La nuova macchina della morte israeliana a Gaza, mascherata dietro scopi umanitari, ha sospeso giovedì per il secondo giorno consecutivo le proprie operazioni nella striscia dopo che letteralmente a poche ore dall’inizio della distribuzione di “aiuti” aveva già fatto registrare il massacro di decine di civili palestinesi. Lanciato tra la ferma opposizione delle vere organizzazioni umanitarie il 27 maggio scorso col nome orwelliano di “Fondazione Umanitaria per Gaza” (GHF), il piano del regime di Netanyahu si è confermato essere uno strumento ulteriore del genocidio in corso dall’ottobre 2023. Una mossa che si è rivelata disastrosa anche sul piano dell’immagine, nonostante l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti e a parte qualche condanna puramente retorica, continui a tenere gli occhi ben chiusi davanti all’inferno scatenato dallo stato ebraico.

Genocidio umanitario

La ONG indipendente Euro-Med Human Rights Monitor ha documentato oltre 600 tra morti e feriti direttamente a causa di attacchi delle forze di occupazione sui civili palestinesi recatisi durante l’ultima settimana presso i punti di distribuzione di cibo e altri beni di prima necessità istituiti dalla GHF. Quasi universalmente, questo dispositivo era stato denunciato per l’assenza degli standard minimi necessari a garantire il necessario supporto a una popolazione a dir poco allo stremo. Molti avevano avvertito che lo scopo di Israele era di concentrare la popolazione palestinese nel sud della striscia, dove sono stati creati appunto i centri di distribuzione, in preparazione della definitiva espulsione.

La realtà, una volta cominciate le operazioni, è apparsa però anche peggiore. Dopo avere percorso chilometri per cercare di ottenere cibo sufficiente solo per pochissimi giorni, i palestinesi sono stati accolti dal fuoco israeliano, spesso dopo essere passati attraverso check-point con riconoscimento facciale. Come hanno evidenziato indagini anche di media ufficiali, il sistema così creato da Tel Aviv ha permesso alle forze armate genocide sia di uccidere in maniera indiscriminata civili offertisi spontaneamente al fuoco sia di portare a termine assassini mirati di palestinesi identificati poco prima.

A conferma che si tratta di massacri deliberati, malgrado Israele parli di militanti di Hamas che cercavano di impossessarsi degli aiuti o di minacce ai militari, c’è il fatto che la grande maggioranza dei morti presentano fori di proiettili alla testa sparati da distanza ravvicinata. Le giornate più sanguinose nei centri di distribuzione sono state finora quelle di domenica, con 30 palestinesi morti, e di martedì con 27. La sospensione delle operazioni negli ultimi due giorni rischia di provocare altri massacri, con i civili disperati comunque alla ricerca di cibo nonostante il divieto di spostamento verso queste aree imposto dalle forze di occupazione.

Il sistema messo in piedi da Israele con la collaborazione degli Stati Uniti aveva come obiettivo quello di allentare una parte delle pressioni della comunità internazionale, costringendo il primo ministro/criminale di guerra Netanyahu a dare l’impressione di fare qualcosa per attenuare la colossale crisi umanitaria provocata dal suo regime. Come già accennato, le operazioni di GHF servono inoltre a facilitare il compito dei militari sionisti, ovvero eliminare fisicamente la popolazione palestinese.

Questa strategia va di pari passo con l’intensificazione dei bombardamenti su obiettivi come ospedali e scuole trasformate in punti di rifugio. Recenti indagini hanno rivelato come l’aumento delle operazioni contro luoghi di questo genere sia la conseguenza della decisione di Israele di classificare quelli che in precedenza erano “siti sensibili” come obiettivi “pesanti”. Quest’ultima definizione si applica a obiettivi che contengono un numero consistente di militanti di Hamas, così che l’autorizzazione a bombardarli viene concessa più facilmente. È superfluo aggiungere che, se anche questa regola fosse giustificata, non esiste alcuna prova che a essere presi di mira siano gli uomini del movimento di liberazione palestinese, con i civili come “danni collaterali”.

