di Roberta Folatti

I monaci trappisti cistercensi rispettano la Regola di San Benedetto che impone di praticare l’ospitalità e la condivisione, “specialmente nei confronti dei poveri e degli stranieri”. Questa trasversalità e il fatto che si astengono da qualsiasi forma di proselitismo, ha permesso loro di radicarsi in luoghi e situazioni al limite. Ma in alcuni casi hanno pagato la loro coerenza, la scelta di rimanere fedeli a un’idea. L’idea di un’accoglienza che non giudica e non fa distinzioni.

Uomini di Dio racconta la storia vera di un gruppo di frati che vivono in un monastero arrampicato sulle montagne algerine. Un luogo austero ma bellissimo, che esorta alla contemplazione, situato a poca distanza da un villaggio molto povero e i cui abitanti sono profondamente legati a quei monaci francesi. Forse il più amato è Luc, il medico, che cura gratuitamente tutti gli ammalati della zona, distribuendo medicine e insegnando i rimedi più comuni.

A capo della comunità trappista, Frère Christian, colto, studioso dell’arabo e del Corano, pronto a rischiare la propria vita per non tradire la parola data, colui che, in un confronto con i terroristi islamici, saprà tenere testa alla minaccia delle armi, grazie a una coerenza cristallina che spiazzerà anche i suoi “nemici”.

Il film del regista francese Xavier Beauvois, molto apprezzato in patria malgrado sia fautore di un cinema rigoroso e lontano dai compromessi commerciali, mostra la vita della piccola comunità di frati, che si dedicano alla preghiera, alla meditazione ma anche alle attività pratiche e alla socialità, accogliendo gli inviti degli abitanti del villaggio.

“Uomini di Dio” ci svela poco a poco i volti e le personalità degli otto religiosi presenti nel monastero di Notre-Dame-de-L’Atlas. Ciascuno ha un approccio differente con la propria vocazione: c’è Christophe, il più giovane, che vive assalito dai dubbi e dai terrori, e Luc, che invece non ha paura di nulla e sa parlare anche di amore terreno. C’è Michel, instancabile lavoratore e uomo schivo, e Celestin, portato per le relazioni interpersonali. Gli interpreti del film di Beauvois sono straordinari, ben presto veniamo trasportati in quell’ambiente rurale, spoglio ma di grande fascinazione.

Li ascoltiamo cantare insieme, perché cantando all’unisono i cistercensi sentono di affiancarsi al Soffio della vita. Li osserviamo mentre sono assorti nella lettura, mentre cucinano o lavorano i campi, aiutati dalla gente del luogo, in un’armonia semplice, basata sugli sguardi più che sulle parole. Questo ritratto magistrale è reso più denso nel momento in cui, all’interno del convento, cominciano ad insinuarsi le notizie delle violenze compiute dagli integralisti islamici, ai danni soprattutto degli stranieri presenti nel paese.

Siamo nell’Algeria degli anni ’90 e le stragi si susseguono. I monaci di Notre-Dame-de-L’Atlas diventano dei bersagli, il governo locale (ambiguo e corrotto) li sollecita a rientrare in Europa o almeno a farsi proteggere dall’esercito. Padre Christian riflette a lungo, consulta i suoi fratelli e dopo vari ripensamenti tutti decidono di rimanere. Il film ci ha già talmente catturati, coi suoi silenzi e la sua intensità, che condivideremo coi monaci ansie, incertezze, autentici terrori ma anche un sentimento di grande unione, di forza e momenti di trasparentissima gioia. Fino all’episodio finale, tragico ma narrato con estremo pudore…

Uomini di Dio (Francia, 2010)
Regia:  Xavier Beauvois
Sceneggiatura: Etienne Comar
Fotografia: Caroline Champetier
Scenografia: Michel Barthelemy
Cast: Lambert Wilson, Michael Lonsdale, Olivier Rabourdin, Philippe laudenbach
Distribuzione: Lucky Red

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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