Al già complesso fronte di guerra nel nord della Siria si è aggiunto un ulteriore elemento di confusione in queste ore, quando è sembrata prendere forma l’ipotesi di uno scontro armato diretto tra le forze turche e quelle del regime di Assad. Il nuovo risvolto del conflitto è la conseguenza della richiesta di aiuto rivolta a Damasco dalle milizie curde operanti al confine con la Turchia, di fatto abbandonate dagli Stati Uniti nello scontro con le forze di Ankara, entrate in Siria lo scorso 20 gennaio.

Nel pieno dei venti di guerra in Medio Oriente, il governo americano del presidente Trump starebbe studiando una nuova offensiva contro l’Iran, cercando di allineare le posizioni, finora divergenti, di Stati Uniti ed Europa sull’accordo relativo al programma nucleare della Repubblica Islamica sottoscritto a Vienna nel 2015.

L’annuale Conferenza sulla Sicurezza, andata in scena nel fine settimana a Monaco di Baviera, ha messo in luce ancora una volta l’aggravarsi dell’instabilità internazionale e il moltiplicarsi delle situazioni di crisi che potrebbero innescare in qualsiasi momento uno o più conflitti su vasta scala.

 

L’esplosività degli scenari globali odierni era stata riconosciuta fin dall’apertura dei lavori del vertice dall’ex diplomatico tedesco che lo presiede, Wolfgang Ischinger, il quale aveva avvertito che “mai come oggi, a partire dal crollo dell’Unione Sovietica, vi è il rischio di un conflitto armato tra le maggiori potenze del pianeta”.

Il dibattito sulla riforma dei flussi migratori negli Stati Uniti sembra essere giunto questa settimana a uno stadio decisivo. Più che ad aprire la strada all’approvazione di una qualche misura definitiva, su cui il Congresso e la Casa Bianca restano ancora divisi, le trattative e il voto dell’aula sono però serviti più che altro a portare la discussione su un terreno anti-democratico e xenofobo come mai era stato fatto dal secondo dopoguerra a oggi.

Una sentenza d’appello di un tribunale distrettuale britannico ha respinto questa settimana il ricorso dei legali del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, per far cadere definitivamente l’accusa di avere violato i termini della libertà condizionata a cui era stato sottoposto nell’ormai lontano 2012.


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