Con la scelta compatta di lanciare Joe Biden verso la corsa alla Casa Bianca, i vertici del Partito Democratico americano si preparano a offrire all’elettorato degli Stati Uniti un candidato pesantemente compromesso con l’establishment di Washington, con un curriculum politico ultra-reazionario e razzista e che continua a mostrare ripetuti segnali di un grave degrado cognitivo. Le vittorie nelle primarie di martedì hanno rafforzato come previsto la posizione dell’ex vice-presidente, ormai avviato a consolidare un vantaggio in termini di delegati virtualmente incolmabile per Bernie Sanders.

Il senatore “democratico-socialista” del Vermont, dopo i successi in New Hampshire e Nevada, si è ritrovato improvvisamente di fronte a un muro insormontabile, costruito dal suo stesso partito proprio mentre sembrava potere unificare il voto progressista americano e mobilitare ampie fasce disagiate della popolazione solitamente refrattarie a quello che vedono – a ragione – come un circo elettorale senza alcun effetto sulle proprie vite.

La campagna anti-Sanders del Partito Democratico aveva resuscitato Biden già in South Carolina e, soprattutto, nel “Supermartedì” di settimana scorsa. Questa settimana, invece, le vittorie decisive sono arrivate da Michigan, Missouri, Mississippi e Idaho. In particolare il primo stato rappresenta uno snodo importante verso la nomination, sia perché fa parte dell’area del Midwest (post-)industriale solitamente decisiva nelle presidenziali sia perché qui quattro anni fa Sanders si era imposto a sorpresa su Hillary Clinton, gettando le basi per una competizione prolungata con la ex first lady.

In linea generale, Biden ha di nuovo beneficiato del voto a valanga degli elettori afro-americani più in là con gli anni. In seconda battuta, gli exit poll hanno mostrato margini confortanti per l’ex vice di Obama tra i votanti bianchi delle aree suburbane e rurali, le donne e, in un segnale allarmante per Sanders, gli iscritti a un organizzazione sindacale.

Il coalizzarsi, razionalmente inspiegabile, dei neri a favore di Biden è apparso in tutta la sua evidenza in Mississippi, dove l’elettorato di colore è appunto una fetta enorme di quanti si recano alle urne per il Partito Democratico. Qui, Biden ha superato l’81% dei consensi, mentre Sanders non ha nemmeno raggiunto il 15%. Il 78enne senatore del Vermont ha vinto invece in North Dakota, mentre ha un leggerissimo vantaggio nello stato di Washington, dove però il conteggio dei voti risulta ancora in corso.

La promozione di Joe Biden come paladino degli afro-americani è un caposaldo della strategia democratica per ostacolare Sanders ed è fondata in primo luogo sulla mobilitazione a suo favore dei membri del Congresso e di altre personalità di spicco di colore appartenenti al partito. L’unica credenziale, per così dire, che renderebbe Biden degno di questo ruolo è rappresentata dai suoi due mandati come vice di Barack Obama.

Nella realtà dei fatti, il passato di Biden è macchiato, oltre che da innumerevoli uscite pubbliche in odore di razzismo, da strette collaborazioni con politici segregazionisti negli anni Settanta e, tra l’altro, dall’appoggio a iniziative di legge “law and order” che negli ultimi due decenni hanno determinato una drastica impennata della popolazione carceraria di colore.

Il significato più profondo della riproposizione della candidatura di Biden da parte dei leader democratici è da collegare in ogni caso al genere di campagna elettorale che questo partito intende combattere nei prossimi mesi. Un’indicazione di ciò l’ha data lo stesso ex vice-presidente nel suo discorso alla chiusura delle urne martedì sera. Biden ha assicurato che il suo ritorno da presidente alla Casa Bianca servirà a “far comprendere ai nostri avversari che gli Stati Uniti intendono ristabilire in fretta l’ordine mondiale”.

Il messaggio di Biden non è dunque indirizzato agli elettori democratici, tanto meno a quelli di orientamento progressista, bensì ai poteri forti all’interno dello stato, preoccupati dall’imprevedibilità di Trump e dalle sue politiche ultra-nazionaliste che hanno messo in dubbio la partnership con molti alleati e la stessa utilità della NATO. Parallelamente, anche le timide e iniziali aperture di Trump alla Russia saranno rapidamente archiviate.

