Dopo sole 3 settimane dall'insediamento del presidente socialista peruviano Pedro Castillo, si cominciano a vedere i primi segnali di cambiamento nelle politiche economiche del Perù. Il presidente Pedro Castillo, che nel suo discorso di insediamento aveva insistito sulla nazionalizzazione delle risorse naturali, sull'aumento delle tasse per i profitti delle grandi compagnie estrattive minerarie e sulla rinegoziazione dei contratti tuttora favorevoli alle multinazionali, sembra orientato a confermare nei fatti quanto annunciato.

 

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha informato di voler iniziare a riscuotere tutti i debiti milionari che le altre società hanno con la Soprintendenza Nazionale delle Dogane e dell'amministrazione tributaria SUNAT. E così due colossi minerari privati (uno di essi per il 53%, di proprietà statunitense) che avevano contratto debiti fiscali milionari ma mai riscossi dai precedenti governi, hanno finalmente pagato quanto dovuto. A darne notizia sono state Prensa Latina e HispanTV, secondo le quali si tratta della società Miniere Buenaventura, che deve 521 milioni di dollari allo Stato peruviano, e della società mineraria Cerro Verde che sfrutta i giacimenti di rame nella regione di Arequipa. Quest’ultima è indebitata con lo Stato di 245 milioni di dollari, e si trova al centro di una inchiesta giudiziaria.

Cerro Verde genera il 2% del Prodotto Interno Lordo del Perù dalla miniera di rame che gestisce e il pagamento corrisponde alle tasse rivendicate dallo Stato dal 2009 al 2013 e alle rispettive multe che la multinazionale non ha mai pagato durante i precedenti governi filostatunitensi.

La prossima settimana il Consiglio dei Ministri dovrà chiedere la fiducia al Congresso, attualmente in mano al centrodestra, affinché l'entrata di questi soldi nelle casse dello Stato possa consentire l'investimento in progetti sociali per la popolazione e la riduzione dell'impatto economico subito a causa della crisi sanitaria da Covid-19.

Non sarà un’impresa facile. Nonostante le urne abbiano reso Castillo vincitore, il responso elettorale non è stato accettato dalla destra, che non ha ridotto il volume del conflitto con il nuovo Presidente. Sin dall'insediamento di Castillo, nel tentativo di rovesciare nel Parlamento l’esito del voto, i partiti della destra hanno cercato di amalgamare i due terzi dei 130 seggi per chiedere la destituzione del neopresidente. Nel frattempo i media del Paese hanno scatenato una massiccia campagna di attacchi, accuse, fake news, contro tutti i nuovi esponenti del Governo progressista di sinistra. L'azione destabilizzante, da molti definita pre-golpista, ha portato ad una prima vittoria delle destre con le dimissioni del ministro degli esteri Béjar, figura prestigiosa della sinistra peruviana.
Il ministro, ex guerrigliero, è stato messo al centro di un massacro mediatico dopo una pubblicazione, ritagliata e estrapolata dal contesto generale, di una sua vecchia intervista in cui accusava, con prove, agenti segreti della Marina Peruviana del dittatore Fujimori, di aver compiuto attentati terroristici per poi scatenare in Perù una repressione contro i movimenti di sinistra.

Il ministro Béjar era entrato nel mirino della destra peruviana, dopo le sue dichiarazioni che facevano prevedere l'uscita del Perù dal Gruppo di Lima (non ancora avvenuta) e l'adesione del Paese al movimento per chiedere la fine delle sanzioni USA contro il Venezuela Bolivariano. Dopo le frettolose dimissioni di Béjar, la destra cerca ora di ottenere una seconda vittoria con la bocciatura di tutti i ministri il giorno della richiesta della fiducia.

Si va profilando un quadro complesso e non privo di tentativi golpisti per invertire i risultati elettorali. Le Forze Armate, soprattutto la Marina, autentica struttura al servizio dell'oligarchia e del potere economico-finanziario, colpevole di ripetute violazioni dei diritti umani, guida il tentativo golpista. D’altra parte la decisione di Castillo di chiudere il nefasto Gruppo di Lima e stabilire un dialogo positivo con i paesi progressisti del continente appare una minaccia insopportabile per l’oligarchia locale e le multinazionali statunitensi, oltre che per gli speculatori finanziari che sul Perù hanno realizzato colossali margini, al prezzo di una società che, al 43%, si trova sotto i livelli minimi di sussistenza. Le dimissioni di Bejart potrebbero essere le prime di una serie oppure l'ultima delle concessioni nel tentativo di rivoltare attraverso un golpe blando il risultato delle urne.

Proprio nel tentativo di invertire quello che pare un destino ineluttabile, Castillo ha cominciato a colpire le sacche di privilegio e di autentico furto alle casse pubbliche del Paese. Che ci riesca o no è ancora tutto da vedere.

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