di Roberta Folatti

Le disgrazie non arrivano mai sole


Cosa significherà per Ethan e Joel Coen “un uomo serio”? A giudicare dalle storie che abitualmente raccontano non deve trattarsi proprio di un complimento. E infatti il protagonista dell’ultimo film possiede quella serietà che sconfina inevitabilmente nell’ingenuità più disarmante, almeno nel mondo individualistico e feroce che fa da sfondo al loro cinema. Un’ingenuità che spesso si confonde con la stupidità e con la scarsa propensione a tirar fuori le unghie, per reagire in modo adeguato alle intemperie della vita. Larry è un tranquillo professore di matematica con un posto da precario presso l’università locale e una famiglia normale se si eccettua suo fratello, eccentrico studioso del calcolo delle probabilità che mette in pratica giocando a carte (e vincendo). La moglie sembrerebbe una donna ordinaria e del tutto prevedibile (un po’ come lui) ma una delle prime bufere che investono la sua metodica vita è causata proprio da questa scialba signora. Dopo aver fatto due figli col marito, Judith si scopre innamorata di un vedovo più anziano e in quattro e quattr’otto scarica il povero “serious man”, costringendolo – con argomentazioni stringenti e molto pratiche – ad andarsene di casa.


Non si limitano a questo i guai di Larry, sarà un’autentica catena di sfighe a piombargli addosso, lasciandolo inerme, completamente indifeso. La storia è calata in tutto e per tutto in una comunità ebraica degli anni ’60 e molte cose sono molto “tipiche”, adatte a conoscitori di quell’ambiente. La parodia che aleggia su usanze, manie, superstizioni del mondo yiddish non può essere gustata fino in fondo da chi non appartiene a quella sfera. Il protagonista si sente ripetere in continuazione il consiglio (che diventa quasi un obbligo) di rivolgersi al rabbino – anzi ai rabbini. Come se questi possedessero chiavi magiche perinterpretare la realtà e risolvere ogni problema. La verità è che Larry non ne trarrà alcun aiuto, per ogni colloquio deludente cercherà un religioso di grado superiore e sarà proprio il rappresentante supremo ad irriderlo di più (rimane il dubbio se sia irrisione o rimbambimento...), facendolo sentire completamente solo contro le avversità della vita.

Il tocco dei Coen si avverte, la loro causticità, ma questa commedia ha in primis un’impronta ebraica: i fratelli dicono di essersi ispirati a decine di figure  incontrate nel corso della loro vita. Tutto è profondamente yiddish compreso il finale. Quando Larry si sente finalmente fuori dalla bufera e decide, dopo mille tentennamenti, di compiere quel piccolo gesto di furbizia che tanto lo aveva angustiato cambiando un voto allo studente “ricattatore”, gli giunge subito il contraccolpo, come se esistesse davvero una logica dietro le nostre azioni e qualcuno ne tenesse i conti. A serious man può essere avvertito come un film in tono minore per chi ama i Coen più scatenati, obiettivamente ha dei difetti, la descrizione dei personaggi e degli ambienti risulta alla fine un po’ monocorde, parodistica in un unico senso. Fulminante e volutamente avulsa dal contesto la scena d’esordio, inserita forse per mostrare come razionalismo e superstizione, approccio oggettivo e magico si siano sempre intrecciati nella cultura ebraica. E in qualunque altra cultura.

A serious man (Usa, Gran Bretagna, Francia, 2009)
Regia: Ethan e Joel Coen
Scenaggiatura: Ethan e Joel Coen
Musiche: Carter Burwell
Cast: Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed Sari Lennick
Distribuzione: Medusa

 

 

 

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