Da più di due anni, i giornalisti dell’agenzia di stampa cubana, Prensa Latina, attendono una risposta dal governo degli Stati Uniti alle loro richieste di visto per tornare ai loro doveri professionali a Washington e New York, dopo essere stati in vacanza sull'isola. Sebbene la richiesta di visto sia un procedimento elementare, quindi adatto ai livelli di comprensione dei funzionari USA, l’impasse si prolunga. Due anni risultano essere un tempo eccessivamente lungo anche per la burocrazia statunitense, notoriamente non particolarmente efficiente. Ma è altamente probabile che non ci si trovi davanti ad un problema di carattere amministrativo, bensì “politico”.

 

Da un punto di vista dell’attività professionale, infatti, Prensa Latina, pure con i mezzi finanziari estremamente limitati di cui può disporre, è sempre stata ed è tutt’ora una delle più credibili e serie tra le agenzie di stampa internazionali. Fondata il 16 giugno 1959, in seguito al trionfo della rivoluzione cubana, l'agenzia di stampa latinoamericana con sede a L'Avana è stata ripetutamente - ed in diversi contesti storici - bersaglio di attacchi da parte dei diversi governi statunitensi e regimi oligarchici della regione.

In questa occasione, il ritardo ingiustificato (e senza alcuna spiegazione) nella concessione dei visti, è iniziato nel 2019. All’inizio fu quasi naturale imputare il ritardo qualificandolo come ennesima dimostrazione di ostilità politica da parte dell’allora amministrazione repubblicana dell'ex presidente Donald Trump. Giova ricordare, infatti, che Trump cancellò i progressi compiuti nel processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali con Cuba avviato con il suo predecessore, Barack Obama, e si impegnò ad applicare ben 243 ulteriori misure coercitive unilaterali volte a rafforzare il blocco economico,  commerciale e finanziario imposto a Cuba più di sei decenni fa.

L’arrivo di Joe Biden aveva suscitato attese forse ingenue, sia perché di Obama Biden fu il vice - e quindi si suppone condividesse le sue decisioni politiche, comprese quelle riguardanti il disgelo con Cuba - sia perché si è sempre dichiarato nemico giurato di Trump e delle sue politiche (quindi anche di quelle contro Cuba, si pensava). Ma Biden ha immediatamente cambiato rotta una volta raggiunta la Casa Bianca da inquilino principale ed ha mantenuto intatta la politica di isolamento verso l’isola socialista, il cui scopo dichiarato è quello di prendere per fame il popolo cubano. Biden ricorre a tutti i mezzi, anche tecnologici e finanziari, per aumentare la pressione sulla nazione caraibica attraverso una feroce campagna politica e mediatica senza precedenti, in cui è evidentemente inserita la questione dei visti per i giornalisti.

Una serie di valutazioni indicano che siamo di fronte a qualcosa di molto peggio che un rifiuto di concedere i visti. In primo luogo, nel caso di New York, i corrispondenti di Prensa Latina sono accreditati presso le Nazioni Unite, che obbligano gli Stati Uniti a concedere permessi come paese ospitante dell'organizzazione mondiale. Tuttavia, il ritardo persiste, nonostante gli sforzi compiuti dall'Associazione dei corrispondenti delle Nazioni Unite (UNCA) con la Missione degli Stati Uniti presso l'ONU. Anzi, Prensa Latina denuncia che, inizialmente, le autorità statunitensi avevano dichiarato che le richieste erano in "processo amministrativo", ma in seguito hanno addirittura spesso di rispondere alle sollecitazioni dell’organizzazione sindacale.

Tanto l'unità di accreditamento e collegamento dei media delle Nazioni Unite, come Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario generale Antonio Guterres, sono consapevoli del problema e un numero crescente di personalità e organizzazioni di diversi paesi hanno espresso la loro preoccupazione per un comportamento come quello statunitense che è chiaramente arbitrario, confondendo la residenza degli organismi internazionale con il possesso degli stessi. Le norme internazionali che i paesi che ospitano le sedi degli organismi multilaterali devono rispettare prevedono infatti una riduzione dell’esercizio di sovranità sugli edifici e strutture degli organismi a garanzia di una gestione corretta e rispettosa di tutti i paesi membri.

E anche sul piano della relazione bilaterale non c'è motivo per impedire il lavoro dei giornalisti cubani: l’agenzia cubana altro non fa che svolgere l’attività che i suoi colleghi statunitensi svolgono a Cuba. Prensa Latina, infatti, mantiene il suo corrispondente a Washington, così come Associated Press e CNN hanno i loro a L'Avana.

Proporsi come baluardo dell’informazione libera mentre si impedisce di far lavorare i giornalisti cubani negli USA, obbedisce ad una concezione singolare della libertà di stampa. Le autorità statunitensi sembrano aver timore di una agenzia di stampa che, ser per dimensioni e potenzialità economica non è certo paragonabile a quelle nordamericane, quanto a qualità professionale, non ha nulla da invidiargli, semmai da insegnargli. E’ di questa professionalità e dei principi cui si ispira che ha paura il governo di Washington?

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