La vittoria schiacciante del centrosinistra alle elezioni amministrative consegna alla riflessione politica alcune questioni. La prima – la più importante – riferisce una partecipazione al voto inferiore al 50%, che indica la scollatura ormai profonda tra il sistema politico e i cittadini, tra rappresentanti e rappresentati. Denuncia un sistema dei partiti ormai completamente autoreferenziale e ricorda come siano i gruppi di interesse ed il potere finanziario, e non i partiti, a guidare la macchina.

L’assenza degli elettori dalle urne é la certificazione diretta di come le politiche economiche dei diversi governi abbiano approfondito la crisi di interi blocchi sociali; di come la riduzione del dibattito politico al ciarlare del nulla e l’alternanza di ricette diverse per le medesime pietanze, abbiano spinto a restare in casa chi chiede inversioni di rotta e politiche alternative.

L’uscita di scena della sinistra, da decenni soffocata nell’abbraccio mortale di un centrosinistra che propone le stesse identiche posizioni della destra in politica economica come in quella internazionale, ha fatto si che l’elettorato di sinistra si sia solo in parte mobilitato, e solo di fronte alla sciagurata eventualità di veder tornare i fascisti al Campidoglio.

Questi aspetti, pure qui molto sommariamente sottolineati, non produrranno cambiamenti del panorama politico: verranno annunciate riflessioni, esibite finte costernazioni, ma è circo per le plebi. Gli va benissimo la riduzione all’urlo sguaiato su vaccini e green pass di pezzi del disagio purché non vi sia una vera opposizione politica. Si definiranno preoccupati ma è proprio il contrario, dal momento che il sistema dominante non considera la scarsa partecipazione un elemento negativo, tutt’altro.

Poi, sul piano più direttamente partitico, il voto indica la sconfitta pesante, pesantissima, della destra, pure dai sondaggi accreditata ogni giorno che passa come maggioranza del Paese. Così non è per fortuna.

La sonora batosta patita da Salvini, prima a Milano e poi a Varese, roccaforti del leghismo, racconta come il Carroccio sia rimasto nel cono d’ombra dove il suo leader lo aveva gettato facendo cadere il governo Conte per tentare il colpaccio delle urne. Certo la vicenda del suo capo della comunicazione beccato tra prostituti e droga dello stupro non ha aiutato: infamare per anni con violenza verbale e poi dimostrare che i mali che imputa agli altri ce li ha lui  in casa, ha dimostrato l’ipocrisia e le limitate capacità di discernere l’utile dal controproducente di Matteo Salvini. E le idiozie quotidiane in tempo di pandemia, dove ogni giorno proponeva ricette in contraddizione con quelle del giorno precedente hanno definitivamente convinto una parte del suo elettorato di come non sia lui un'ipotesi credibile e forse nemmeno la Lega la soluzione ai temi del Nord.

L’Italia ha tanti difetti e diversi limiti, ma non è il Papete e la stessa borghesia produttiva del Nord vede ormai il capitone come un ingombro screditato e Giorgetti e Saia come unica uscita politica da una crisi che potrebbe divenire ancor più profonda. E nella competizione fratricida tra Lega e Fratelli d’Italia ha ragione la Meloni a denudare il re: atteggiarsi a opposizione mentre si governa è schizofrenia politica e l’immagine che si fornisce è quantomeno quella della volubilità, dell’opportunismo e dell’inaffidabilità del personaggio, ormai più simile alla sua macchietta che a un leader di partito.

La destra è comunque la vera sconfitta di questa fase politica. Si dimostra che l’uscita di scena “de facto” di Silvio Berlusconi ha tolto alla destra la figura che ha rappresentato per 25 anni il collante tra conservatori e reazionari. Senza Berlusconi seppe leggere l’ansia di riscatto del conservatorismo sospinta dal turbo liberismo, picconando con le sue strutture di comunicazione il senso comune del Paese; senza di lui la destra è tornata ad essere un contenitore di razzisti e fascisti, più o meno reo-confessi. La speranza espressa dalla Meloni che alle politiche si possa riunificare tutta la destra e invertire il trend è destinata a rimanere tale, perché la distanza tra il ceto politico e il bacino elettorale dei conservatori non si sente rassicurato dal predominio fascio-leghista nella destra. E la Meloni in versione pasionaria che si esalta ed entusiasma dal palco dell’organizzazione neonazista e franchista spagnola Vox, davvero rende inutili i maquillage con cui tenta di nascondere l’identità ideologica più profonda sua e del suo partito.

Nello specifico del voto amministrativo ci sono poi elementi specifici di cui tener conto. Certo, la decisione di  Meloni e Salvini di presentare candidati “civici” sì è rivelata un grave errore di lettura politica, vista l’indisponibilità degli elettori a consegnare un mandato in bianco a candidati sostanzialmente sconosciuti. Ma questo potrebbe essere un dato circostanziale, anche se c'è d dire che sono decine i suoi esponenti ed amministratori locali sotto inchiesta per legami con la criminalità organizzata e per reati amministrativi e penali, cosa che mal si sposa con l’esibizione della Meloni del partito dell’ordine e della legge.

Quello che invece appare un elemento strutturale è che la destra non dispone di una classe dirigente e nemmeno di un gruppo dirigente. Infatti non è un caso che la sfida al centrosinistra sia stata affidata a candidati “civici”, bensì ha denunciato la presa d’atto di non disporre nelle proprie fila militanti del personale politico adeguato.

D’altra parte, specie per quanto riguarda il partito guidato da Giorgia Meloni, produrre candidati di partito avrebbe comportato non pochi problemi. Fratelli d’Italia è un aggregato politico di natura fascista, non bastano le frasi furbe o i tentativi di buttare la polvere ideologica sotto il tappeto della propaganda. Non c’è bisogno di scomodare le inchieste di Fan Page per dimostrare il DNA politico, è sufficiente guardare il simbolo stesso di Fratelli d’Italia per scorgere il richiamo ideologico al fascistissimo MSI.

Proporsi come riferimento per no vax oggi come fu per i fans della cura Di Bella ieri, impegnarsi nel dare sostegno politico ad ogni istanza, anche senza una precisa identità ideologica purché caratterizzata dal rifiuto, possibilmente violento, tentare di far dettare dalle minoranze le norme per le maggioranze non è precisamente la maniera per attrarre i voti del ceto medio. Quelli che, in un sistema bipolare, servono per vincere e per perdere.

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