A leggere il contratto fra Lega e Movimento Cinque Stelle viene in mente il vecchio slogan di una marca di caramelle. Solo che stavolta intorno al buco non c’è la menta, ma un programma di governo. Mettendo in fila tutti gli interventi proposti, il conto finale potrebbe salire fino a 125,7 miliardi di euro, mentre le coperture citate in modo esplicito nelle quasi 60 pagine del contratto non superano i 500 milioni.

 

A fare i calcoli è l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, guidato dall’economista Carlo Cottarelli, ex Fmi ed ex commissario alla spending review.

 

Nel dettaglio, la novità più costosa è la flat tax, che dovrebbe valere intorno ai 50 miliardi di euro l’anno. Seguono il reddito di cittadinanza con 17 miliardi e la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva, che solo quest’anno costerà 12,5 miliardi. Ma a differenza di tutte le altre spese, l’intervento sulla clausola di salvaguardia non è opzionale: se il nuovo governo non troverà i soldi necessari, le aliquote Iva saliranno automaticamente a partire dal primo gennaio 2019, danneggiando i consumi e quindi il Pil.

 

Per quanto riguarda la revisione della riforma Fornero, il costo dovrebbe superare di poco gli 8 miliardi, ma bisognerebbe aggiungerne altri cinque per estendere la flessibilità in uscita alle categorie di lavoratori finora escluse. Sul versante fiscale, 6 miliardi servirebbero a eliminare le accise sulla benzina.

 

La lista comprende poi 6 miliardi per investimenti, 1,8 miliardi per l’ innalzamento dell’indennità civile, 200 milioni per assumere 10mila persone nelle forze dell’ordine e altrettanti per aumentare il personale della polizia penitenziaria.

 

Le misure per la famiglia non sono abbastanza dettagliate da consentire una stima precisa dei costi, ma secondo l’Osservatorio di Cottarelli si viaggia in una forchetta che va da pochi spicci a 17 miliardi. Anche cancellando del tutto questa voce, perciò, il conto finale scenderebbe al massimo a 108,7 miliardi.

 

A fronte di spese così importanti, le coperture proposte non evocano la solita immagine della coperta troppo corta. Siamo più al livello del centrotavola o del fazzoletto: circa mezzo miliardo, di cui 200 milioni dai tagli alle missioni internazionali e altrettanti dalla sforbiciata ai vitalizi e dalla riduzione del numero dei parlamentari (che comunque richiederebbe una riforma costituzionale). Altri 100 milioni sarebbero garantiti dall’abbattimento delle pensioni d’oro, che però rischierebbe d’incappare nello stop della Consulta, visto che in passato i supremi giudici si sono già espressi contro la modifica stabile di trattamenti che costituiscono diritti acquisiti.

 

Da questo conteggio rimangono escluse altre coperture non quantificate nel contratto, come il gettito recuperato con la lotta all’evasione o quello prodotto da una nuova stretta sul gioco d’azzardo. Poi naturalmente ci sono l’ennesima spending review, il possibile ricorso a un deficit più ampio del previsto e l’idea di un condono fiscale riservato ai contribuenti con difficoltà economiche (una furbata da mascherare con uno pseudonimo rassicurante: qualcosa tipo “pace fiscale”).

 

Anche ammettendo che da ognuna di queste voci si riesca a ricavare il massimo possibile, è evidente che la distanza fra costi e coperture rimane siderale. Come si risolve il busillis? “Qualcuno fa il conto della serva sul nostro programma e chiede dove sono le entrate - ha spiegato Luigi Di Maio in diretta Facebook - sono nei margini che andremo a prenderci in Europa per spendere più soldi”.

 

Ora, è improbabile che il capo politico del M5S pensi sul serio di aumentare il deficit nell’ordine di qualche decina di miliardi senza che nessuno a Bruxelles alzi un sopracciglio. Per cui sarebbe utile capire di quanti soldi stiamo parlando. Non è proprio un dettaglio, considerato che gli anni scorsi ci siamo dovuti produrre in trattative estenuanti con la Commissione per scostamenti dello “zerovirgola”.

 

Purtroppo ci tocca rimanere con il dubbio. “Esattamente i conti col taccuino non li abbiamo fatti”, ha ammesso la grillina Laura Castelli. A quanto pare, siamo ancora alle caramelle.

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