di Sara Seganti

Il passaggio di consegne alla FAO è avvenuto i primi di gennaio. Adesso il nuovo direttore generale brasiliano, Graziano Da Silvia, è operativo e deve riuscire nell’impresa di riformare un’organizzazione imponente e burocratica, severamente criticata per il suo operato dagli stessi paesi che la finanziano. Da Silva è una ventata di novità dentro le stanze dei bottoni delle politiche alimentari delle Nazioni Unite, e sembra determinato a voler concertare le linee guida sul land grabbing in tempi brevi coinvolgendo anche le associazioni che rappresentano la “piccola” agricoltura.

L’obiettivo è fornire un quadro di riferimenti normativi a tutela della sovranità alimentare dei paesi poveri e colmare un vuoto legislativo in materia, esistente in molti paesi africani, per permettere alle comunità rurali di difendersi dagli interessi dell’agrobusiness. Infatti, spesso nel continente africano la terra è di proprietà comune, o più propriamente comunitaria, e non ha quindi proprietari, se non in ultima istanza, lo Stato.

Queste linee guida potrebbero aiutare le popolazioni locali a trovare degli appigli a cui agganciare le loro proteste quando un pezzo di terra comunitario viene privatizzato senza garanzie per le comunità rurali. Bisogna vedere se saranno più chiare delle raccomandazioni della Banca Mondiale che hanno a lungo favorito, e continuano a farlo, l’accaparramento di terre da parte di privati e di altri stati seguendo l’idea che l’agricoltura ha prima di tutto bisogno di capitali e di efficienza per svilupparsi e produrre profitti.

Questo approccio “gigantista” e privatista sulla base del quale i grandi gruppi dell’agrobusiness sono stati aiutati nel processo di concentrazione della produzione agricola un po’ ovunque nel mondo, a scapito dell’agricoltura su piccola scala, è una delle principali colpe di un modello di sviluppo che ha prodotto gravi danni e che ha mostrato tutti i suoi limiti, umani, ambientali e economici.

Continuamente, infatti, si verificano carestie e fenomeni migratori forzati di piccoli contadini cacciati dalle terre sottratte alle comunità con espropri forzati o con opere di induzione finalizzate al cedimento dei diritti di usufrutto delle terre comuni. Il prezzo dei beni alimentari è in costante aumento e ha raggiunto un picco a metà dell’anno scorso, per poi ridimensionarsi leggermente, come conseguenza dell’aumento del prezzo del petrolio, della speculazione sui mercati e della corsa all’acquisto di terre per utilizzi diversi dalla produzione di alimenti per i mercati interni.

Negli ultimi anni sono intervenute grosse novità tra i fattori che determinano i prezzi alimentari dei beni coltivati primari, e mai come ora sono distanti dall’andamento del raccolto e dalle condizioni climatiche.

Da Silvia, già noto per il programma Fome Zero in Brasile, che ha aiutato durante il governo Lula a fare uscire dalla povertà estrema 24 milioni di persone, sostiene che serva prima di tutto la volontà politica per affrontare la questione alimentare, oltre a strumenti di ordine tecnico e finanziario.

Queste linee guida difficilmente avranno valore vincolante, ma saranno estremamente importanti per dare sostanza, per l’appunto, a quella volontà politica espressa dalla FAO sull’accaparramento di terre.

Un accordo il più ampio possibile su questo tema aiuterebbe a invertire il trend a livello globale e dare dei punti di riferimento per contrastare quegli Stati e quelle aziende che, fino ad ora, hanno persino potuto giustificare queste operazioni mascherandole da incentivi allo sviluppo di un’agricoltura volta al benessere di tutti.

Da Silva immagina una FAO più decentralizzata, perché nessuno “mangia a livello globale”, per riuscire a dimezzare il numero di persone che soffre la fame nel mondo, ormai una persona su 7. Il nuovo direttore generale ha inoltre ribadito che la priorità rimane l’Africa, e che i biocarburanti non sono per forza e tutti “cattivi” ma bisogna imparare a distinguerli.

Da Silvia è espressione di quei paesi emergenti che hanno deciso di conquistarsi posizioni di potere dentro alle Nazioni Unite promuovendo posizioni meno ideologiche e più pragmatiche, per lo meno stando a queste prime dichiarazioni. E per vincere la sfida, sembra voler tentare un’altra ricetta: cooperazione sud-sud, concertazione dal “basso” con le organizzazioni della società civile mondiale, micro-credito. Si riparte dal locale e dal piccolo, e dalle regole, e almeno su questo siamo sulla buona strada, per il resto conviene restare vigili.

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