di Fabrizio Casari

Le accuse del Procuratore sportivo Palazzi all’ex-Presidente dell’Inter Giacinto Facchetti, appaiono, in forma e sostanza, gravemente condizionate da approssimazione e preconcetto. L’impianto accusatorio della relazione è fortemente sbilanciato e dallo stesso alcuni desumono che il Procuratore sportivo ritiene le ipotesi di colpa di Facchetti pari o quasi a quelle di Moggi. Se così fosse sarebbe un infortunio grave che allungherebbe ombre cupe sull’onestà di giudizio di Palazzi. Sarebbe infatti semplice pubblicare simultaneamente le telefonate intercorse tra Facchetti e Bergamo da una parte e quelle tra Moggi e Bergamo dall’altra per rendersi conto di quanto siano scarsamente associabili e completamente diverse negli obiettivi. Chiunque capirebbe la differenza.

Il fatto che le opinioni di Palazzi siano solo quelle dell’accusa andrebbe ricordato sempre: non solo perché dovuto nella descrizione di ogni vicenda processuale, ma proprio perché si deve ricordare la lunga lista di accuse che Palazzi distribuisce e che non vengono confermate dai tribunali. La fase dibattimentale e il giudizio terzo del giudice producono infatti sempre sentenze diverse da quelle richieste dalle accuse di Palazzi. Ultima quella sul caso Pandev.

Certo è strano che il giudizio complessivo della relazione indichi Facchetti quale responsabile di violazione degli articoli 1 e 6 del regolamento. Nelle numerose pagine dedicate alle telefonate intercorse tra Facchetti e i designatori, infatti, non è possibile rilevare altro che un generico quanto inefficace, pur ripetuto, tentativo di ottenere arbitri adeguati alla delicatezza degli incontri che attendevano i nerazzurri. L’intento che traspare era quello di proteggere l’Inter da designazioni arbitrali che, come successivamente appurato, erano tese a favorire il clan di Moggi.

Si dovrebbero rileggere attentamente le intercettazioni delle telefonate tra Facchetti e Bergamo e, ove si fosse provvisti di senso logico, si capirebbe facilmente come le richieste del dirigente interista siano per avere “il migliore” (chiede espressamente Collina) e per non avere, invece, quelli come Bertini o altri che contro l’Inter avevano precedentemente arbitrato con evidenti atteggiamenti punitivi. In sostanza, pur potendo eccepire sulle modalità, si tratta di richieste che possono essere configurate come tentativi di ricusazione di alcuni arbitri da un lato e richiesta di partecipazione di quelli meno ricattabili e meno sospetti di legami con il clan di Moggi e Giraudo dall’altro.

Per essere precisi si può citare una conversazione del Maggio 2005, nella quale Bergamo propone di affidare la gara all’arbitro Bertini (di cui Facchetti si era lamentato per via di diverse decisioni sbagliate e sempre a danno dell’Inter); Bergamo si offre d’istruire a dovere Bertini per un arbitraggio che finisca con la vittoria dell’Inter e Facchetti risponde invece di volere un arbitraggio giusto. Non certo contenuti e toni da assimilare alle altre miriadi di telefonate che i designatori avevano con Moggi. Su questo non è possibile equivocare, se non in malafede.

E’ bene comunque ricordare che all’epoca dei fatti non era proibito (come invece lo è oggi) parlare con i designatori. Lo facevano tutti, e molti tra questi perseguivano l’obiettivo di difendere le proprie squadre dagli assalti della cupola che intendeva determinare non solo le vittorie della Juventus, ma anche il resto del campionato. Ma un conto è parlare e un altro è tramare; un conto è chiedere garanzie di qualità nell’arbitro, un altro è dare ordini ai designatori.

Facchetti, infatti, chiedeva tutela dalla malafede e dall’incapacità già dimostrata da parte di alcuni fischietti verso i nerazzurri, e lo faceva sapendo bene con chi e di cosa stesse parlando, viste le informazioni che aveva avuto da un ex-arbitro (Nucini) su come funzionasse il sistema. Ma, a differenza di Moggi, Facchetti non organizzava le griglie con Bergamo e Pairetto, non decideva chi punire e chi promuovere tra i fischietti, non distribuiva le sim-card estere per parlare con arbitri e designatori senza essere intercettati, non ordinava risultati a la carte. Mettere quindi sullo stesso piano la condotta di Moggi e del suo clan con quella di Facchetti è improponibile dal punto di vista della ricostruzione oggettiva della vicenda e pessimo dal punto di vista “politico”.

