La crisi politica alimentata dal “Russiagate” è tornata a far segnare un nuovo punto critico nei giorni scorsi dopo l’ennesima rivelazione del New York Times sulle manovre della Casa Bianca per ostacolare le indagini in corso sui presunti legami con Mosca. L’occasione per il più recente attacco al presidente Trump è stata offerta dalla notizia che quest’ultimo aveva preso la decisione, nel mese di giugno dell’anno scorso, di licenziare il procuratore speciale che sta indagando sulle fantomatiche interferenze russe nel processo politico americano.

 

Trump ha smentito il rapporto del Times da Davos, dove stava partecipando al World Economic Forum (WEF), ma la notizia era apparsa ancora una volta come il segnale per un’intensificazione della campagna anti-russa da parte degli oppositori del presidente. La decisione di liquidare l’ex direttore dell’FBI, Robert Mueller, era comunque alla fine rientrata. Il consigliere della Casa Bianca, Don McGahn, aveva infatti minacciato di dimettersi piuttosto che trasmettere al vice ministro della Giustizia, Rod Rosenstein, l’ordine di licenziare Mueller.

 

Il rifiuto di McGahn, che avrebbe poi effettivamente convinto Trump a desistere dal suo intento, era dettato dal timore che una simile mossa si sarebbe ritorta contro l’amministrazione repubblicana, provocando una tempesta politica forse impossibile da contenere.

 

Le conseguenze sarebbero state devastanti per la Casa Bianca, anche alla luce delle più o meno ridicole giustificazioni di Trump per il licenziamento di Muller. Una di queste era ad esempio il fatto che l’ex numero uno dell’FBI era in conflitto di interessi, in quanto considerato in precedenza da Trump per rimpiazzare il direttore della stessa polizia federale, James Comey, a sua volta fatto fuori dal presidente nel mese di maggio.

 

Il vero motivo dell’allontanamento di Comey sarebbe stato evidentemente il tentativo di chiudere la caccia alle streghe del “Russiagate”, nella speranza di fermare l’escalation di attacchi contro la nuova amministrazione. L’offensiva vede come protagonisti determinati ambienti dell’apparato militare e dell’intelligence americano, con la collaborazione del Partito Democratico, per ragioni legate principalmente agli orientamenti strategici internazionali degli Stati Uniti.

 

Se il licenziamento non fu attuato, un nuovo polverone sulla Casa Bianca si è scatenato ugualmente con la diffusione della notizia delle intenzioni di Trump. In particolare, rivelazioni come questa sembrano servire per costruire un’impalcatura legale da parte di Mueller che possa giustificare quanto meno un’accusa al presidente per avere ostacolato il corso della giustizia.

 

Questa strategia va di pari passo con le difficoltà a produrre elementi concreti che dimostrino una qualche collusione tra gli ambienti vicini a Trump e il governo russo per orientare l’esito delle elezioni presidenziali del 2016.

 

In assenza di prove in questo senso, gli sforzi per colpire Trump, fino a rimuoverlo possibilmente dal suo incarico, si concentrano cioè sull’ostacolo alla giustizia, un crimine che negli Stati Uniti prevede appunto l’impeachment. Il procedimento di impeachment potrebbe secondo molti materializzarsi nel caso i democratici dovessero tornare a controllare il Congresso di Washington dopo il voto di “midterm” del prossimo novembre.

 

Intanto, la polemica sulla scampata rimozione di Mueller ha spinto nel fine settimana la leadership democratica al Senato a proporre l’introduzione di una legge specifica che protegga il procuratore speciale da qualsiasi provvedimento deciso alla Casa Bianca. La misura allo studio prevede la creazione di una commissione composta da tre giudici incaricata di esprimere un parere vincolante sulla legittimità di un eventuale licenziamento del procuratore speciale.

 

Ad avanzare questa ipotesi è stato il numero uno del partito di opposizione al Senato, Charles Schumer, con una mossa politica che ha messo in evidenza ancora una volta le vere priorità del Partito Democratico. Il senatore di New York ha manifestato l’intenzione di vincolare il provvedimento su Mueller all’approvazione del bilancio federale, prevista per i primi di febbraio, in modo da blindarlo di fronte alla probabile opposizione dei repubblicani.

