La deriva autoritaria del presidente francese Emmanuel Macron e del suo governo ha avuto un’umiliante battuta d’arresto questa settimana dopo il ritiro di una contestatissima nuova legge che minacciava in sostanza di attribuire alle forze di polizia la facoltà di reprimere impunemente qualsiasi manifestazione popolare di protesta. A dare il colpo di grazia al provvedimento, che dovrebbe comunque essere riscritto per poi tornare in Parlamento, sono state le massicce dimostrazioni del fine settimana, seguite agli ultimi episodi di estrema violenza che hanno visto protagoniste le forze dell’ordine transalpine.

 

I giornali francesi hanno parlato di un presidente “in collera” con il suo ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, per non essere stato in grado di “vendere” una legge fortemente voluta dai vertici di polizia. In una riunione molto tesa andata in scena lunedì all’Eliseo, Macron è stato costretto a prendere atto della vastissima opposizione nel paese contro la cosiddetta legge sulla “sicurezza globale” e a ordinare una “riscrittura” soprattutto del controverso articolo 24, verosimilmente per proporre cambiamenti in larga misura cosmetici in attesa di condizioni politiche più propizie.

Già al momento della presentazione del disegno di legge all’Assemblea Nazionale, il governo aveva comunque assicurato che l’articolo 24, oggettivamente anti-democratico e condannato dall’ONU e da molte organizzazioni a difesa dei diritti civili, bilanciava la libertà di informazione con la protezione delle forze dell’ordine. La norma più criticata prevedeva il divieto di filmare o fotografare gli agenti di polizia durante manifestazioni pubbliche, per poi diffonderne le immagini, se ciò avesse potuto arrecare a questi ultimi un danno “fisico o morale”. A giudicare l’eventuale illegalità anche del lavoro dei giornalisti sarebbero stati unicamente i poliziotti, con conseguenze inquietanti sulla liberta di stampa. La legge allentava inoltre i limiti all’uso dei droni da parte della polizia, con la possibilità anche di applicare a questo strumento la tecnologia del riconoscimento facciale per identificare i partecipanti a manifestazioni di protesta.

Secondo i sindacati di polizia, l’articolo 24 della legge era necessario per limitare insulti e minacce sul web contro gli agenti ritratti durante le dimostrazioni di piazza. In realtà, il vero obiettivo era e resta quello di nascondere all’opinione pubblica la faccia della repressione. Infatti, con un tempismo perfetto, almeno tre nuovi episodi di violenza della polizia francese sono stati registrati nell’ultima settimana e in tutti i casi le immagini circolate sui media e sui social networks hanno scatenato l’indignazione generale, contribuendo ad affossare la legge proposta dal governo Macron.

Soprattutto la vicenda del produttore musicale di colore Michel Zecler ha fatto scalpore. Le immagini del brutale pestaggio di quest’ultimo da parte di alcuni agenti di polizia sono rimbalzate sui media di tutto il mondo, mettendo in gravissimo imbarazzo i vertici dello stato francese. Le immagini delle telecamere di sorveglianza dello studio di Zecler a Parigi e un filmato girato all’esterno da un vicino di casa hanno mostrato un’aggressione totalmente gratuita e aggravata da pesanti insulti razziali. Zecler sarebbe stato oggetto di percosse perché non indossava la mascherina, come previsto dalle norme anti-Covid francesi, e aveva poi trascorso due giorni in carcere prima di venire rilasciato una volta emersi i filmati dell’aggressione.

In precedenza, sempre la polizia di Parigi aveva sgomberato in modo violento un pacifico accampamento di rifugiati in Place de la République che protestavano contro le condizioni di vita imposte loro dal governo francese. La furia della polizia aveva in quell’occasione travolto anche svariati manifestanti che erano scesi in piazza a sostegno dei profughi. Questo episodio e quello di Michel Zecler erano alla base di altre manifestazioni che sabato scorso si sono tenute in un centinaio di città francesi. Nella sola Parigi i dimostranti sono stati quasi 50 mila e ancora una volta la polizia ha risposto con il pugno di ferro. A farne le spese sono stati tra gli altri alcuni giornalisti, come un giovane fotografo siriano finito in ospedale per le percosse subite dagli agenti delle forze dell’ordine.

