Un’idea di Paese misera e confusa, condita di piagnistei e sparate da bullo. È questa la cifra della nuova Confindustria di Carlo Bonomi, che in poco più di due mesi ha già rivelato tutta la sua pochezza. Di idee innovative per rilanciare il Paese, come sempre, non c’è traccia. La ricetta proposta dagli industriali italiani è la stessa che conosciamo da trent’anni: aiuti pubblici a fondo perduto, meno tasse, meno costo del lavoro e licenziamenti più facili, possibilmente con qualche concessione anche su norme ambientali e di sicurezza sul lavoro.

A questa miopia si accompagna una maschera d’aggressività dietro cui si nasconde un’indole pavida. Oggi come ieri, gli imprenditori italiani sono sempre pronti ad appoggiarsi allo Stato (oggetto di insulti a ciclo continuo), ma anche riluttanti a investire. Perché oltre alla creatività manca loro anche il coraggio.

Di boria, però, hanno i magazzini pieni. E allora ecco che Boccia, fresco di elezione, si è permesso di dire che “la politica rischia di fare peggio del Covid”, frase stupida e insultante quant’altre mai.

Ma chi è questo signore che da aprile guida Confindustria? Come imprenditore è piccolo: la sua azienda biomedicale conta appena otto addetti. Il successo di Bonomi è arrivato in Assolombarda e nelle varie assise confindustriali, dove si è distinto come il più agguerrito bombardiere di reddito di cittadinanza e quota 100.

La sua elezione è arrivata nel momento peggiore per il Paese, travolto dall’emergenza sanitaria ma anche dall’inizio di una crisi economica che si annuncia più grave di quelle del 2008-2009 e del 2011-2012. Già oggi diverse imprese denunciano crolli degli ordini e del fatturato fra il 50 e il 60%, mentre in autunno, quando la cassa integrazione finirà, migliaia di aziende salteranno, con conseguenze drammatiche sull’occupazione.

In questo scenario, Bonomi ha scelto di giocare d’attacco, accusando il governo di “debolezza politica”, di “smarrimento”, di non avere “un'idea della strada da percorrere”. Fino a quella frase sciagurata con il paragone fra la politica e il virus.

Quando però dalla pars destruens è dovuto passare alla costruens, Bonomi ha messo in luce tutti i propri limiti. A sentirlo parlare durante gli Stati generali, sembrava che la priorità numero uno per l’Italia fosse la restituzione alle imprese di 3,4 miliardi di accise sull'energia pagate e non dovute. Una rivendicazione legittima, in quanto fondata su una sentenza della Corte di Cassazione dello scorso febbraio, ma anche patetica e provinciale, visto il contesto in cui è arrivata. 

In un libretto dal titolo “Italia 2030. Proposte per lo sviluppo”, di cui Bonomi firma la prefazione, si parla poi di alleggerire il peso della burocrazia favorendo la digitalizzazione, di tagliare l'Ires e di accettare i 36 miliardi che il Mes garantirebbe alla sanità italiana. Le imprese rivendicano inoltre il diritto di mettere bocca sulla destinazione dei fondi Ue.

Una lista della spesa, come al solito. Gli industriali fanno richieste, snocciolano imperativi, piagnucolano di “sentimenti antindustriali” a loro giudizio immotivati, ma non si mettono mai davvero in gioco. Il loro unico interesse continua essere privatizzare gli utili quando le cose vanno bene e socializzare le perdite in tempo di crisi.

La vera novità introdotta da Bonomi è che ora Confindustria persegue questi obiettivi in proprio, senza farsi rappresentare da alcun partito. In effetti, non ne avrebbe modo: il Movimento 5 Stelle non è mai stato tenero con gli industriali, mentre la Lega è antieuropeista e la scissione a destra pilotata nel Pd si è risolta in un disastro (Renzi rimane il leader più vicino agli imprenditori, ma ormai nei sondaggi Italia Viva è finita perfino sotto Calenda).

In questo contesto, Bonomi è ben contento di essere rappresentato dai media come un antagonista del governo: la gran cassa lo aiuta a definire il proprio ruolo e a realizzare il suo progetto di una Confindustria-partito. Ma siamo sicuri che questo Esecutivo sia davvero così nemico degli industriali? Forse abbiamo già dimenticato l’esenzione Irap da quattro miliardi prevista dal decreto Rilancio a beneficio di tutte le imprese, senza paletti né limiti di fatturato. Un regalo mica male, per arrivare da un nemico.

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