Le Nazioni Unite hanno ad ogni modo fatto sapere che meno dell’80% dei mezzi autorizzati da Israele a entrare nella striscia per portare aiuti umanitari ha effettivamente raggiunto il territorio palestinese. Ciò a fronte del fatto che la quantità di materiale teoricamente prevista dal piano israeliano risulta drammaticamente inadeguata. Secondo i parametri della FAO, a Gaza 71 mila bambini sotto i cinque anni soffrono di grave malnutrizione a causa del blocco totale imposto da Tel Aviv. Le strutture sanitarie sono praticamente distrutte con appena otto ospedali funzionanti solo in minima parte sui 36 che ospitava la striscia.

Il veto dei complici

Esattamente come aveva fatto più volte l’amministrazione Biden, mercoledì per la prima volta Trump e i suoi rappresentanti all’ONU hanno esercitato il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza per garantire a Israele di proseguire indisturbatamente il genocidio palestinese. Washington ha bloccato una risoluzione, presentata dai dieci membri provvisori del Consiglio di Sicurezza, per imporre una tregua a Gaza e permettere l’ingresso senza limiti di aiuti umanitari.

Non sorprende minimamente che l’amministrazione Trump si sia schierata nuovamente con l’entità criminale responsabile dei massacri nella striscia, ma se mai le responsabilità dell’attuale governo americano sono anche maggiori, visto che la situazione dei palestinesi è ancora più grave rispetto a qualche mese fa e che il presidente repubblicano aveva ostentato il proprio impegno a fermare la guerra. Dei quindici paesi che compongono oggi il Consiglio di Sicurezza, solo gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione.

A sottolineare la piena complicità americana in uno dei crimini più feroci degli ultimi decenni, la rappresentante della Casa Bianca, Dorothy Shea, ha rivendicato la determinazione del suo governo ad assicurare mano libera a Israele, sia pure caratterizzando il genocidio come “diritto all’autodifesa”. Allo stesso modo, l’inviata di Trump ha approvato totalmente lo strumento di morte occultato dietro l’iniziativa umanitaria GHF, invitando addirittura l’ONU e le ONG che operano a Gaza a sostenerlo e a collaborare nelle attività che svolge.

Bombe sui non evacuati

Con l’inizio dell’operazione “Carri di Gedeone”, nelle ultime settimane Netanyahu e le forze di occupazione hanno accelerato la “soluzione finale” a Gaza, come dimostrano proprio i fatti descritti in precedenza. Un altro tassello del genocidio è stato raccontato dalla rivista israeliana +972 basandosi sulle rivelazioni di alcune fonti di intelligence. L’esercito ha cioè iniziato nelle ultime settimane a utilizzare parametri irreali per dare il via libera ai bombardamenti di determinati complessi o edifici residenziali nella striscia.

In sostanza, Israele si affida a un “algoritmo” che analizza superficialmente lo schema delle conversazioni telefoniche in una zona di interesse che include una vasta area e, in base a ciò, quest’ultima viene considerata come se l’evacuazione dei residenti sia stata completata. Non viene quindi effettuata un’analisi abitazione per abitazione, in modo da stabilire se nell’area in questione siano rimasti civili impossibilitati o non interessati ad andarsene. I militari, in altre parole, sanno benissimo che vi sono ancora civili palestinesi, ma proseguono ugualmente con i bombardamenti, massacrando intere famiglie.

Questo metodo risulta ancora più raccapricciante perché implica appunto l’uccisione, in maniera deliberata, di civili appartenenti alle fasce più deboli della popolazione, come anziani, disabili, donne incinte, orfani, ovvero coloro con le maggiori difficoltà a lasciare rifugi o abitazioni. Ancora una volta, la strategia israeliana risponde alla necessità pura e semplice di liquidare il maggior numero di palestinesi. Manipolando le informazioni logistiche su cui si basano le operazioni militari, Israele colpisce a tappeto per uccidere civili e “ripulire” la striscia di Gaza.

In questi venti mesi di massacri quotidiani, i metodi del regime di Netanyahu hanno assunto progressivamente contorni sempre più chiari. Anche i minimi dettagli della “soluzione finale” sono emersi e, spesso, dichiarati esplicitamente dai carnefici della popolazione palestinese. C’è da chiedersi quindi fino anche punto i massacri indicibili trasmessi in diretta TV dovranno arrivare per convincere i governi, in Occidente e non solo, a muoversi per fermare l’inferno di Gaza e mettere l’entità sionista davanti alle responsabilità dei propri crimini.

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