Sul fronte domestico, è quasi superfluo ricordare le tendenze pro-business di Biden, non a caso ex senatore di uno stato, come il Delaware, sede di numerose grandi compagnie finanziarie per via dello status di paradiso fiscale. Giusto per dare un assaggio di quella che potrebbe essere una presidenza Biden, lunedì sono circolate negli Stati Uniti presunte intercettazioni di consiglieri dell’ex vice-presidente che discutevano di possibili candidati a entrare in un futuro gabinetto democratico. Tra di essi venivano citati l’ex sindaco di New York e multimiliardario, Michael Bloomberg, e il “CEO” di JPMorgan, Jamie Dimon.

Un altro aspetto sconcertante della figura di Joe Biden è l’evidente deterioramento del suo stato di salute, oggetto di commenti allarmati sui social media. In molti hanno ipotizzato che Biden sia affetto da una forma iniziale di demenza, evidenziata da una serie di segnali fisici difficilmente negabili. I media ufficiali continuano sostanzialmente a ignorare questo aspetto, quasi sempre liquidando il problema con la consueta tendenza alle gaffes da parte dell’ex vice presidente.

Il ripetersi di queste circostanze solleva tuttavia seri interrogativi sulle capacità del 77enne Biden di sostenere una campagna elettorale ancora lunghissima. Il presidente Trump ha inoltre già sfruttato le presunte gaffes del suo futuro avversario democratico in chiave elettorale e, dopo l’estate, sarà inevitabile un intensificarsi degli assalti, per non parlare delle situazioni imbarazzanti che si verranno a creare nei dibattiti.

Tra i segnali delle ultime settimane che fanno temere per la salute mentale di Biden spicca un episodio accaduto subito dopo le primarie del “Supermartedì”. Parlando durante un comizio di fronte ai suoi sostenitori, Biden aveva preso per mano e guardato negli occhi la moglie, che si trovava alla sua destra, presentandola al pubblico come sua sorella. La sorella dell’ex vice-presidente, invece, era anch’essa sul palco ma alla sua sinistra.

Biden, poi, ha ad esempio affermato sempre in un evento pubblico di essere in corsa per il Senato americano e non per la presidenza, si è definito un “democratico O-Biden Bama”, invece che “Obama-Biden”, e, prima del “Supermartedì”, aveva sostenuto di aspettare con ansia l’appuntamento di un fantomatico “Supergiovedì”.

Le condizioni di Biden devono essere state valutate anche dai vertici del Partito Democratico, tanto che appaiono già in atto manovre per manipolare le regole dei prossimi dibattiti con Sanders, in modo da evitare confronti diretti tra i due candidati o domande della stampa non preparate in anticipo, se non per cancellarli del tutto. Se le condizioni di Biden dovessero peggiorare nei prossimi mesi, non è chiaro quali potrebbero essere le iniziative del partito. Quel che conta al momento è impedire a Bernie Sanders la conquista della maggioranza dei delegati alla convention della prossima estate.

Il declino del gradimento di Sanders deve comunque fare riflettere ancora una volta sulla futilità dei tentativi di trasformare il Partito Democratico in senso progressista, principalmente attraverso l’appello a una nuova fascia di elettori, primi fra tutti quelli più giovani. In molti stati andati al voto tra ieri e il “Supermartedì” si è registrato un netto aumento dell’affluenza rispetto a quattro anni fa, ma i voti andati a Sanders sono stati quasi sempre di meno che nelle primarie del 2016. Soprattutto l’incapacità di motivare un numero più consistente di giovani dimostra come questi ultimi siano alla ricerca anche negli Stati Uniti di un’opzione più radicale di Sanders e del Partito Democratico.

Queste tendenze saranno con ogni probabilità confermate nel prossimo appuntamento con le urne. Martedì si voterà in altri stati importanti e ricchi di delegati, come Florida, Illinois, Ohio e Arizona. In tutti, i sondaggi danno Biden in vantaggio e se l’ex vice-presidente dovesse fare nuovamente il pieno, le pressioni su Sanders per ritirarsi dalla corsa potrebbero diventare insostenibili.

La conquista di fatto della nomination da parte di Joe Biden metterà così gli americani ancora una volta davanti alla realtà di un Partito Democratico come tomba di qualsiasi movimento o aspirazione radicale o anche solo moderatamente progressista. Non solo, al di là di quanto dicono oggi prematuri sondaggi sui testa a testa in previsione di novembre e a meno di un rovinoso tracollo dell’economia, il successo pilotato di Biden nelle primarie finirà per garantire quasi certamente un secondo mandato di Trump alla Casa Bianca.

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