di Mario Braconi

Anche se non lo dichiarano ufficialmente, i leader europei stanno lavorando ad un piano di salvataggio per l’Unione Europea. In questo momento la politica europea brilla per la sua inesistenza, mentre i capi di governo sembrano più preoccupati di vellicare i propri elettori che di tentare di fare la cosa giusta. Poiché questo è il contesto politico; gli speculatori globali che stanno tentando di far crollare l’euro non mollano. Per questa ragione, dal punto di vista della realpolitik è benefico l’elettrochoc degli USA, che, con il consueto piglio imperialista, stanno in questi giorni dando lezioni di finanza ai capi europei (da che pulpito!), stimolandoli apertamente ad uscire dalla tranche e a prendere finalmente in mano la situazione.

La pressione dagli Stati Uniti è fortissima, e le parole Segretario del Tesoro americano Timothy Geithner pesano come macigni: “Bisogna togliere di mezzo il rischio di fallimenti a cascata, corsa agli sportelli bancari, ed in generale il rischio di catastrofe, altrimenti tutti gli sforzi che si stanno facendo, tanto in Europa che altrove per arginare la crisi”. Nessun europeo si era mai azzardato a ventilare uno scenario di questo tipo, con le file agli sportelli bancari, e non c’è dubbio che quell’intervento non verrà dimenticato. La preoccupazione americana è denunciata anche dalle (pare) frequenti telefonate di Obama alla Cancelliera tedesca Merkel, nel corso delle quali forse ha tentato di farle capire che, per quanto possa essere importante per il suo futuro politico interpretare la pancia dell’operaio Mercedes, il futuro di un intero continente è un tantino più importante.

Benché gli interessati facciano a gara di smentite, secondo il caporedattore Economia della BBC Robert Peston, che riporta voci provenienti dal Fondo Monetario Internazionale, un piano europeo starebbe prendendo forma. Il primo punto dovrebbe essere il rafforzamento patrimoniale del Fondo europeo per il superamento della crisi (European Financial Stability Facility), che vedrebbe quadruplicare la sua dotazione, dagli attuali 440 miliardi di euro agli oltre 2.000.

Si tratterebbe di un bel salto in avanti, considerando che l’Unione Europea ha recentemente richiesto al fondo di passare a 780 miliardi: dato che poco meno della metà della dotazione è garantita da Francia e Germania, è facile immaginare con quale felicità la Merkel e Sarkozy possano aver ricevuto la di raddoppio della dotazione, proveniente dall’Europa; e con quale giubilo considerino la proposta di quadruplicarla, proveniente, nei fatti, dal Governo americano.

Secondo le indiscrezioni raccolte da Peston, Il piano fantasma imporrebbe un pesante sacrificio a tutti gli investitori privati che hanno finanziato entità greche, i quali potrebbero vedersi decurtati della metà i loro asset: e su questo, nulla da obiettare. L’unica ragione per cui si giustifica un governo e uno Stato (o un super-stato) è quella di proteggere i suoi cittadini, non quello di immunizzare gli investitori spericolati dal rischio di impresa.

Il terzo pilastro del progetto di salvataggio dovrebbe infine concentrarsi sul rafforzamento patrimoniale delle banche, su cui aleggia ormai da anni lo spauracchio di una capitalizzazione troppo evanescente, specie in considerazione dei rischi assunti; e qui, si sta pensando certamente alle banche francesi, molto esposte verso la Grecia.

Si dice che ci vorranno almeno sei settimane per capire se il progetto di salvataggio sia agibile politicamente; un periodo di tempo che, nella situazione corrente, corrisponde ad un’era geologica. La speranza è che il senso di responsabilità per una volta abbia la meglio e che i politici europei dimostrino uno scatto d’orgoglio, che potrebbe ridurre i danni per i cittadini che li hanno eletti. Non è probabile che questo accada, e comunque è forte l’amarezza che si prova davanti ad una politica tanto incapace e imbelle da necessitare di essere eterodiretta.

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