di Emanuele Vandac

Mentre in Grecia continuano le manifestazioni popolari contro le misure di austerità imposte al Paese dalla crisi, la politica europea sta dimostrando un tale livello di irresponsabilità da far assumere alla tragedia sfumature farsesche. Benché sia ormai chiaro a tutti che la sola possibilità di combattere efficacemente l’onda speculativa anti-euro sia quella di dare una risposta politica determinata a livello europeo, prevale il particolarismo dei singoli stati.

Basti pensare che la proposta ventilata a valle degli incontri dei politici europei con i rappresentanti del Fondo Monetario Internazionale (default sul 50% del debito greco) incontra il gradimento della Germania, che non perde occasione per dare lezioni di morale alle “cicale” europee, ma preoccupa immensamente la Francia, che non intende mettere mano al portafoglio per ricapitalizzare le sue banche, i cui attivi sono pieni di titoli greci, quando non detengono intere banche in territorio ellenico.

Il problema è semplice, perfino banale: per rafforzare il contributo al Fondo di sostegno, o per effettuare il salvataggio domestico delle banche francesi, la Francia dovrà mettere sul piatto del denaro, molto denaro in verità. Evidentemente, Sarkozy preferisce non impelagarsi in un'operazione di salvataggio domestico, che potrebbe costare molto ad un campione degli animal spirits in salsa d'oltralpe.

In compenso, in Germania la Merkel è costretta ad incredibili operazioni di funambolismo politico: da un lato fa la voce grossa con la Grecia, richiamandola a gran voce a “fare i suoi compiti”; dall’altra tenta di rassicurare i mercati dichiarando che il suo Paese “farà di tutto per sostenere” la nazione ellenica. Il momento della verità per la Cancelliera è imminente: domani il Bundestag deciderà se modificare lo statuto del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF). Se il voto dovesse passare, il Fondo sarebbe messo in condizione di operare in modo più incisivo sui mercati, prendendo in prestito direttamente dalla Banca Centrale Europea per fornire assistenza ai paesi dell’Eurozona in difficoltà.

Anche qui assistiamo ad una pantomima con la quale si cercano di tenere insieme gli estremi di un tessuto ormai slabbrato. Il nuovo assetto di EFSF porterebbe il contributo tedesco dagli attuali 123 miliardi di euro a 211. Sfortunatamente, tre quarti dei tedeschi sono contrari a fare la loro parte per salvare l’euro (che pure ha beneficiato molto il paese finché il meccanismo è stato ben oliato); inoltre, il pacchetto di misure che comprende il rafforzamento istituzionale (e patrimoniale) del EFSF può contare sul voto favorevole dell’opposizione, si può comprendere quanto sia rischiosa la scommessa che la Merkel deve affrontare. Infatti, tanto i Socialdemocratici che i Verdi (entrambi all’opposizione) voteranno a favore dell’ampliamento del mandato del Fondo.

Non è chiaro se la Cancelliera, messa alle strette, finirà per risolversi o meno ad imporre la deliberazione mediante la cosiddetta “maggioranza del cancelliera”, ovvero ottenuta tramite voto della sola coalizione di governo. Per portare a casa l’approvazione avrebbe bisogno di 301 voti sui 330 dei membri della sua maggioranza. I margini di manovra sono davvero esigui: basta che solo 19 parlamentari votino contro il pacchetto per provocare conseguenze molto gravi: a parte la caduta del governo, infatti, a rischio è che fallisca o venga criminalmente ritardata l'esecuzione dell’intero progetto europeo di arginare la crisi causata dalla speculazione contro la divisa unica.

I segnali non sono buoni, se è vero quanto sosteneva ieri mattina Reuters, che citava fonti interne alla coalizione tedesca: in una votazione interna, infatti, ben 11 deputati della CDU hanno votato contro il provvedimento, e due si sono astenuti; dai 2 ai 5 membri della FPD (l’altra gamba dell’attuale alleanza al governo) sarebbero orientati a votare contro, mentre sei potrebbero astenersi. Ci sono dunque gli ingredienti per un voto al cardiopalma, il cui esito può significare molto più di una crisi di governo in Germania. Che, già sa sola, costituirebbe un’ipoteca importante sul futuro dell'euro.

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