 

Significativamente, la proposta di Schumer è arrivata a una manciata di giorni dalla decisione della leadership democratica al Senato di lasciar cadere la richiesta di regolarizzare circa 800 mila immigrati “irregolari”, giunti da bambini negli USA, in cambio del via libera al finanziamento temporaneo delle attività del governo federale, per il quale erano necessari i voti del suo partito.

 

Schumer si era di fatto piegato alle posizioni della Casa Bianca e dei vertici repubblicani, accettando una vaga promessa di portare separatamente all’ordine del giorno del Senato un pacchetto sull’immigrazione, nei termini voluti dai democratici, con poche possibilità di essere approvato. Schumer ha dichiarato d’altronde che “la cosa più importante che il Congresso può fare in questo momento” non è preoccuparsi per la sorte di centinaia di migliaia di giovani immigrati il cui futuro resta nel limbo, ma piuttosto tenere in vita la caccia alle streghe anti-russa guidata da Mueller.

 

La proposta democratica rischia comunque di mettere in imbarazzo il Partito Repubblicano, nel quale le divisioni sul “Russiagate” sono state finora relativamente contenute. Nel fine settimana un paio di senatori della maggioranza si sono espressi a favore di una legge ad hoc che protegga il lavoro di Mueller: la moderata Susan Collins e il “falco” Lindsey Graham. Recentemente, viste le voci che circolavano su un possibile licenziamento di Mueller, era peraltro già allo studio un provvedimento simile, promosso in maniera bipartisan da senatori di entrambi i partiti.

 

Le possibilità che l’idea di Schumer si traduca in legge, considerando anche la quasi certa necessità di superare il veto di Trump, sono ad ogni modo modeste. Alla Camera dei Rappresentanti c’è infatti poco appetito per un’iniziativa in questo senso, come ha confermato domenica il numero uno repubblicano, Kevin McCarthy.

Ciononostante, la proposta di Schumer, la cui carriera politica, va ricordato, è da sempre sostenuta dalle grandi banche di Wall Street, serve in primo luogo come avvertimento alla Casa Bianca. Il messaggio è quello di evitare il siluramento di Mueller per non incorrere in una ritorsione da parte degli oppositori di Trump che, con ogni probabilità, segnerebbe la fine della sua presidenza.

 

Il concetto è stato chiarito efficacemente dall’influente senatore democratico della Virginia, Mark Warner, membro della commissione servizi segreti e notoriamente legato a CIA e Pentagono. Warner ha definito il licenziamento di Mueller una “linea rossa che il presidente non può oltrepassare”. Se ciò dovesse accadere, ha messo in guardia il senatore democratico, sarebbe un “gravissimo abuso di potere” e “tutti i membri del Congresso” sarebbero chiamati alle loro responsabilità “nei confronti della Costituzione e del paese”.

 

Le pressioni sulla Casa Bianca per mezzo del “Russiagate” hanno in definitiva come obiettivo quello di riallineare le scelte strategiche dell’amministrazione Trump a quelle di Obama in merito alle relazioni con Mosca. Con la minaccia dell’impeachment o, comunque, di un’intensificazione della battaglia politica a Washington, i rivali del presidente repubblicano all’interno dell’apparato dello stato intendono far cessare qualsiasi tentativo di distensione tra USA e Russia.

 

Questa campagna ultra-reazionaria ha già dato più di un risultato negli ultimi mesi, determinando in buona parte un’inversione di rotta rispetto alle promesse di Trump in campagna elettorale sul fronte della politica estera. Ciò è apparso evidente, tra l’altro, dall’allontanamento dalla Casa Bianca di figure sgradite all’establishment, a favore per lo più di alti ufficiali militari, ma anche dall’approvazione di rifornimenti di armi “letali” al regime ucraino e dal rilancio dell’intervento in Siria in diretto contrasto con gli interessi del Cremlino.

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