Che le accuse di Palazzi diventino tout-court sentenze su alcuni giornali sportivi è parte di un’altra faccenda. Essi, infatti, oltre ad avere nei tifosi juventini un bacino importante di lettori, appartengono ai gruppi editoriali che fanno capo, indirettamente o direttamente, alla Fiat e alla Fininvest, cioè le società proprietarie - direttamente o tramite controllate - di Juventus e Milan, già condannate proprio per Calciopoli. Addirittura scatenati, in preda a crisi isteriche, i giornalisti vicini a Moggi, che oggi inneggiano invece alla relazione di Palazzi come fosse la sentenza di un tribunale. Per conto dell'ex dg juventino furono ventriloqui fin troppo attivi e per questo sanzionati dall’Ordine dei Giornalisti. Imperversano ormai solo nelle radio private che con alcuni dei condannati hanno particolare familiarità.

L’intento di dimostrare che l’agire era comune a tutti serve in primis alle loro vendette personali, giacchè la fine di Moggi ha comportato la loro entrata nel cono d’ombra. Ma, soprattutto, si vuole smontare l’idea che l’Inter fosse diversa dalle altre: non lo scudetto del 2006, ma lo “scudetto degli onesti” è quello che proprio non sopportano. Ovviamente, poi, da parte di costoro non viene citata la parte della relazione di Palazzi dove si confermano per Moggi e soci le accuse di essere “un vero e proprio sistema organizzato” destinato a favorire sul campo e fuori dal campo le vittorie alla Juventus.

La richiesta, subdola, che viene da più commentatori, è che l’Inter rinunci di sua iniziativa allo scudetto del 2006. Non costerebbe niente rinunciarvi, non fosse altro che questo sarebbe come ammettere che le accuse di Palazzi sono giuste. Questo sì che offrirebbe alle ineffabili penne “neutrali” la stura per poter chiudere il cerchio con una sentenza di colpevolezza generale che metta tutti sullo stesso piano. Moggi come Facchetti, Meani come della Valle, Lotito come Foti e via amalgamando ingredienti, vicende, persone e fatti che non hanno nessun elemento comune.

Pur nella lettura generale che vede comportamenti illeciti, tra chi altera la regolarità dei tornei e chi cerca di difendersi da ciò è difficile riscontrare elementi di verosimiglianza negli scopi e nel conseguente agire. Va detto, peraltro, che è lo stesso Palazzi a chiedere l’archiviazione della richiesta juventina relativa alla non assegnazione dello scudetto 2006, perché gli eventuali illeciti dell’Inter sono comunque prescritti.

Ed ecco allora che un’altra richiesta viene fatta all’Inter: quella di rinunciare alla prescrizione ed andare a processo. Palazzi lo propone a mo’ di sfida, spogliandosi così platealmente dal ruolo istituzionale per assumere le vesti autentiche. Peccato che l’eventuale imputato sia deceduto e, dunque, non si capisce chi dovrebbe essere a rinunciare alla prescrizione, dal momento che le accuse sono rivolte direttamente a Facchetti e non a Moratti, peraltro non tesserato all’epoca.

Si vorrebbe un processo mediatico, sostenuto dai giornali e dalle tv amiche che vedrebbe l’Inter sola contro tutto e tutti. Ma come mai la stessa richiesta - quella cioè di non avvalersi della prescrizione di fronte ad accuse d’illecito sportivo - non venne mai indirizzata alla Juventus in occasione del processo per doping? La Juventus, infatti, accusata dal procuratore Guariniello, evidentemente certa della sua colpevolezza, si guardò bene dal rinunciare alla prescrizione. E dunque fa bene Moratti ad avvertire sulle sicure azioni dell’Inter a tutela della sua immagine e dei danni verso chi è tentato dal ribaltone dei fatti.

Per carità, l’Italia è il Paese dove i ladri si mettono a fare politica e i politici si danno da fare per le loro aziende; dove i giudici vengono confusi con gli imputati e dove i repubblichini vengono messi sullo stesso piano dei partigiani. E' il Paese dove la verità paga dazio ai potenti, da sempre. L'importante, però, é che la verità non vada persa nel regno dell'indistinto. Gigi Riva, il più grande dei bomber azzurri, ha detto: “Tutti quelli che oggi parlano su Giacinto farebbero meglio a stare zitti: lui era pulito. Facchetti era una persona semplice, pulita, onesta, il nostro angelo. Ora provo una grande rabbia”. Moggi, per quanto possa dolere alle sue numerose vedove, variamente parcheggiate nei giornali, nelle radio e nelle Tv, resterà sempre l’emblema del gioco sporco, della corruzione e della slealtà sportiva, così come Facchetti verrà ricordato sempre come un gentiluomo dello sport. Ingenuo, forse, ma onesto.

 

 

 

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