di Emanuele Vandac 

Le due iniziative politiche parallele della Cancelliera tedesca da un lato e del direttore del Dipartimento europeo del Fondo Monetario Internazionale Antonio Borges dall’altro, aiutano a comprendere quali siano i fronti su cui si sta combattendo la guerra per la difesa dell’euro: il debito sovrano dei paesi sotto attacco e il sostegno ai sistemi bancari dei singoli paesi. Nel corso di una sua visita a Bruxelles, la Frau Merkel ha sottolineato la necessità di mettere a punto e condividere celermente i “criteri comuni” alla base di un sistema di salvataggio per le banche europee potenzialmente in difficoltà.

Merkel ha anche spiegato che il dispositivo di supporto agli istituti da ricapitalizzare dovrebbe prevedere tre livelli: in primo luogo, ricorso ai privati, poi, in caso d’insuccesso, accesso ad un sistema di tutela nazionale; solo in ultima istanza, dopo il fallimento delle altre due possibilità, dovrebbe occuparsene il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria.

Borges, dal canto suo, ha sostenuto che il FMI potrebbe attivare un “veicolo” speciale attivo sui mercati primari e secondari dei titoli di stato. Questa entità giuridica comprerebbe soprattutto obbligazioni emesse dal governo italiano e spagnolo, contribuendo così ad allentare la pressione al rialzo sui tassi causata dalla crisi. Un meccanismo efficace e politicamente vendibile per diverse ragioni. Innanzitutto, il FMI agirebbe solo a fronte d’impegni concreti da parte dei singoli governi. La possibile iniziativa del FMI, inoltre, alleggerirebbe la posizione della Banca Centrale Europea, certamente non a suo agio nella veste di obbligazionista forzato della Repubblica Italiana e di quella spagnola. Infine, il peso politico e finanziario del Fondo aiuterebbe a contrastare con efficacia le mosse degli speculatori che stanno mirando a distruggere l’euro.

Peccato che, per diventare realtà, l’idea di Borges dovrà essere condivisa dagli stati azionisti del Fondo; non è in questo senso di buon auspicio il fatto che nessun rappresentante degli Stati dell’Eurozona si sia fatto avanti. A dispetto delle apparenze, sembra proprio che i politici europei siano soddisfatti di come funzionano le loro istituzioni (Commissione, Banca Centrale, Governi...).

Quando la Merkel parla di salvataggi bancari, è impossibile non pensare alla crisi della Dexia, che per la seconda volta in quattro anni sta bussando alla porta dei governi francese e belga per evitare il fallimento (è già successo nel 2008 quando la banca franco-belga-lussemburghese è stata salvata con un intervento pubblico da oltre 6 miliardi di euro). Il caso Dexia è emblematico: pur essendo una banca ben capitalizzata (ha un tier-one ratio superiore al 10%), ha nel suo attivo 3,5 miliardi di euro di titoli greci e circa 18 di emittenti di paesi europei sotto tiro (Italia, Spagna e Portogallo).

Dexia ha già riflesso nei suoi conti un deprezzamento dei titoli greci in portafoglio del 21%, cosa che ha ovviamente prodotto dei danni significativi, ma non catastrofici. E’ però molto probabile che le percentuali in gioco finiscano per essere di molto superiori (50-60%): se questo dovesse avvenire, il crack è garantito. L’esempio eclatante di Dexia spiega la freddezza con cui fino a ieri la Francia ha accolto i progetti della Cancelliera, secondo cui è giusto che i portatori di titoli greci (privati inclusi) accettino una svalutazione del 50% sul loro valore nominale.

Il vero timore del governo francese è che una tornata di salvataggi di stato pesanti finisca in breve tempo per appannare il merito di credito della Republique, che oggi (ancora) può fregiarsi della sua luccicante tripla A (per quello che vale). Sembra incredibile che i politici francesi continuino ad esibirsi in complicati giri funambolici quando l’unica soluzione possibile in casi come questi è quella, già seguita nella liberista Gran Bretagna ed in Germania, di nazionalizzare le banche.

Può piacere o meno, ma al momento altre soluzioni non se ne vedono. Del resto, come spiega il Financial Times, è necessario evitare gli errori già fatti a suo tempo dall’Irlanda, che ha preferito mettere a rischio il debito sovrano del Paese per salvare le sue banche. Il vero nodo del problema, infatti, è il rischio di contagio spinto dalla crisi di fiducia nei debiti sovrani dell’area euro.

Pertanto l’obiettivo dovrebbe essere mettere al sicuro gli emittenti nazionali dell’Area in tutti i modi possibili (rafforzamento del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria, intervento del FMI sono passi nella direzione giusta): una volta conseguito questo obiettivo, magicamente i bilanci delle banche europee diventeranno più solidi, e forse si potrà evitare ai governi di correre al salvataggio di altri “campioni nazionali” della finanza.

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