di Roberta Folatti

Crimini inconcepibili

Mentre guardavo questo film mi ha martellato costantemente un pensiero: le donne non avrebbero mai fatto una cosa del genere. Nè preso certe decisioni, nè obbedito a certi ordini. Un crimine come quello descritto nell’ultima fatica di Andrzej Wajda è talmente allucinante, insensato, enorme ed è stato eseguito con tale metodicità, con tale freddezza da apparire semplicemente inconcepibile a una mente femminile.
Non si discosta, dal punto di vista numerico e per la ferocia, da altri massacri compiuti nella storia, programmati e portati a termine dai nazisti, dai franchisti, nell’ambito della guerra civile in ex Yugoslavia o delle ignorate guerre etniche africane. Sempre una violenza che sfocia nella più totale mancanza di umanità, di senso, di pietà. Nella più ottusa obbedienza agli ordini.

In questo caso 15.000 uomini giustiziati con un colpo alla nuca, uno dopo l’altro, senza sosta, come fosse un lavoro in una catena di montaggio. Siamo nel 1940, i russi, prima di schierarsi contro i nazisti, avevano stabilito con loro una sorta di patto di non belligeranza che prevedeva la spartizione della Polonia. Così questo paese si trovò tra due fuochi, da un lato i nazisti che si accanirono contro i membri dell’Università di Cracovia, dall’altro gli stalinisti che perpetrarono appunto il massacro di cui si narra nel film Katyn (dal nome del luogo dove questo avvenne). Tra gli ufficiali dell’esercito polacco c’era l’intellighenzia del paese, ingegneri, medici, architetti, oltre ai militari di professione, e la decisione di sterminarli, dopo averli tenuti prigionieri per un anno, esprimeva la volontà di schiacciare l’autonomia e l’identità nazionale della Polonia, asservendola completamente alla Russia. Wajda è toccato in prima persona da questi fatti, suo padre sparì in quel periodo, all’interno della strategia stalinista di decapitare un paese delle sue teste pensanti.

Il suo film si svolge su due piani paralleli: la ricostruzione storica della vicenda e i suoi risvolti privati, le conseguenze che essa ebbe sulle vite dei parenti degli scomparsi. Wajda focalizza l’attenzione in particolare sulla famiglia di uno degli ufficiali della lista di Katyn. Tutti, moglie, figlia, genitori vivono in un tempo sospeso, anni di attesa nella più sconcertante incertezza, combattuti tra la speranza e la disperazione, ignari della sorte del proprio caro. Fu l’intero popolo polacco a subire enormi perdite, sia in termine di vite umane che di umiliazioni psicologiche e ferite morali. Il governo fantoccio insediato dai russi in un secondo tempo negò la responsabilità comunista nella strage dei soldati polacchi scaricandola sui nazisti e falsificando le date.

Naturalmente alcuni dei parenti delle vittime non furono disposti ad accettare questa menzogna e rischiarono la vita per ristabilire la verità. Giustizia fu fatta solo molto tempo dopo, quando Gorbaciov rese pubblici gli archivi sovietici. Di Katyn ho preferito decisamente la parte della ricostruzione storica, messa in scena con fredda oggettività, senza scossoni emotivi che, in una trama già così drammatica, sarebbero risultati intollerabili. Il parallelo evolversi delle vite dei parenti dei militari uccisi a tratti appare un po’ artificioso, più un corollario “a tesi” che l’altro spicchio mancante del film.

Katyn (Polonia, 2008)
Regia: Andrzej Wajda
Sceneggiatura: Andrzej Wajda, Przemyslaw Nowakowsky, Wladyslaw Pasikowski
Musiche: Krzysztof penderecki
Cast: Maja Ostaszewska, Artur Zmijewski, Andrzej Chyra, Jan Englert
Distribuzione: Movimento Film





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