L’Unione Europea non se n’è ancora accorta ma molte cose stanno cambiando nelle prospettive del conflitto ucraino. Prima il presidente Volodymyr Zelensky ha riconosciuto che la guerra in Ucraina va conclusa il prima possibile incontrando il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano che è stato insignito dell’Ordine al Merito dell’Ucraina. Già questa è di per sé una notizia se si considera che nel settembre scorso il consigliere del presidente ucraino, Mikhailo Podolyak, aveva respinto il tentativo di mediazione della Santa Sede definendo il Papa “filorusso”.

«Penso che tutti capiamo che dobbiamo porre fine alla guerra il più presto possibile per non perdere più vite umane» ha detto Zelensky durante l’incontro aggiungendo in un’intervista alla BBC di ritenere possibile almeno tentare di porre fine alla guerra prima della fine dell’anno.

Le dichiarazioni del presidente ucraino sono state accolte positivamente dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, per il quale “questo è ovviamente meglio che affermare che qualsiasi contatto con la parte russa e con il capo dello Stato russo è escluso. Certamente, parlare di un dialogo è molto meglio che parlare dell’intenzione di combattere fino all’ultimo ucraino. Se la conversazione è seria, non possiamo ancora giudicarlo e bisognerà aspettare qualche azione concreta, se ce ne saranno”.

L’individuazione del vero obiettivo di Israele nella gestione degli eventi legati all’attacco del fine settimana in una località delle alture del Golan siriane occupate illegalmente è di importanza fondamentale per capire se il conflitto in corso a Gaza si allargherà a breve al Libano e, potenzialmente, a tutto il Medio Oriente. L’uccisione di dodici ragazzi drusi ha dato infatti subito l’opportunità al regime genocida di Netanyahu di alzare la retorica delle minacce contro Hezbollah, indicato immediatamente come responsabile dell’accaduto. La logica del prolungamento della guerra, per evitare di fare i conti a livello politico e giuridico con i fatti di questi mesi, è d’altra parte un elemento acquisito nella strategia criminale del primo ministro. Allo stesso tempo, restano fortissimi dubbi in Israele, così come a Washington, sull’opportunità di fare esplodere il fronte libanese. Un’eventualità, quest’ultima, che potrebbe non solo trascinare nell’abisso l’intera regione, ma segnare anche l’inizio del collasso dello stato ebraico e del progetto sionista.

Con il 51,20% dei voti, Nicolás Maduro Moro ha vinto le elezioni presidenziali venezuelane e si è confermato alla guida del Paese. Una vittoria fondamentale per Caracas, molto importante per l'America Latina nel suo complesso e significativa per lo scenario internazionale. La destra, che vedeva insieme conservatori e reazionari ed era rappresentata da una figura dal passato criminale e dal presente opaco, ha comunque ottenuto un risultato significativo, frutto del combinato disposto di una cultura politica annessionista storicamente presente nel Paese e di anni di difficoltà economiche causate dall'embargo occidentale.

L'affluenza alle urne del 59% degli aventi diritto spiega bene l'importanza della posta in gioco e la totale incompatibilità delle proposte in campo: da un lato il percorso chavista e bolivariano del Paese, che ne garantisce l'indipendenza e la sovranità nazionale; dall'altro il rientro nell'orbita statunitense, che ne delinea la dipendenza strategica da Washington.

Uno degli innumerevoli arbitri che il governo USA commette, è quello, proprio della sua ossessione, di accusare Cuba di sostenere il terrorismo. Si potrà osservare che l'accusa ricorre contro tutti i Paesi che non sono suoi vassalli ma, nel caso di Cuba, l'affronto è ancor maggiore. Accusare Cuba di essere patrocinatore del terrorismo è un paradosso vero, un insulto alla logica, uno sfregio alla verità. Rivela piuttosto l’astrusità fattuale e la funzione esclusivamente politico-propagandistica delle liste elaborate da Washington, che nel disegnarne la strumentalità politica ne indica la totale inaffidabilità sotto il profilo giuridico.

Mentre il premier israeliano Netanyahu atterrava a Washington per incontrare i complici del genocidio, nella capitale cinese è stato annunciato un accordo potenzialmente decisivo tra le varie fazioni che rappresentano la popolazione palestinese. A mediarlo è stato il governo di Pechino, confermando il ruolo sempre più importante della Repubblica Popolare nello sforzo di stabilizzare la regione mediorientale. Nel concreto, l’evento andato in scena in Cina difficilmente produrrà risultati nel breve periodo, ma rappresenta senza dubbio l’emergere di una nuova piattaforma unitaria attorno alla quale i movimenti palestinesi – tradizionalmente attraversati da profonde divisioni – potranno coordinare una strategia contro l’occupazione, alternativa a quella senza prospettive offerta dall’Occidente e dai regimi arabi.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy