Il passaggio sotto il controllo federale della Guardia Nazionale della California e l’impiego di duemila soldati nelle strade di Los Angeles nel fine settimana, per reprime le proteste contro l’intervento della polizia anti-immigrazione, rappresenta l’ultima e finora più grave iniziativa nel quadro del disegno autoritario in fase di implementazione da parte del presidente americano Trump. La mobilitazione di migliaia di cittadini nella metropoli della California con una vastissima popolazione di immigrati o di origine straniera indica invece una crescente resistenza in generale contro le politiche anti-democratiche e anti-sociali dell’amministrazione repubblicana, esemplificate dall’ultra-reazionario “One Big Beautiful Bill Act” in discussione al Congresso di Washington. Nonostante l’opposizione diffusa alle decisioni di Trump di questi giorni, la situazione venutasi a creare a Los Angeles rischia di evolvere pericolosamente in un colpo di mano che annulli di fatto e anche in maniera formale i diritti costituzionali negli Stati Uniti.

Le immagini di questi giorni hanno raccontato di una città in stato di guerra. Il caos era esploso venerdì dopo che varie agenzie federali, tra cui FBI, DEA e ICE, avevano lanciato una serie di raid coordinati nell’area metropolitana di Los Angeles per individuare e arrestare immigrati principalmente nei loro luoghi di lavoro. In vari quartieri centrali e non solo, gli agenti federali hanno seminato letteralmente il panico tra residenti e lavoratori, portando a termine fermi e arresti arbitrari. Molti testimoni hanno descritto di persone fermate e fatte salire a forza su mezzi senza insegne, poi allontanatisi rapidamente tra le proteste.

Di fronte a queste scene, si sono radunati spontaneamente centinaia di manifestanti che hanno cercato di fermare i raid e di fare allontanare gli agenti. Testimoni oculari e giornalisti sul posto hanno descritto proteste in larga misura pacifiche, affrontate da mezzi militari corazzati e dal lancio di lacrimogeni e proiettili “non letali”. Altri dimostranti hanno presidiato l’edificio federale di Los Angeles dove, con un’azione senza precedenti, sono stati tenuti sotto custodia decine o forse centinaia di migranti e, secondo alcune testimonianza, anche cittadini americani.

Nei due giorni successivi, la situazione si è decisamente aggravata, a conferma della rabbia crescente nei confronti dell’amministrazione Trump e non solo per le politiche anti-migranti. Sabato sera, il presidente ha dato così l’ordine di “federalizzare” la Guardia Nazionale, inviando duemila uomini a “liberare” Los Angeles. La retorica della Casa Bianca, dei media e dei suoi sostenitori di estrema destra si è messa subito in moto per descrivere scenari di rivolta causati da un’invasione di immigrati criminali impegnati a distruggere la città.

L’impiego della Guardia Nazionale, a tutti gli effetti un organo del dipartimento della Difesa, sul territorio americano è possibile sotto la direzione dell’esecutivo solo se avviene in collaborazione con le autorità dei singoli stati. Il governatore della California, il democratico Gavin Newsom, e le altri principali autorità dello stato hanno però condannato la decisione unilaterale di Trump, mettendo seriamente in dubbio la legalità della misura. Come se non bastasse, il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha inoltre annunciato di avere allertato circa 500 “marines” in servizio, minacciando di dispiegare anch’essi a Los Angeles per reprimere le proteste.

Il timore diffuso è che Trump stia preparando l’imposizione dello stato di emergenza e, di fatto, la legge marziale con riferimento al “Insurrection Act” del 1807. Una legge che assegna poteri straordinari al presidente, tra cui appunto l’uso delle forze armate con funzione di ordine pubblico; una circostanza, quest’ultima, proibita invece in situazioni non eccezionali da un’altra legge, il “Posse Comitatus Act” del 1878. L’ipotesi è tutt’altro che fantasiosa se si pensa alla deriva autoritaria dell’amministrazione Trump in questi primi mesi del mandato. Va anche ricordato, a questo proposito, che solo qualche settimana fa, il consigliere fascista del presidente, Stephen Miller, in un intervento pubblico aveva avvertito che il governo stava valutando la possibilità di sospendere il cosiddetto “habeas corpus”.

La guerra di Trump contro gli immigrati si è già concretizzata in questi mesi con raid ed espulsioni di massa, quasi sempre senza fondamento legale e spesso in aperta violazione di ingiunzioni di giudici federali. Queste iniziative rispondono a una delle promesse centrali della campagna elettorale trumpiana e, soprattutto, servono a dividere i lavoratori americani da quelli di altre nazionalità, nonché a creare un clima di emergenza nel paese per via della finta crisi migratoria mentre la Casa Bianca distrugge i diritti costituzionali e implementa una feroce guerra di classe sul fronte economico-sociale.

L’obiettivo non sono però soltanto gli immigrati, ma l’offensiva contro questi ultimi preannuncia un attacco frontale contro tutti gli oppositori del “regime”. Il presidente, non a caso, nel fine settimana ha pubblicato, tra i tanti, un post sul suo social Truth per attaccare e minacciare i manifestanti della “sinistra radicale” in azione a Los Angeles, tra cui ha incluso anche lo stesso governatore Newsom e i politici democratici.

Sempre in quest’ottica, il responsabile delle politiche di controllo delle frontiere, Tom Homan, ha minacciato di arresto Newsom e la sindaca di Los Angeles, Karen Bass, se dovessero ostacolare le operazioni anti-immigrati in corso. Un arresto eccellente è peraltro già stato eseguito. Durante gli scontri, il presidente dell’importante sindacato dei lavoratori del settore dei servizi (SEIU), David Huerta, è finito agli arresti dopo essere stato malmenato dagli agenti federali e costretto a ricevere cure in ospedale. Huerta guida un’organizzazione sindacale che nella sola California rappresenta oltre 700 mila lavoratori.

Se l’escalation anti-democratica ha caratterizzato fin dall’inizio il secondo mandato del presidente repubblicano, già durante il primo Trump aveva fatto tentativi in questo senso. Ampiamente documentato è l’episodio dell’estate del 2020 durante le proteste esplose in tutti gli Stati Uniti contro la brutalità della polizia in seguito all’assassinio di George Floyd. In quella circostanza, Trump intendeva ricorrere ai militari per reprimere la rivolta, invocando l’Insurrection Act. Successivamente si sarebbe saputo che a scoraggiare Trump fu l’opposizione, tra gli altri, dell’allora capo di Stato Maggiore, Mark Milley, e del segretario alla Difesa, Mike Esper. È chiaro che Trump abbia scelto per guidare il Pentagono dopo la vittoria elettorale dell’anno scorso un fedelissimo come Hegseth anche in prospettiva di una ripetizione di scenari di questo genere.

Il giorno stesso del ritorno alla Casa Bianca, Trump aveva peraltro già dichiarato l’emergenza nazionale negli USA per via della presunta crisi al confine meridionale. Secondo la nuova amministrazione era in corso un’invasione di migranti, tale da rendere legittima l’applicazione del “Alien Enemies Act” del 1798, così da permettere al presidente, come già accennato, di espellere forzatamente e senza un equo procedimento legale immigrati considerati come una minaccia alla sicurezza del paese.

Nel progressivo avanzare di Trump verso un governo autoritario c’è una buona parte di responsabilità del Partito Democratico, non solo per il fatto che i due predecessori dell’attuale presidente hanno in sostanza adottato politiche anti-migratorie simili a quelle di quest’ultimo. Il vero problema è piuttosto la sterile opposizione che praticamente tutti i principali esponenti democratici stanno facendo contro le decisioni di Trump in relazione agli scontri di Los Angeles e, più in generale, le ripetute violazioni dei diritti costituzionali.

Dalle dichiarazioni del governatore Newsom, dell’ex vice-presidente e già senatrice della California Kamala Harris, della sindaca di Los Angeles e di altri ancora emerge più che altro, oltre alla condanna delle violenze tra i manifestanti, la preoccupazione per una crisi che possa sfuggire di mano e destabilizzare il sistema, per quanto riguarda la California dominato proprio dal loro partito. In merito all’ordine di schierare la Guardia Nazionale, poi, hanno prevalso gli appelli a lasciare questa forza sotto il controllo dello stato piuttosto che la denuncia del dispiegamento di militari in funzione di ordine pubblico.

Non è chiaro al momento fino a quando rimarranno attivi a Los Angeles gli uomini della Guardia Nazionale, ma è del tutto possibile, se le tensioni dovessero aumentare ulteriormente, che la situazione possa precipitare e provocare ulteriori iniziative da parte della Casa Bianca. Per lunedì, intanto, sono previste altre proteste, mentre la Casa Bianca ha ribadito l’intenzione di proseguire con i raid anti-immigrati. Il governatore Newsom ha annunciato invece una imminente causa contro l’amministrazione Trump per l’impiego illegale della Guardia Nazionale nel suo stato.

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