I fatti dei giorni scorsi hanno dunque costretto il presidente e il governo a muoversi per provare a limitare i danni e il ritiro della legge sulla “sicurezza globale”, che l’Assemblea Nazionale aveva approvato in prima lettura all’inizio della scorsa settimana, è stato il primo passo. Il capogruppo del partito di Macron “La République En Marche”, l’ex ministro dell’Interno Christophe Castaner, ha dovuto prendere atto della situazione e fare i conti con le pressioni anche di alcuni deputati della maggioranza.

Macron, da parte sua, ha cercato di condannare le ultime violenze della polizia, parlando, relativamente all’aggressione di Michel Zecler, di “vergogna” per tutta la nazione. La presa di posizione del presidente è però solo una mossa di facciata, visto che questi episodi si ripetono regolarmente dall’inizio del suo mandato, in parallelo con l’implementazione o il tentativo di implementare misure reazionarie, come la legge sulla polizia appena sospesa o la “riforma” del settore ferroviario che aveva scatenato massicce proteste e scioperi prolungati. Basti pensare, a questo proposito, alla repressione messa in atto contro la mobilitazione dei “gilet gialli”, con decine di manifestanti seriamente feriti, tra cui non pochi sottoposti ad amputazioni di arti o che hanno perso un occhio.

Un’altra manovra del governo di Parigi è apparsa chiara lunedì con l’audizione davanti a una commissione dell’Assemblea Nazionale del ministro dell’Interno. Darmanin ha spiegato che verrà presentato un piano di “riforma” della polizia francese, in modo da rimediare a quelli che ha definito i “sette peccati mortali” che affliggono questa istituzione. Le proposte che dovrebbero finire in un ampio disegno di legge previsto per il 2022 includono una serie di misure volte teoricamente a risolvere problemi come la carenza di addestramento degli agenti o lo scarso livello di supervisione degli ufficiali.

Molto più rivelatori sono però i piani, annunciati sempre da Darmanin, per aumentare i fondi pubblici da destinare alle forze di polizia e l’incremento del numero di agenti, principalmente portando a 30 mila il numero di quelli di “riserva”. Nelle parole degli esponenti del governo Macron, l’obiettivo dovrebbe essere di colmare il divario creatosi tra la polizia e il popolo francese. Questa operazione è tuttavia puramente esteriore, dal momento che la violenza della polizia, in Francia come altrove, non è dovuta alla presenza di “mele marce” o a carenze organizzative, ma è la diretta conseguenza dello spostamento a destra del baricentro politico. In altri termini, l’imposizione di politiche impopolari e classiste genera tensioni sociali e proteste che minacciano di sfociare in vere e proprie rivolte, contro le quali si scagliano le forze dell’ordine con una brutalità che riflette esattamente quella che caratterizza sempre più le classi dirigenti occidentali.

Nonostante la momentanea marcia indietro di questi giorni, Macron e il governo francese non intendono deviare dalla strada dell’autoritarismo. Questa logica risponde d’altra parte a esigenze oggettive del capitalismo francese, costretto a fronteggiarsi con una profonda crisi sia sul piano domestico che internazionale. Un’altra faccia di questa involuzione anti-democratica è ad esempio la recente proposta di legge contro il “separatismo” islamico, scaturita dall’assassinio dell’insegnate Samuel Paty dopo che aveva mostrato ai propri studenti alcune caricature del profeta Muhammad per stimolare una discussione sulla libertà di espressione.

Quest’ultimo atto di terrorismo, l’ultimo di una lunga serie che ha interessato la Francia, è stato sfruttato da Macron per lanciare una nuova crociata anti-musulmana in nome dei valori del secolarismo d’oltralpe. I provvedimenti che sono seguiti hanno visto l’espulsione, quasi sempre arbitraria, di centinaia di immigrati di fede islamica e lo scioglimento forzato di istituzioni caritative, umanitarie e di assistenza legale collegate alla comunità musulmana francese, anche se nessuna di esse aveva mai svolto attività politiche sospette né tantomeno aveva precedenti riconducibili in qualche modo agli ambienti del terrorismo internazionale.

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