Chi abbia vinto non è chiaro, ma sullo sconfitto non ci sono dubbi. Matteo Salvini ha gestito la partita del Quirinale come peggio non avrebbe potuto e ora si ritrova senza coalizione, in un partito che gli chiede di cambiare rotta. Nei panni (o nella felpa) del “Kingmaker”, il leader leghista si è prodotto in una serie di bluff senza senso. Innanzitutto, ha assicurato che “per la prima volta in 30 anni” il centrodestra avrebbe avuto “i numeri” per eleggere il Presidente della Repubblica. Poi ha promesso “candidature di altissimo profilo”. Infine, ha garantito che Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia avrebbero votato in modo compatto “dall’inizio alla fine”.

 

Dopo gli annunci, però, è entrata in gioco la realtà. E questo non è mai un bene per Salvini, che - oltre a macinare propaganda incitando all’odio contro i disperati - non sa fare proprio nulla. Lo ha dimostrato anche stavolta con un bel filotto di disastri.

Prima la rosa dei tre nomi (Moratti, Pera e Nordio), bruciati alla velocità della luce e mai sottoposti alla prova del voto.

Poi il tentativo di spallata più goffo della storia repubblicana, con l’ambiziosa Casellati - talmente pessima da piacere a Giorgia Meloni - polverizzata dai suoi stessi compagni di partito. Difficile ricordare una pattuglia di franchi tiratori più vasta e agguerrita di quella che ha impallinato la numero uno del Senato.  

Ma per quanto forte sia stata, la prima sberla non deve aver convinto Salvini, che ha porto l’altra guancia per ricevere la seconda. E così è arrivata la proposta di candidare Belloni, concepita sottobanco con Conte e per questo diventata irricevibile per tutti gli altri partiti.

Quello che resta è un centrodestra a pezzi. Il disastro salviniano dà l’occasione a Forza Italia - che puntava su Casini - di smarcarsi dai sovranisti per creare una nuova area politica al centro insieme a Renzi, Calenda, Toti e moderati vari. Perché il progetto abbia speranze di riuscita è necessaria una riforma elettorale in senso proporzionale e - c’è da scommetterci - sarà proprio questo uno dei temi dominanti nel dibattito pubblico dei prossimi mesi.

Quanto a Meloni, ha accolto con un “non ci posso credere” la scelta salviniana di rieleggere Mattarella, per poi decretare che la coalizione “va rifondata”. La leader di Fratelli d’Italia ha lasciato l’ultima cartuccia a Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, che su Twitter ha ripescato un post pubblicato nel 2015 dal segretario leghista: “Mattarella non è il mio presidente”, scriveva Salvini un settennato fa, definendo il Capo dello Stato un “cattocomunista” e ricordandone i trascorsi come “fondatore dell’Ulivo, vice di D’Alema e ministro con De Mita”.

La situazione non è tranquilla nemmeno all’interno del Carroccio, dove Giancarlo Giorgetti, amico di Draghi e grande sostenitore del suo trasloco al Quirinale, ha minacciato apertamente le dimissioni da ministro dello Sviluppo economico. In seguito l’allarme è rientrato - anche, pare, grazie all’intervento diretto del Presidente del Consiglio - ma il numero due della Lega ha comunque chiesto al segretario una gestione più collegiale del partito.

L’inizio del Mattarella bis, quindi, non solo mette fine alla formula del centrodestra sperimentata negli ultimi anni, ma segna anche un ulteriore indebolimento di Matteo Salvini. Che, dopo ave perso la leadership nella coalizione, ora ha perso anche la coalizione.

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