Chissà se ha ragione l’Assemblea generale dell’Onu ad applicare al World Wildlife Day dell’anno in corso, un unico, efficace principio: signori, il futuro delle specie selvatiche su questo pianeta è nelle nostre mani. La Giornata mondiale della natura che ricorre ogni 3 marzo dal lontano 2013, celebra la ricchezza e la bellezza delle forme di vita esistenti, eppure siamo ancora qui a enumerare animali e vegetali estinti o in via d’estinzione.

 

 

A ritmo vertiginoso, ci stiamo giocando la vita e le varietà delle specie, le biodiversità e gli habitat fino ai grandi oceani e, sia chiaro, a rischio c’è anche della nostra sopravvivenza. Insieme si dovrebbe convenire a un presupposto necessario, cambiare sostanzialmente l’approccio al problema sia culturale sia pragmatico, dandoci da fare perché non tutto è perduto.

 

Vogliamo rincuorarci con le buone notizie: preposta dall’Onu a officiare il dibattito sulla tutela del Wildlife, Berna, capitale della Svizzera, è sede europea più che meritevole nel rappresentare lo sforzo comune al recupero delle specie selvatiche sul proprio territorio. S’individuano i felini come varietà in pericolo nei prossimi anni, per questi mammiferi/predatori fra i più affascinanti, il target dell’estinzione è altissimo.

 

Le cause si annoverano in perdita d’ecosistemi e mancanza di prede, conflitti con gli esseri umani, bracconaggio e commercio illegale. Nell’ultimo decennio il numero di tigri è drasticamente diminuito del 95%, per i leoni africani del 40, in vent’anni; percentuali enormi nonostante il divieto di caccia su scala globale in vigore dal 1987.

 

Abbiamo parlato di buone notizie ed ecco la solerte Svizzera predisporre la ripopolazione della lince europea con particolare responsabilità per la sua conservazione nell’ambiente alpino. Al mondo sussistono quaranta tipologie di felini; il più diffuso in Europa è la lince euroasiatica che raggiunge i 26 chilogrammi di peso, un’altezza dalla spalla di circa 50 centimetri. Un animale bellissimo e solitario che, per vivere, cacciare e muoversi ha bisogno di un’estensione dai 40 ai 400 km2.

 

Vari enti federali come l’Ufficio per la sicurezza alimentare e veterinaria (USAV), per l’Ambiente (UFAM), il Dipartimento degli affari esteri (DFAE), la segreteria CITES, si unisce a un gruppo d’esperti e conoscitori dell’Unione Internazionale per la conservazione della natura (IUCN), a discutere e pianificare in concreto maggiori tutele per le specie minacciate nei nostri confini e non solo. Per esempio, affinché la lince possa essere preservata a lungo termine in Europa, si renderà indispensabile ampliare le popolazioni attuali, gli spazi per contenerle e per questo, istituire una cooperazione transnazionale.

 

Per obiettivi raggiunti, ci sono dati che sembrano incoraggianti: a dispetto del picco verificatosi nel decennio, le tigri crescono di numero (prima volta nella storia), aumenta la popolazione dei panda, s’inasprisce il divieto di commercio per il pangolino (unico mammifero ricoperto di squame, suddiviso in otto specie in Africa e in Asia, tutte a rischio d’estinzione), si annullano progetti industriali in aree ritenute patrimonio naturale inestimabile, come la barriera corallina in Belize.

 

In Messico si crea la più grande riserva marina del continente americano dopo le Galapagos e, novità, la chiusura del mercato più aberrante, quello per l’avorio in Cina. Dunque, grazie a regole ferree e volontà politica, qualcosa si muove.

 

La scienza ha capito che salvare le tigri dal rischio d’estinzione protegge altre specie, gli ecosistemi, noi stessi. I benefici “collaterali” motivano ampiamente gli investimenti fissati dal Programma globale per il loro recupero approvato a San Pietroburgo nel 2010, che ne prevede, difatti, un raddoppiamento entro il 2022.

 

Negli anni, sparuti gruppi di questo magnifico esemplare si sono frammentati in remote zone dell’Asia. Proteggere gli ecosistemi in cui vivono le tigri asiatiche, tutela almeno nove grandi bacini idrografici d’acqua dolce e circa 830 milioni di persone. Esattamente così! Protegge altre specie, come i rinoceronti di Sumatra, gli oranghi e un terzo degli elefanti, che si trovano a condividere il territorio delle tigri.

 

Preservare i grandi felini appoggia indirettamente dieci siti naturali per il Patrimonio mondiale, 22 milioni d’ettari ricchi di biodiversità e le ultime foreste ancora esistenti che detengono un ruolo chiave per immagazzinare carbonio, un’arma naturale contro gli effetti del cambiamento climatico.

 

Secondo il South African Department of Environmental Affairs, va meglio anche per i rinoceronti del Sudafrica, si registrano meno uccisioni e più condanne per i bracconieri, anche se, onestamente non basta.

 

L’intera comunità internazionale deve farsi carico di quest’enorme, capillare business che mira a eliminare l’intero patrimonio faunistico cancellandolo letteralmente dalla faccia della Terra, un’ignominia clandestina e subdola, una mafia cosmopolita, ramificata e potente con cui non bisognerebbe mai cedere le armi e anzi, affrontarla in modo radicale e definitivo con tutti i mezzi possibili, legislativi, repressivi, educativi.

 

Il bracconaggio si dirige soprattutto a ridosso del Kruger National Park con maggiore concentrazione di rinoceronti; si coordina con organizzazioni criminali internazionali che hanno trasformato la fauna selvatica in via d’estinzione in un affare multimiliardario, esponendo le comunità locali a corruzione, ostilità, insicurezza, disgregandone il tessuto sociale.

 

Emblema di questa strage è uno scatto del fotogiornalista sudafricano, Stirton che ha sconvolto e commosso il mondo intero, un rinoceronte nero, privato dei suoi corni, giace accasciato, in fin di vita in una riserva naturale.

 

Per salvarlo dai colpi dei bracconieri, si è arrivati a prelevarne una minoranza dalle riserve e trasferirla in una località top secret. Il progetto Brrep, che si adopera per evitarne la scomparsa, prevede fedelmente questo: una percentuale del 10% è stata catturata, sedata, trasportata in elicottero dalla provincia di Kwa Zulu in Natal fino a nord del Sudafrica, in una zona di cui non è stato reso pubblico il nome, un territorio super protetto dove il rinoceronte nero possa vivere e riprodursi.

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