Il tentato colpo di stato in Nicaragua è fallito. Un esito prevedibile dati i rapporti di forza tra la stragrande maggioranza della popolazione, che appoggia il governo, e il pur ampio spettro della destra golpista, alimentata con denaro proveniente da Washington, sostegno degli alleati europei e sudamericani ed anche dei cosiddetti “progressisti” europei e “liberal” americani. Ma se all’esistenza dei secondi credono solo i primi, i sinistrati d’Europa esistono e, come una falange, si sono lanciati senza esitare né dubitare contro il governo sandinista. Ma quali sarebbero i misfatti del governo guidato dal Comandante Daniel Ortega?

 

Il governo sandinista ha prodotto il più imponente ed incisivo processo di modernizzazione del paese e, nel pieno di una economia sociale di mercato, lo ha fatto in senso socialista, orientandolo verso la distribuzione equa delle risorse. Si è concepito un modello di inclusione sociale, con un welfare i cui tratti salienti sono l’offerta di servizi essenziali gratuiti ad ogni livello. Salute, istruzione, pensioni, trasporti, case, cui si sono aggiunti aumenti salariali, crediti agevolati a famiglie, cooperative e piccole imprese.

 

In questi ultimi anni ha fatto registrare una crescita del PIL tra il 4 e il 5% annui e un forte aumento delle riserve in divisa. E’ un paese povero il Nicaragua, certo, ma le politiche del governo combattono la povertà e non i poveri. I dati? Tra il 2015 e il 2016 la povertà è passata dal 48 al 26%, mentre quella estrema è scesa dal 17,2 al 8,3, grazie ad una politica economica che vede il 55% della spesa nazionale destinato alla riduzione ulteriore della povertà attraverso programmi di investimenti pubblici. Non dovrebbe piacere tutto questo alla sinistra?

 

Tra il 2012 e 2016 c’è stato un aumento del 40% della spesa sociale, con 2,715 milioni di dollari spesi in investimenti pubblici. Tra questi spiccano 805 milioni di dollari per il miglioramento dei sistemi di viabilità aerei e terrestri, 145 per la sanità pubblica, 423 per l’energia elettrica, 254 per l’acqua e il risanamento idrico e 107 per l’istruzione. Che cosa delle politiche sopra descritte disturba la cosiddetta “sinistra”?

 

Il Nicaragua è stato premiato dalla FAO per esser stato tra i primi paesi al mondo a raggiungere gli “obiettivi del millennio” per la riduzione della povertà e delle disuguaglianze (dati certificati anche da Banca Mondiale e FMI). E’ quindi, quello sandinista, un modello che ha tenuto insieme crescita del PIL e riduzione forte della povertà estrema, legando la crescita macroeconomica a quella del tessuto sociale. Sono questi obiettivi propri dei regimi dittatoriali?

 

La riorganizzazione sistemica della capacità produttiva ha fornito concretezza a ciò che s’intende per sovranità nazionale in chiave energetica ed alimentare: il Nicaragua, oggi, produce oltre l’80 della sua energia da fonti rinnovabili e anche gran parte del cibo che consuma. E non solo di economia si tratta: il suo modello di polizia comunitaria ha garantito i migliori risultati in termini di sicurezza di tutta la regione centroamericana.

 

La partecipazione delle donne alla vita pubblica è stata in costante aumento, al punto che dal 2007 ad oggi il Gender gap del Nicaragua è passato dal 91° al 14° posto al mondo. Perché dunque la cosiddetta “sinistra” proclama Ortega nemico irriducibile quando egli ha fondato la sua politica socioeconomica sull’inclusione sociale e la partecipazione?

 

Sul piano politico c’è poco da dire. In tre ripetute elezioni - 2006, 2011 e 2016 - il Comandante Daniel Ortega ha vinto con un margine sempre crescente e gli osservatori internazionali presenti, tra i quali anche l’OSA, le hanno dichiarate valide e legittime. Persino diplomatici e analisti statunitensi hanno espresso il convincimento di una maggioranza schiacciante del sandinismo nell’elettorato nicaraguense e la spaccatura dell’opposizione (acuitasi ulteriormente persino durante e dopo il tentato golpe) ha fatto il resto.

