Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi.

Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di lunedì, sfruttando l’evento per denunciare ancora una volta la persecuzione giudiziaria di cui sarebbe vittima. In queste fasi iniziali, il giudice che preside al processo, difesa e accusa dovranno selezionare 12 membri della giuria e sei di riserva su 500 candidati. La durata del dibattimento è stimata in circa sei settimane, mentre il verdetto potrebbe arrivare nel mese di giugno, cioè poco prima della “convention” repubblicana dove, salvo imprevisti, Trump verrà designato ufficialmente come il candidato del partito nelle presidenziali di novembre.

 

La costruzione del caso è opera dell’ex procuratore distrettuale di Manhattan Cyrus Vance e del suo successore, Alvin Bragg, attraverso una serie di acrobazie legali per trasformare quello che tutt’al più era un reato di secondaria importanza in un crimine potenzialmente risultante in una condanna a svariati anni di carcere. L’impianto dell’accusa si basa sulla confessione dell’ex avvocato e tuttofare di Trump, Michael Cohen, ovvero la persona che aveva gestito il pagamento al centro dell’indagine.

Ciò avveniva nel 2018, quando Trump era ancora presidente, così che, seguendo una pratica comune, i procuratori federali incaricati del caso avevano evitato di procedere con un’incriminazione formale. La procura di Manhattan aveva allora iniziato una propria indagine per verificare se le azioni di Trump avessero violato articoli di legge dello stato di New York. In seguito, l’inchiesta a livello federale si era conclusa con un’archiviazione, ma il procuratore Vance e poi Bragg erano decisi ad andare fino in fondo.

Negli anni successivi ci sarebbero state varie vicissitudini, incluso l’intervento della Corte Suprema per negare la richiesta di immunità dei difensori dell’ex presidente. Soprattutto, però, la questione del pagamento a Stormy Daniels, di per sé entro i limiti della legalità, era diventata, secondo la procura, un atto di falsificazione di documenti societari. In sostanza: Cohen aveva sborsato e consegnato il denaro alla pornostar per poi ricevere un rimborso da parte della Trump Organization. La somma era stata alla fine messa a bilancio come spesa legale.

La possibile iniziale violazione della legge elettorale federale, da collegare al fatto che il pagamento doveva servire a insabbiare la relazione di Trump per non danneggiare la sua candidatura alla presidenza, si è tramutata in un reato completamente diverso. Anche la falsificazione di documenti societari è però un reato minore (“misdemeanor”) secondo la legge dello stato di New York. Perciò, il procuratore distrettuale Bragg ha sostenuto che questa azione nascondeva una “cospirazione” per infrangere la legge federale, cioè un reato decisamente più serio (“felony”).

Secondo la stampa ufficiale negli USA, l’aspetto più eclatante del processo appena iniziato è che per la prima volta nella storia di questo paese un presidente – in carica o a mandato ultimato – si trova alla sbarra in un procedimento penale. La scarsa rilevanza del caso invita piuttosto a una riflessione sulle ragioni dell’incriminazione di Trump per questa specifica vicenda. Le implicazioni sessuali aggiungono senza dubbio un certo “appeal” per buona parte del pubblico americano, contribuendo a oscurare questioni e interrogativi di gran lunga più importanti.

Ci sono pochi dubbi che praticamente tutti coloro che hanno ricoperto la carica di presidente negli Stati Uniti abbiano commesso crimini enormi. Il primo a essere processato è però proprio Trump, incidentalmente l’unico negli ultimi decenni a non avere iniziato una qualche guerra o un’aggressione militare all’estero. Oltretutto, quest’ultimo è chiamato a rispondere davanti alla giustizia americana non per azioni gravissime, come il tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni del 2020 oppure l’implementazione di violente politiche anti-migratorie, ma per un reato, se di reato si tratta, di per sé irrilevante.

Gli scandali sessuali che coinvolgono politici o celebrità, soprattutto in America ma non solo, vengono tradizionalmente portati alla luce e dati in pasto al pubblico per regolare conti o attuare vendette politiche. Il caso di Trump e Stormy Daniels non è da meno e il processo aperto questa settimana serve, almeno nelle intenzioni, a favorire Biden e il Partito Democratico nelle elezioni di novembre.

Le ansie per il possibile ritorno alla Casa Bianca di Trump continuano a tenere svegli i leader democratici e l’apparato della “sicurezza nazionale” americano, impegnato in una guerra “ibrida” per salvare quello che resta della supremazia degli Stati Uniti a livello globale. Trump è considerato infatti una sorta di mina vagante, un corpo in parte estraneo al sistema, troppo imprevedibile per garantire la difesa gli interessi strategici degli USA e dei loro alleati oltreoceano.

In particolare, il problema Trump è rappresentato dalle differenze tattiche circa il nemico con cui fare i conti per primo. L’ex presidente insiste nel proporre un approccio meno provocatorio nei confronti della Russia, non per un’inclinazione pacifista, ma per dedicare sforzi e risorse al contrasto della “minaccia” cinese. Che poi la campagna per penalizzare Trump in vista delle elezioni possa avere successo o finisca per trasformarsi in un boomerang sarà tutto da verificare.

L’ex presidente continua a sfruttare i guai legali a beneficio della sua campagna elettorale e per incoraggiare donazioni e finanziamenti. Maggiori problemi potrebbero sorgere per lui con gli altri tre processi, di tutt’altro spessore, che lo vedono imputato. Per questi casi, i suoi legali hanno però ottenuto rinvii e le eventuali ripercussioni negative potrebbero essere rimandate a dopo il voto. I casi in questione riguardano il tentativo di fermare la certificazione della vittoria di Biden quattro anni fa e l’assalto all’edificio del Congresso il 6 gennaio 2021, il ritrovamento di documenti governativi classificati nella sua residenza in Florida e, sempre in relazione alle presidenziali del 2020, le pressioni esercitate su funzionari della Georgia per ribaltare l’esito delle elezioni in questo stato.

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