranei.

 

Questa situazione è rimasta immutata per anni, ma - a quanto pare - di recente qualcosa è cambiato. Nella lettera a FT, Scholz prima esalta il proprio coraggio (definendo “non facile” una proposta del genere “per un ministro delle Finanze tedesco”) poi spiega le ragioni che lo hanno spinto a questo passo. La tesi del vicecancelliere è semplice e anche abbastanza convincente: con la Brexit, l’Ue perderà la City, finora il cuore della finanza europea, perciò esiste il rischio che l’Europa diventi dipendente dagli Usa o dalla Cina per i servizi finanziari. Un pericolo da scongiurare proprio con il completamento dell’Unione bancaria, che porterebbe al massimo livello l’integrazione fra i mercati dell’Unione.

Il ragionamento fila, vero? Peccato che Scholz vincoli la creazione di un Fondo europeo comune per i depositi bancari a due condizioni irricevibili per i Paesi dell’Europa meridionale, a cominciare dall’Italia.

La prima condizione riguarda i crediti in sofferenza. Il ministro tedesco ritiene che il Fondo potrebbe essere operativo solo laddove le sofferenze bancarie non superino il 5% dei prestiti. Per l’Europa in generale non ci sarebbe problema (la media è al 3,3%), ma l’Italia - che pure sta tagliando drasticamente gli Npl - è ancora al 9,5%, quasi il doppio del livello obiettivo.

La seconda condizione è ancora più grave e riguarda i titoli di Stato. Oggi le banche possono considerarli privi di rischio, perciò non devono mettere da parte riserve di capitale per tutelarsi da eventuali svalutazioni. Scholz ritiene invece che anche i titoli pubblici debbano essere valutati sotto il profilo del rischio, prendendo come riferimento i rating sui debiti sovrani. Un criterio che, ovviamente, avvantaggerebbe la Germania (i cui Bund godono della valutazione più alta, la tripla A) a discapito di Paesi con rating più bassi, come il nostro.

Non solo. Se le banche francesi e tedesche hanno in pancia titoli di Stato pari ad appena il 2% degli attivi, in Italia questa percentuale è più alta di oltre cinque volte: siamo al 10,7%, pari a circa 400 miliardi di euro, quasi un quinto del debito pubblico italiano. Se i nostri istituti non avessero assorbito come spugne Bot e Btp, negli anni scorsi lo spread sarebbe arrivato molto più in alto e l’Italia sarebbe probabilmente finita in default.

In questo scenario, chiedere oggi alle banche italiane ulteriori accantonamenti a fronte dei titoli di Stato in portafoglio sarebbe una misura depressiva per l’economia reale, in quanto ridurrebbe la liquidità disponibile per il credito. Non sorprende allora che il ministro dell’Economia italiano, Roberto Gualtieri, abbia rispedito al mittente la proposta di Scholz.

Piuttosto, viene da chiedersi come mai il ministro tedesco abbia lanciato un’idea simile – peraltro a titolo personale, senza l’appoggio del proprio governo – pur sapendo che metà dell’Europa non avrebbe potuto fare altro che rigettarla. È possibile che la spiegazione vada ricercata in ragioni di politica interna: in sostanza, Scholz vorrebbe dimostrare che l'Spd (in drammatica crisi di consensi) è in grado di portare avanti un tema importante come l’Unione bancaria - su cui la Cdu rimane ferma - ponendo dei paletti rigidi nell’interesse superiore della Germania. 

Tuttavia, è verosimile che il movente numero uno del vicecancelliere sia un altro: salvare Deutsche Bank, principale colosso finanziario tedesco e grande malato del sistema bancario europeo. Se i titoli di Stato diversi da quelli made in Germany richiederanno nuovi accantonamenti - è il ragionamento - la spaventosa esposizione di DB ai derivati tossici, pari addirittura a 16 volte il Pil tedesco, farà un po’ meno paura. Inoltre, in un mercato europeo più integrato, l’istituto tedesco avrebbe meno difficoltà a trovare un partner straniero con cui fondersi, dopo le nozze naufragate con la connazionale Commerzbank.

“Temo gli achei anche quando portano doni”, diceva lo spartano Laocoonte davanti al cavallo lasciato in dono sulla spiaggia dai greci. Ecco, nella finanza europea i tedeschi sono qualcosa di simile a dei nuovi achei.

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