 

Dove starebbe quindi la dittatura? Nella consecutiva candidatura di Daniel Ortega? I nostri raffinati giuristi di taglio liberale con aureola di sinistra dovrebbero ritenere risibile la questione. Sono decine e decine i paesi dove il limite dei mandati non esiste e in molti altri esiste solo per i mandati consecutivi, aggirabile con lo scambio tra presidenza e premierato.

 

La riforma costituzionale è stata approvata dal Parlamento e non si può erigere il parlamentarismo come simbolo della democrazia e poi stigmatizzarne le decisioni quando non coincidono con quelle in uso a Washington. Del resto il disegno costituzionale di ogni Paese non può essere accettato o respinto sulla base della sua somiglianza a quello statunitense e le elezioni non possono avere validità solo a seconda di chi vince. Dunque la domanda principale è: di quale dittatura stiamo parlando?

 

Quanto alle accuse di avere il controllo sui tre poteri - Esecutivo, Legislativo e Giudiziario - che disegnerebbe un regime autoritario, si deve ricordare che molti dei paesi al mondo lo hanno, in conseguenza di vittorie elettorali ampie. Gli Stati Uniti hanno lo stesso modello. Infatti, la Casa Bianca è in mano a Trump (che è anche Comandante in capo delle forze armate), Senato e Camera dei Rappresentanti sono sotto il dominio assoluto dei Repubblicani e la Corte Suprema è anch’essa sotto il controllo repubblicano. Dunque, se il Nicaragua è una dittatura perché il FSLN controlla i tre poteri, cosa sono gli USA dove il Partito Repubblicano controlla i tre poteri?

 

La questione, com’è evidente, è tutta politica: è il modello socialista il problema. Le accuse di regime autoritario sono il presupposto per il golpismo dedito al regime change nei paesi non allineati a Washington. E sono anche le relazioni internazionali con Russia, Iran, Cina, Cuba, Venezuela e Bolivia che infastidiscono la nostra “sinistra”. L’indipendenza e la sovranità nazionale del Nicaragua diventano regime appena entrano in collisione con gli interessi egemonici statunitensi.

 

Un esempio fuori dal Nicaragua di cosa questo significa e di cosa comporta? La settimana scorsa il governo di El Salvador, per un calcolo economico, ha deciso di rompere le relazioni con Taiwan ed aprirle con Pechino. Washington ha minacciato El Salvador di sanzioni e altre iniziative perché ritiene la sua scelta “contraria all’interesse nazionale degli Stati Uniti”.

 

In Nicaragua, come in Venezuela, Argentina o Brasile, Bolivia o Ecuador, il copione scelto è il medesimo. S’inventano dittature, corruzione e repressione per poter poi giustificare l’aggressione in nome della democrazia e la salvaguardia dei diritti umani, nuova frontiera ideologica dei disegni imperiali. E’ in campo la nuova giurisprudenza internazionale brandita da chi non riconosce le Corti Internazionali, non si sottomette al loro giudizio ma giudica; di chi esce dagli organismi multilaterali per la difesa dei diritti umani ma dispone condanne agli altri per la loro presunta violazione, sorvolando allegramente su Guantanamo e sull’uso massiccio della pena di morte permessa dal codice penale statunitense.

 

Esempio mirabile è la CIDH (Commissione Interamericana per i Diritti Umani della OSA): ha sede a Washington, gli Usa non le riconoscono la podestà di investigare su di loro ma la dirigono e s’incaricano di stabilire chi va assolto e chi va punito in America Latina. Eppure negli Stati Uniti, nel solo 2018, sono già 566 le vittime della polizia, mentre nel 2017 sono state 1147, quasi tutte di colore. Numeri che dimostrano come gli Usa, al pari del Messico, sono un Paese nel quale gli abusi della polizia assumono una dimensione tale da poter considerare le forze dell’ordine una organizzazione violenta, violatoria dei diritti umani e dedita più all’eliminazione dei rei che alla repressione dei reati. Ma trovano la sfacciataggine di dare pagelle agli altri.

 

Con magistrati formatisi negli USA e istruiti ad arte si muovono accuse ed arresti contro i leader politici della sinistra latinoamericana. Washington stabilisce reati e colpevoli, costruisce liste di proscrizioni, leggi extraterritoriali, tribunali politici senza prove e senza testimoni ed eroga pene a suo insindacabile giudizio che colpiscono sempre i suoi avversari o competitors.

 

Il gioco è senza fine e si ripete con modalità e sceneggiature sempre uguali ai quattro angoli del pianeta. Sanzioni, ingerenze, invasioni e isolamento sono le armi di questo modello che trascina l’umanità nel feudalesimo atomico, guidata da un feudatario che dispone di vassalli e valvassini; tra questi la “sinistra” europea, che da tempo confonde le banche con l’economia, le multinazionali con il lavoro e gli azionisti con la popolazione.

 

Ma questo “dettaglio” non indigna di sicuro la “sinistra” europea, il cui bisogno di compiacere sempre e comunque Washington è conclamato: in fondo, in questi ultimi 30 anni, nemmeno una volta l’Europa si è resa distinta e distante dalle scelte USA di destabilizzazione nei diversi paesi dell’Est Europa e del Medio Oriente e, anzi, in alcuni casi le ha addirittura ispirate (Libia e Siria).

 

Nel continente americano la ricetta vede false accuse contro i leader della sinistra, colpo di Stato in Honduras, golpe parlamentare in Paraguay e Brasile, intenti di golpe in Bolivia ed Ecuador, blocco contro Cuba, aggressione al Venezuela ed ora al Nicaragua; ma la cosiddetta “sinistra” affianca i pirati e accetta che la destabilizzazione permanente del pianeta continui ad imporre gli interessi degli Stati Uniti al centro di ogni processo politico e commerciale. Inevitabile che l’autodeterminazione dei popoli resti così un immemore principio novecentesco.

 

L’Europa ha da decenni la peggiore sinistra del mondo e l’Italia è l’espressione peggiore di quella europea. Ci si riferisce a quella sinistra inquadrata nel sistema di potere e di relazioni che, in Italia, ruota intorno al PD, al suo sottobosco e ai suoi titoli di coda; va dalle redazioni di Repubblica e Manifesto al TG3, ai funzionari delle ONG fino agli scappati di casa del trotzkismo. Padre e madre di tutte le sconfitte progressiste degli ultimi 30 anni,  ha posizioni coincidenti persino nelle virgole con opinioni e giudizi della Casa Bianca e delle ONG legate alle covert action della stessa. Compatta a sostenere la trasformazione della cooperazione in cospirazione, si arruola contro il nuovo “asse del male”, ascolta l’Aspen Institute per sapere come guardare il mappamondo e Freedom House per stabilire chi sono i buoni e i cattivi.

 

Sono i teorici della “ingerenza umanitaria” - dalla metà degli anni ’90 struttura ideologica della Dottrina del Nuovo Ordine Mondiale - che spaccia l’unilateralismo statunitense per governance globale e invoca guerre, sanzioni ed embarghi per chi avversa il comando unipolare. Non tollera i dazi che limitano la libertà di commercio ma promuove gli embarghi che la distruggono. Come già su Cuba e sul Venezuela ora tocca al Nicaragua, è qui che scatta l’ordine di scuderia.

 

La posizione di tutta la sinistra latinoamericana, rappresentata dal Foro di Sao Paulo, che sostiene senza esitazioni il Nicaragua sandinista, non gli provoca nessun interrogativo: del Nicaragua non conoscono nulla, spesso non sanno indicare nemmeno dove si trovi e quasi sempre non ci sono mai stati, ma pubblicano resoconti falsi, direttamente consegnati dai loro amici nell’opposizione golpista e trasformati in verità assolute.

 

Il Manifesto si distingue per solerzia. Il valore di ciò che scrive non è rappresentato dalle copie che vende, qualunque blog ha più lettori, figuriamoci i siti online: il valore aggiunto è piuttosto la suggestione che offre un quotidiano che si vorrebbe di sinistra -addirittura “comunista” - e che da sempre attacca i governi socialisti, fornendo il suo sostegno alla guerra di propaganda. Apparentemente combatte Trump, ma nello specifico del Nicaragua si schiera con la destra statunitense che lo sostiene senza che gli si muova un sopracciglio.

 

Un esempio? Dal 19 Aprile ad oggi, ha pubblicato diversi articoli che, con cifre false, raccontano di una tremenda repressione in Nicaragua. Ma non un rigo su 23 poliziotti e decine di militanti del Frente Sandinista uccisi, di sedi, radio e case di militanti del Fsln date alle fiamme, ambulanze e uffici pubblici bruciati; non una parola sulle falsità documentate di “morti” causa repressione che apparivano vivi e in tutt’altro luogo costretti a smentire, o delle sceneggiate ad arte con telecamere pronte a riprendere lo show e successivamente sbugiardate sui media alternativi e sui social.

 

Lo ha fatto la BBC, ma non Il Manifesto o La Repubblica o Il Fatto, quest’ultimo brogliaccio della legalità in Italia ma papagallo tifoso dell’illegalità in Venezuela e Nicaragua. Mai nemmeno un rigo sugli armamenti delle maras dietro alle barricate, dei furti e degli stupri commessi, nemmeno su una poliziotta fermata, torturata, violentata e assassinata e su un suo collega torturato, ucciso e dato alle fiamme davanti alla barricata. Nemmeno dei video che evidenziavano questo terrore hanno voluto dare conto. E come mai questi cavalieri indomiti dell’emergenza umanitaria e della legalità non hanno gridato l’orrore, anzi hanno difeso a spada tratta i criminali mettendosi a favore di vento nel coro della destra internazionale?

 

Al “quotidiano comunista” non viene in mente che un tentativo di golpe guidato da Confindustria locale e latifondo, gerarchia ecclesiale e ultradestra, diretto dai senatori e congressisti statunitensi dell’ultradestra mafiosa di Miami e finanziato apertamente da USAID, Freedom House, IRI, IDI ed altri istituti che agiscono per conto dell’intelligence USA difficilmente può essere identificabile come rivolta popolare per spostare il paese a sinistra? E suscita non pochi interrogativi un articoletto pubblicato la scorsa settimana che descrive la situazione in Nicaragua con identici termini di una contestuale interrogazione parlamentare di Forza Italia. Si celebra sul Nicaragua il nuovo Nazareno?

 

Perché tanto livore della cosiddetta “sinistra” proprio sul Nicaragua? Perché il Nicaragua è, sotto molti aspetti, un luogo simbolico ideale per la catarsi definitiva del processo di trasformazione della sinistra in destra. E’ luogo per antonomasia dello scontro tra annessione e indipendenza, che significa nei fatti tra Stati Uniti e America Latina (e non solo), dunque terreno cogente di verifica della nuova collocazione.

 

D’altra parte, la cosiddetta sinistra dei salotti, che tra un prosecco e un pettegolezzo si sente ancora il sale della terra, che ha abbandonato ogni istanza di trasformazione anticapitalistica ed elevato la già accertata distanza con gli umili a genuino e sincero rigetto verso di essi, traghetta le ultime scialuppe verso lidi sicuri e più confortevoli. Alla fine degli anni 60’ diedero vita ad un giornale per sostenere una scissione dal PCI che si fondava sulla rottura con il socialismo reale. Oggi, i pronipoti complessati di quella storia, si affannano smodatamente ad ingraziarsi il capitalismo reale. Aveva ragione Marx: la storia si presenta la prima volta come tragedia e la seconda come farsa.

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